Sull'insegnamento della filosofia a scuola (e sulla scuola in generale), ma anche sul 2023, su Cormac McCarthy, su Jurassic World, sui Monty Python, su Giordano Bruno, su Socrate, sul brigantaggio
L’anno scolastico sta ormai volgendo al termine, visto che questa che è appena iniziata, almeno in Veneto, è l’ultima settimana di scuola. Ho finito di correggere già nei giorni scorsi le ultime verifiche, sto completando le ultime interrogazioni soprattutto in vista dell’Esame di Stato e – ed è questa la cosa più gravosa – sto sistemando tutte le carte.
Non credo che, dall’esterno, si abbia contezza di quanto la burocrazia ci gravi addosso, soprattutto quando ci rendiamo disponibili a fare (sottopagati o non pagati proprio per nulla) attività collaterali all’insegnamento. Solo per darvi un’idea, in questi giorni, oltre ai soliti programmi e relazioni finali delle varie materie di insegnamento, devo compilare le seguenti carte:
dichiarazione delle attività di formazione svolte;
dichiarazione delle attività e degli incarichi avuti;
inserimento dei voti per gli scrutini e, in quanto coordinatore, preparazione di diversi pezzi di verbale in anticipo;
stesura di tre relazioni sui tre progetti che seguo;
stesura di tre relazioni sui tre PCTO che coordino;
inserimento a registro elettronico delle ore di PCTO di 179 ragazzi (operazione che non si può fare in modo massivo, ma che va fatta un ragazzo alla volta), oltre che delle relative valutazioni.
Tra l’altro, la cosa più assurda è che in molti casi si tratta di carte che nessuno leggerà mai. Potrei letteralmente scriverci dentro frasi come «Paperino è un gran bravo ragazzo» e nessuno se ne accorgerebbe.
Voglio rassicurare preside e personale di segreteria eventualmente all’ascolto: le scrivo bene, con scrupolo, quindi i riferimenti a Paperino non li metto. Però è assurdo che una parte anche ingente del lavoro dell’insegnante – almeno del lavoro di giugno – sia assorbita da incombenze di questo tipo.
Ma le assurdità nel mondo della scuola sono all’ordine del giorno. Ad esempio negli incarichi dei commissari esterni all’Esame di Stato, che sembra vengano organizzati da un algoritmo impazzito (o, più probabilmente, da gente che non sa dove si trovino le città sulla cartina geografica). Su questo, comunque, vi racconterò qualcosa di più dettagliato nelle prossime settimane.
Certo fanno un po’ tristezza gli infiniti paradossi del mondo della scuola: veniamo pagati in maniera imbarazzante, ma ci si chiede di tutto e di più, sfiorando a volte l’impossibile; e poi però si chiudono tre o quattro occhi quando gli insegnanti scantonano, e quelle cose impossibili effettivamente non le fanno. Sembra un gioco al massacro: ti pago poco, ti chiedo tantissimo, ma in compenso se poi non fai niente non ti dico nulla o quasi.
Così l’effetto qual è? Che chi ha un po’ di coscienza per il proprio ruolo e per il proprio lavoro finisce per fare decisamente troppo rispetto al giusto (e alla paga); e tutti gli altri, quelli che non hanno rispetto per il ruolo, non fanno nulla, godendosi i vantaggi di un sistema che punta sul senso del dovere dei fessi.
Ultima cosa, un po’ più leggera, prima di cominciare con la newsletter vera e propria: come forse avrete letto dai social, questa settimana è uscita sul web anche una breve intervista che mi hanno fatto degli alunni del mio liceo per la webradio della scuola. Si tratta di ragazzi di terza superiore molto volenterosi e anche bravi, che gestiscono tutta l’iniziativa in quasi totale autonomia. Il loro video col sottoscritto, se vi interessa, lo trovate qui.
E ora cominciamo coi libri, coi film e con le riflessioni.
Quello che ho letto
Partiamo allora come sempre dai libri, con una commistione, questa settimana, di classici e novità, di romanzi e saggi.
Confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: come ho già detto nelle settimane scorse, Confessioni d’un italiano è un libro clamorosamente lungo e clamorosamente divertente. Nell’edizione BUR, solo per fare un esempio, le pagine sono più di 950 e fanno un po’ paura. Appena si comincia a leggere, però, la paura passa e rimane soprattutto il sorriso: sapevo che Nievo aveva imbastito – rispetto al coevo Manzoni – un romanzo un po’ più dinamico e “sportivo”, per così dire, ma non immaginavo che il suo stile, a metà Ottocento, potesse essere così frizzante. Nievo non risparmia niente e nessuno: col suo sarcasmo mette alla berlina la piccola nobiltà della campagna veneta, le sue liturgie, le sue ipocrisie, deridendo tutto e tutti. E strappa un sorriso quasi in ogni pagina, cosa che in un libro pre-unitario è davvero una rarità. Tenete conto che finora ha parlato di parenti destinati alla vita militare che invece diventano preti, botte alla sagra paesana con ragazzotti rivali, giovinette che amano farsi corteggiare e manovrare i maschi fin da bambine e giovani figli di medici che tentano di corteggiare una ragazza passando tramite la nonna. Certo, sono ancora piuttosto indietro con la lettura dell’opera, ma mi sembra di poterlo già consigliare. Lo si acquista qui.
Il passeggero di Cormac McCarthy: vi ho già presentato la settimana scorsa il nuovo attesissimo romanzo di Cormac McCarthy, scrittore di quasi 90 anni e autore di uno dei più bei libri che io abbia mai letto, La strada, tra l’altro l’ultimo romanzo prima di questo Il passeggero, pubblicato ormai nel 2006. Dopo quasi vent’anni di silenzio ora è arrivato questo nuovo libro, che fa il paio, a quanto leggo, con il suo seguito, Stella Maris: in America i due volumi sono stati pubblicati praticamente in contemporanea, mentre in Italia per il sequel bisognerà aspettare, pare, qualche mese. La cosa un po’ mi indispettisce: quando arriverò alla fine di questo primo volume rimarrò col fiato sospeso o potrò aspettare tranquillamente un po’ di tempo per la conclusione della trama? Come diceva Battisti, lo scopriremo solo vivendo. Intanto devo dire che la prima impressione frastornante che mi aveva dato l’inizio del romanzo è stata in parte – come avevo previsto – messa da parte: se togliamo le parti scritte in corsivo, che sono obiettivamente deliranti (ma un motivo probabilmente c’è, e s’inizia a intravederlo), le parti scritte in carattere normale presentano invece una trama un po’ più lineare. Al centro della storia c’è un sommozzatore, specializzato nel recupero di rottami affondati nell’Oceano, soprattutto aerei. Solo che ora si imbatte in un recupero strano: all’interno del velivolo affondato su cui si trova a lavorare ci sono corpi di vittime che sembrano però morte prima di finire in acqua, e soprattutto pare mancare un cadavere (per non parlare della scatola nera). Vedremo cosa c’è dietro. Intanto, il libro potete comprarlo qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: sul versante saggi, questa settimana ho dato una forte accelerata a questo libro del compianto Bruno Latour che mi sta tenendo compagnia ormai da un pezzo, e sono riuscito anzi a finirlo. Il libro non è affatto facile, soprattutto per via dello stile di Latour: uno stile che è anche divertente e divertito, provocatorio, sarcastico, ma che obiettivamente in pochi possono comprendere. Latour parla ai suoi simili, ai professori universitari specializzati in studi epistemologici o etnografici, e lo fa con un buon senso dell’umorismo, prendendoli un po’ anche in giro; ma se uno non appartiene a quella stretta cerchia, obiettivamente, non ci capisce granché. Io devo dire che credo d’aver compreso comunque piuttosto bene il saggio, perché in fondo i temi affrontati dal sociologo francese mi sono sempre piaciuti e li ho approfonditi lungo gli anni per conto mio, ma mi rendo anche conto che io sono un caso molto particolare e che il 98 o forse il 99% dei possibili lettori potrebbe trovare abbastanza assurdo e incomprensibile Non siamo mai stati moderni. Questo per quanto riguarda lo stile di scrittura, ma in realtà anche sui contenuti ci sarebbe da fare un ampio discorso: Latour sicuramente coglie alcuni punti interessanti e la sua analisi è in parte condivisibile, ma mi pare anche che – come ho già scritto qualche settimana fa – cada nel solito problema dei filosofi, quello cioè di innamorarsi troppo delle sue idee. La sua tesi, riassumendola all’estremo, è che la modernità si sia sempre presentata come l’epoca in cui la scienza si è staccata da tutto il resto (dalla politica, dall’arte, soprattutto dalla teologia), trovando un proprio statuto autonomo e oggettivo. La filosofia e la politica sono condizionate dalla cultura e dalla storia, ma la scienza no, quella è oggettiva, raggiunge verità che sono uguali a Londra come a Pechino, a Buenos Aires come a Città del Capo. Ecco, Latour contesta risolutamente questa visione, affermando – con buoni argomenti – che in realtà scienza e società costituiscono un tutt’uno e si influenzano sempre a vicenda. Questa tesi, a mio avviso, è ben sostenuta ed è da accettare; meno condivisibile è invece l’estremizzazione di quest’idea, di cui Latour si fa portatore, secondo cui non c’è mai stata una modernità, secondo cui tra ad esempio Medioevo e cosiddetta Età Moderna non c’è una reale differenza nella mentalità e nell’approccio: ecco, questo mi pare esagerato. Ridefinire cosa significhi modernità – cosa a cui di tanto in tanto accenna anche Latour – è importante, in modo da comprendere meglio cosa è accaduto e verso quale direzione stiamo andando; negare però risolutamente l’esistenza di una modernità mi pare soprattutto una provocazione e poco più. Il libro comunque merita un’attenta riflessione e penso che prima o poi gli dedicherò un video e magari qualche riga in più anche in una delle future newsletter. Se intanto volete recuperarlo, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film e alle serie TV. In programma questa settimana ci sono soprattutto dei classici, a volte anche piuttosto datati (ma, forse proprio per questo, memorabili).
Monty Python's Flying Circus episodio 1.12 (1970), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: dei Monty Python vi ho parlato ormai varie volte nel corso delle settimane, e pensavo francamente di essere un po’ fuori moda, visto che i componenti dello storico gruppo di comici britannici sono ormai morti o in pensione e di certo le nuove generazioni non li conoscono. In questi giorni, però, sono stato in parte smentito perché i quotidiani sono tornati ad occuparsi di loro: tra Gran Bretagna e Stati Uniti è infatti sorta una polemica per via del fatto che Brian di Nazareth, vecchio e bellissimo film del gruppo, sta per essere messo in scena a Broadway in una riduzione teatrale, anche se al suo interno c’è una battuta che, si teme, può essere giudicata transfobica. La battuta l’ho anche riguardata, e secondo me è abbastanza innocua, ma di questi tempi a New York basta davvero poco per accendere una fiammella. Devo dire che sono tempi difficili per chi deve far ridere: tutti si prendono tremendamente sul serio e pochi hanno voglia di scherzare. Certo, le vittime ci sono e chi soffre c’è davvero, e in certi casi l’umorismo supera una certa soglia; ma in altri casi, e non sono pochi, basterebbe forse un po’ più di modestia per ridere dei propri limiti, dei propri difetti o delle proprie debolezze e accettare l’umorismo ben fatto. Perché, a mio modo di vedere, non c’è umorismo fuori luogo o no; c’è solo umorismo ben fatto e mal fatto. I Monty Python non sono sempre stati perfetti, come ogni essere umano, ma sono molti di più i casi in cui hanno creato grande umorismo (anche sui gay, sui trans, sugli attivisti, sulla gente comune, sugli impiegati, sui militari, su chiunque volete) di quelli in cui hanno “toppato”. Lo si vede anche nella puntata del loro storico show, il Monty Python’s Flying Circus, che ho visto questa settimana, la penultima della prima stagione: lì c’è una gag, Il borghese più imbecille dell’anno, che all’uscita fu accusata di prendersi gioco di chi soffre di ritardo mentale; ma in realtà è anche una gag sui comportamenti tipici della classe media, giocando un po’ sul confine tra quello che si può dire e mostrare e quello che, ufficialmente, non si potrebbe dire o mostrare. E proprio qui sta il talento: nel riuscire a far sembrare divertenti cose che, fatte da altri, risulterebbero fuori luogo. È lo stesso che si può dire per Ricky Gervais di cui abbiamo parlato anche qui qualche mese fa: magari io certe battute non le farei perché mi uscirebbero offensive, ma a lui vengono dannatamente bene. La serie la trovate su Netflix.
Jurassic World (2015), di Colin Trevorrow, con Chris Pratt, Bryce Dallas Howard, Nick Robinson: qualche giorno fa, in una delle impreviste serate piovose di inizio giugno, in famiglia abbiamo deciso di guardare un film; e visto che il più piccolo dei figli, che ha da poco compiuto 8 anni, non ricordava nulla del franchise di Jurassic Park, abbiamo optato per Jurassic World, che qualche anno fa (anzi, proprio nell’anno di nascita del quartogenito) ha rilanciato la serie dei dinosauri. Rivisto a distanza di qualche anno, questo film rimane un buon action movie, senza particolari pretese sul versante del pensiero – in fondo, l’ipotesi di un ritorno dei dinosauri e delle conseguenze di questo fatto era già stata ampiamente analizzata nei film precedenti – ma con buone scene e una discreta carica di adrenalina. Se volete emozionarvi e rilassarvi allo stesso tempo, può essere un buon passatempo. Lo trovate su Prime Video.
Divorzio all’italiana (1961), di Pietro Germi, con Marcello Mastroianni, Daniela Rocca, Stefania Sandrelli: la settimana scorsa vi ho raccontato di aver fatto vedere a una mia quarta il film Persepolis, classico sull’Iran che ogni tanto ritiro fuori per la sua capacità di raccontare un pezzo di mondo e di tragedia in modo tutto sommato leggero. Questa settimana sempre a scuola ci ho riprovato con Divorzio all’italiana, film molto diverso ma allo stesso tempo molto simile a quello di Marjane Satrapi: anche qui infatti il tono è leggero, pur parlando di questioni drammatiche; e anche qui si racconta un pezzo di mondo ormai sconosciuto ai più giovani. La differenza più grande è che non si parla dell’Iran o di un altro paese lontano, ma di noi, della nostra Italia di solo sessant’anni fa. Come forse saprete, la pellicola – che al tempo fu un grande successo, capace di vincere Oscar e Golden Globe – è una satira sulla società italiana, e in particolare siciliana, di inizio anni '60 e soprattutto su un diritto familiare ormai vetusto. Nei codici dell’epoca, infatti, non era previsto il divorzio, che non era quindi consentito, mentre in compenso era contemplato il cosiddetto delitto d’onore: se un uomo uccideva la moglie, la figlia o la sorella dopo averla sorpresa a letto con un uomo a cui non era unita in matrimonio, la pena era assai lieve (si potevano scontare anche solo 3 anni di carcere). Purtroppo, in questi giorni di femminicidi che balzano agli onori della cronaca, queste leggi paiono, se possibile, ancora più odiose e fuori dal mondo: eppure hanno retto fino agli anni '70. Il film però vira tutto questo in chiave sostanzialmente comica: Fefè è un nobile siciliano stanco della moglie e invaghito della giovane cugina; non potendo divorziare dalla prima, medita di ucciderla, ma per farlo senza venire condannato all’ergastolo deve coglierla in flagrante tradimento. Per questo inizia a cercare un possibile spasimante per la sua signora, con esiti ovviamente comici. Il film è un vero e proprio capolavoro, con un Mastroianni in stato di grazia e in generale un ritmo che, ancora oggi, finisce per essere molto efficace: pensate che anche i ragazzi e le ragazze nati nel 2005 sembrano averlo apprezzato (e sono di gusti abbastanza difficili). Al momento non è disponibile in nessuna piattaforma di streaming, ma è un film talmente bello che secondo me vi conviene comprarlo in DVD.
Quello che ho pensato
Come viene insegnata la filosofia a scuola? E come dovrebbe essere insegnata, per funzionare meglio? Queste sono alcune delle domande che la settimana scorsa, se c’eravate, sono rimaste in sospeso nella nostra newsletter, soprattutto a causa della lettura di Come non insegnare la filosofia, l’ultimo pamphlet di Massimo Mugnai a tema scolastico (se lo volete comprare, lo trovate qui). A queste, volendo, se ne potrebbero aggiungere altre: proprio l’altro giorno su Facebook mi sono imbattuto mio malgrado in un post di un pedagogista che diceva che gli insegnanti sono scemi e ignoranti (non ricordo le parole esatte, ma il tono era quello) a fare le medie matematiche quando devono assegnare il voto in pagella.
Ora, la questione secondo me merita due ordini di riflessioni: il primo, quello realista, che si basa sulla realtà dei fatti; il secondo, puramente astratto e teorico, che cerca di guardare alla sostanza.
Partiamo dal primo. Le proposte di Mugnai – che, come forse ricorderete, chiede ai professori delle superiori di rivedere il loro metodo di insegnamento, abbandonando la spiegazione cronologica degli autori e lanciandosi in una filosofia per temi – e del pedagogista in cui mi sono imbattuto sui social non hanno semplicemente senso. È inutile prendersela coi prof delle superiori per una cosa che non dipende minimamente da loro. Anzi, non è inutile: è troppo facile.
L’insegnamento della filosofia alle superiori è regolato da precise indicazioni ministeriali; indicazioni che lasciano al docente, certo, una parziale libertà nello scegliere quali autori fare e come strutturare le lezioni, ma non permettono di derogare dall’impostazione storicista. Cioè: in terza superiore bisogna fare i greci e i cristiani; in quarta l’età moderna; in quinta i contemporanei. In ordine cronologico, non ci sono santi. Uno può dire: fregatene, e fai di testa tua. Non si può: anche ammettendo che nessuno controlli i programmi svolti, all’Esame di Stato bisogna portare gli autori di quinta, e anche qui non ci sono santi. Quindi se si vuole cambiare radicalmente l’insegnamento della filosofia in Italia bisogna prendersela coi ministri, non con i prof.
Un discorso analogo lo si può fare per i voti. Come hanno notato alcuni colleghi, la normativa è incredibilmente contraddittoria, al riguardo (come un po’ tutto, nella scuola): è vero che ufficialmente il professore può esulare in parte dai voti delle varie verifiche per proporre la valutazione di fine anno, ma all’atto pratico può farlo solo al rialzo, non al ribasso. Detta in termini più concreti: se l’alunno ha 7 di media un professore può tranquillamente proporre un 8 in pagella; se però propone un 6 rischia il ricorso, ricorso che ovviamente perderebbe. E allora usare le medie mette al riparo un po’ tutti ed è l’unica cosa sensata da fare in queste assurdità legali-burocratiche che ormai regolano la vita scolastica. Volete cambiare le cose? Di nuovo: non prendetevela coi prof, ma col Ministero e col TAR.
Quindi tutte queste polemiche sono un po’ inutili e facili: mi sembra che si colpisca sempre il bersaglio comodo, non quello reale. Ma spostiamoci alla seconda questione, quella sostanziale: anche ammettendo che le cose si possano cambiare facilmente, come cambiarle?
Mugnai afferma che il metodo storicistico – cioè spiegare gli autori uno ad uno, in ordine cronologico – svilisce la materia, mentre un approccio per temi favorirebbe un maggior senso critico negli studenti e lo sviluppo di maggiori capacità logico-argomentative. Capisco il suo punto di vista, ma secondo me non inquadra del tutto il problema e quindi propone una soluzione che rischia di non risolverlo davvero.
Per spiegarmi, parto dalla mia situazione personale, ma come vedrete non sarò troppo aneddotico. Io, da sempre, seguo come tutti i miei colleghi le indicazioni ministeriali: e quindi proseguo parallelamente al libro di testo, saltando qualche autore e soffermandomi su quelli che ritengo essere i principali, in ordine cronologico. Penso che i miei studenti in questo modo non sviluppino capacità argomentative o logiche, subissati solo da informazioni e dati? Tutt’altro. Secondo me il mio metodo funziona, e funziona anche bene.
Sarà che io insegno in modo diverso da come si immagina Mugnai. Lui ha in mente i vecchi professori di filosofia, che ti raccontavano Kant in modo noiosissimo e ti chiedevano di ripetere quasi a memoria quello che c’era scritto sul libro. Spero che quei tempi, in realtà, siano passati per tutti. Io seguo sì il programma tradizionale, ma ogni filosofo è (o spero sia) l’occasione per riflettere insieme, per confrontarci, per vedere i punti deboli e i punti di forza delle varie argomentazioni. Quando facciamo Zenone di Elea, ad esempio, discutiamo a lungo e analizziamo i suoi paradossi, il modo in cui sono strutturati; quando facciamo Aristotele ci soffermiamo sul sillogismo, studiandone le varie figure, e nella verifica scritta su quell’argomento faccio fare ai ragazzi degli esercizi di logica. Non solo: ogni tanto mettiamo brevemente o parzialmente in pausa l’ordine cronologico per fare delle “sezioni a tema”, come quando vediamo tutti di fila Grozio, Hobbes, Locke e Rousseau per confrontarne solo le rispettive visioni politiche.
In più, al fianco del programma più o meno tradizionale da sempre faccio anche degli approfondimenti, di cui forse vi ho già parlato: sulla base di tre o quattro temi da me scelti, i ragazzi leggono dei brani di filosofi di epoche diverse, confrontandosi anche con romanzi e serie TV, per arrivare poi a formulare un proprio testo argomentativo.
Secondo me, alla fine dei tre anni i ragazzi – chi più chi meno – crescono molto dal punto di vista logico, nel ragionamento e nell’argomentazione. Segno che in verità la cosa importante non è l’approccio per temi o cronologico, ma il modo in cui si affrontano gli argomenti e cosa si richiede ai ragazzi. È l’approccio passivo che li distrugge, la lezione frontale vecchio stile, più che non l’ordine degli argomenti. Un docente che sappia o voglia coinvolgere i ragazzi, farli ragionare, renderli parte attiva del processo di apprendimento riesce a raggiungere lo scopo sia in un modo che nell’altro.
Si dirà: d’accordo, ma forse un’organizzazione per temi costringe anche i docenti più refrattari ad un approccio nuovo, più dinamico e coinvolgente. È possibile. Ma anche qui mi pare che il problema non sia tanto la filosofia, quanto l’idea in generale di scuola. Cambiare il modo di fare filosofia senza cambiare il modo di fare italiano, arte, storia e così via serve a poco.
La scuola italiana – nonostante i tanti insegnanti che cercano di rinnovarla – è ancora vecchia, ma vecchia proprio nell’impostazione. È basata ancora, soprattutto nei licei (le scuole in cui si insegna filosofia, d’altra parte), su un meccanismo di passaggio di informazioni dal docente al discente: io so e ti trasmetto quello che so; e tu hai il compito di apprendere (perlopiù memorizzare) quello che ti ho passato. E purtroppo questo non è un meccanismo presente solo al liceo: anche all’università spesso la dinamica è simile.
Formiamo generazioni che sanno tanto ma sanno fare poco, almeno nei licei; che sanno ripetere quello che dice il professore o il libro di testo ma che non sanno fare nemmeno una sola valutazione autonoma; che sanno a menadito lo sviluppo della cultura europea ma non sanno da dove cominciare per contribuire a portare questa cultura un po’ più in là. D’altra parte, il nostro liceo non è pensato per formare lavoratori o innovatori; è pensato per formare professori universitari, accademici. Gente che commenta o ripete, non che pensa cose nuove.
È un problema ben noto, non lo scopre certo Mugnai; e non lo si risolve cambiando un libro di testo. Quindi, quando pensate all’insegnamento, osate un po’ più in grande, cari pensatori: cambiate la scuola tutta, non solo un manuale o un voto.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto sui video e sui podcast che sono stati pubblicati questa settimana.
I temi di attualità del 2023: partiamo con un video pensato per chi si avvia verso gli Esami di maturità, ma valido spero per chiunque
Ayn Rand: politica e arte: ecco poi il secondo video dedicato alla Rand e incentrato sulla sua idea (molto minimale) di Stato
La morte di Socrate [Filosofia per ragazzi 14]: tornano quindi i video per ragazzi, con l’ultima puntata su Socrate
Introduzione al pensiero di Bruno (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’universo e la natura di Bruno (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il brigantaggio e le rivolte contro l'unità (per il podcast “Dentro alla storia”)
L’economia e la politica fiscale dell’Italia unita (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein: questa settimana il libro che vi consiglio è un classico che più classico non si può: fate conto che alcuni – soprattutto nel mondo anglosassone – lo considerano il libro di filosofia più importante di tutto il Novecento. Sto parlando ovviamente del Tractatus, l’unico libro pubblicato in vita da Wittgenstein; un volume semplice nella forma quanto complesso nella sua portata, che prima o poi però bisogna leggere. È alla base della filosofia analitica e di una certa parte della riflessione filosofica anche attuale. Lo potete acquistare qui.
Introduzione a DaVinci Resolve per la correzione del colore: se anche voi vi dilettate di video e soprattutto di montaggio, e volete iniziare ad usare un software serio ma allo stesso tempo gratuito, DaVinci Resolve è lo strumento giusto. Il guaio è che, proprio perché serio, è anche un programma piuttosto complesso, e per imparare ad usarlo al meglio serve una qualche guida. Questo corso Domestika, composto di 18 lezioni a meno di 10 euro complessivi, vi aiuta a impratichirvi intanto con la gestione del colore. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo con una veloce panoramica sui video che spero di realizzare nei prossimi giorni:
se tutto va bene dovrei riuscire a preparare un video sull’Italia della Prima Repubblica in un’ora (l’avevo già promesso, lo so, ma sono in ritardo);
poi arriverà la terza puntata del Saggio sulla libertà (letto e commentato integralmente) di John Stuart Mill;
inoltre dovrei anche riuscire a fare un video sulla Russia di Eltsin e Putin, che mi hanno richiesto in molti;
infine, spero di realizzare un nuovo video del Corso di Logica e forse un video sul mio modo di creare note e appunti;
per quanto riguarda i podcast, arriveranno la puntata conclusiva su Giordano Bruno per filosofia e la questione della presa del Veneto e di Roma per storia.
E questo è tutto. La settimana prossima la scuola sarà finita e saremo presissimi dagli scrutini, ma io sarò ovviamente ancora qui. Voi vedete di non mancare!