Sullo scorrere del tempo e la vecchiaia che avanza, ma anche su C'è ancora domani, Woody Allen, Bertrand Russell, Maurizio Ferraris, l'Impero bizantino, Sant'Agostino e le Olimpiadi
Quest’ultimo periodo è stato piuttosto agitato. Nell’ultimo mese o poco più vi ho scritto da Torino, da Norimberga, ovviamente anche da Rovigo; oggi, per non farci mancare nulla, vi scrivo invece da Pesaro.
In famiglia abbiamo deciso infatti di passare la Pasquetta fuori casa, complice il fatto che la figlia ha partecipato in questi giorni a un bel torneo di basket organizzato proprio nella città marchigiana; così, stamattina sul presto siamo partiti per raggiungerla (lei era a Pesaro già da venerdì), vederla giocare nell’ultima partita del torneo (tra l’altro vinta) e poi fare un giro nella bella città adriatica. Peccato solo per un po’ di pioggia, ma qualcosa siamo riusciti a fare comunque.
Per mia e vostra fortuna, la newsletter era già quasi pronta e aveva bisogno solo dell’ultima revisione finale. Eccola, dunque, con libri finiti, film di cui si è parlato molto negli ultimi tempi e altro ancora.
Quello che ho letto
Questa settimana vi presento ben tre diversi saggi che ho portato a conclusione, saggi di cui avevo già in buona parte parlato nelle newsletter scorse. Vediamoli insieme.
Imparare a vivere di Maurizio Ferraris: in primo luogo, questa settimana ho finito il breve libro intitolato Imparare a vivere, pubblicato da poche settimane da Laterza e firmato dal filosofo torinese Maurizio Ferraris. Devo dire, però, che non si tratta in realtà di un vero e proprio saggio filosofico, come d'altronde lo stesso Ferraris si premura di sottolineare all'inizio del libro. A me pare più che altro un discorso in libertà, una riflessione che in parte si collega anche ad alcune teorie che il pensatore ha formulato nel corso degli ultimi anni, ma che si occupa soprattutto di un lato più privato e personale della questione. Il filosofo infatti si mette a disquisire su cosa voglia dire “imparare a vivere”, in tutte le sue forme e declinazioni, interrogando però soprattutto il testo scritto più che la vita vissuta. Ferraris non parla, infatti, dei suoi amori umani, dei suoi rapporti interpersonali, degli slanci e delle delusioni del lavoro o degli altri aspetti molto concreti della vita quotidiana, ma si sofferma molto a lungo, invece, sulla vita letta nei libri, sulla passione giovanile per Proust e sugli insegnamenti che ha ricavato nel corso degli anni da tanti altri romanzi e saggi. Più che un libro sulla vita, insomma, è un libro che parla di libri che parlano di vita; e questo lo rende secondo me più interessante per un appassionato di letteratura che non per chi vuole davvero imparare a vivere. Certo, il volumetto rimane interessante ed è sicuramente ben scritto, ma mi sembra non colpire più di tanto nel segno e mi ha lasciato personalmente con poco in mano, forse perché quello che interessa a me, riguardo al vivere, non è esattamente quello che interessa a Ferraris. Comunque, sono sicuro che per molti di voi potrebbe risultare interessante. Se vi attira, lo potete acquistare qui.
Saggi scettici di Bertrand Russell: il secondo libro che ho terminato in questi giorni è Saggi scettici di Bertrand Russell, una raccolta di brevi commenti del filosofo britannico a varie questioni che, circa un secolo fa, erano abbastanza d’attualità. Il titolo è significativo: in più o meno tutti questi testi, Russell difende un punto di vista moderatamente scettico, di chi cioè preferisce non farsi trascinare dal convulso vortice delle passioni, di chi sospende il giudizio ed esprime un certo distacco davanti ai problemi più “caldi”. L’atteggiamento, insomma, di chi preferisce un fare ponderato; cosa assai rara cento anni fa come oggi. Al di là delle singole questioni, quel che rimane di questo libro è una buona dose di saggezza; di quella saggezza, però, che si accetta quando si è già abituati a pensare con calma e profondità. Detta in altri termini: non so se i Saggi di Russell possano, oggi, far breccia nel modo di fare e di pensare di molti di noi, ma di qualcuno magari sì. E vale la pena provarci. Il consiglio è di comprarlo (e leggerlo), a questo link.
Quando meno diventa più di Paolo Legrenzi: come avete già letto in apertura, le ultime sono state settimane piuttosto convulse, tra viaggio d'istruzione, altre scadenze varie di cui prima o poi vi parlerò dettagliatamente e il solito tran tran quotidiano. Così mi sono accorto solo nei giorni scorsi di essermi dimenticato, nella scorsa newsletter, di parlarvi di Quando meno diventa più, libro di Paolo Legrenzi che ho finito ormai da qualche giorno ma di cui non vi ho dato più notizia. Non pensate che questo voglia dire che il libro non mi sia piaciuto; semplicemente sono io che sono un po' fuso, ultimamente. Perché in realtà il saggio di Legrenzi è molto simpatico e interessante: la tesi di fondo è quella che la nostra società si sia sempre basata troppo sull'addizione, sull'aggiunta, sull'accumulo, quando dovrebbe invece ormai imparare a ragionare in termini diversi, lavorando sulla sottrazione, sulla privazione, sulla parsimonia. Legrenzi porta avanti questa tesi sia grazie ad alcune analisi psicologiche, che provengono dal suo campo specifico di studi, ma anche con riferimenti a correnti filosofiche, a discorsi economici e più in generale a una vera e propria storia culturale della sottrazione. Gli spunti sono vari e interessanti e mi sentirei di consigliare il libro anche per la forma in cui è scritto, molto accessibile; forse la trattazione può risultare alla fine un po' diseguale tra le varie parti, ma in ogni caso mi sembra un volumetto breve e utile, di cui c'è anche bisogno. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film, con due titoli di cui si è abbastanza parlato negli ultimi mesi (più un terzo molto originale).
Un colpo di fortuna (2023), di Woody Allen, con Lou de Laâge, Valérie Lemercier, Melvil Poupaud: nella sua carriera, Woody Allen ha realizzato decine e decine di pellicole, tanto da essere forse il regista vivente più prolifico di Hollywood. Ovviamente, con ritmi così elevati è inevitabile che la qualità di questi film non sia sempre eccellente; in ogni caso mi sentirei di dire che, facendo una media, la produzione di Allen rimane sicuramente ben sopra gli standard classici, con alcuni capolavori, molti buoni film e qualche prodotto meno riuscito ma comunque onesto. Come ho scritto sui miei social network proprio un paio di giorni fa, bisogna però anche ammettere che, anche nel caso dei film meno riusciti, è difficile trovare qualcosa di brutto: al massimo si tratta di pellicole poco originali, che rimescolano trame già usate o che si basano su personaggi un po' scontati. Questo è anche il caso, a mio avviso, di Un colpo di fortuna, l'ultimo film in ordine cronologico realizzato dal regista newyorkese, e il primo filmato, a quanto leggo, direttamente in lingua francese. La trama infatti è un mix di diverse storie già raccontate da Woody Allen: il legame più diretto è con Match Point, capolavoro del 2005, ma si sente l'eco nella sceneggiatura sicuramente anche di Crimini e misfatti e di altre pellicole simili. Senza rivelarvi troppo, posso dirvi che al centro della storia c'è una giovane donna francese sposata a un ricco e possessivo uomo, che però la ama molto; questa donna si invaghisce ad un certo punto di un ex compagno di scuola, con cui inizia una relazione extraconiugale. Alla semplice storia d'amore, si aggiunge poi presto una sottotrama thriller, dagli esiti imprevisti e imprevedibili. Sullo sfondo, inoltre, emerge il giudizio filosofico dell’autore, che Allen ha espresso anche in altri film: il regista infatti insiste sul ruolo del caso e della fortuna nella vita di tutti noi. Com'era evidente già da Match Point, soprattutto riguardo al finale (quando il personaggio di Jonathan Rhys Meyers lanciava l’anello verso il Tamigi), Allen è convinto che siano le coincidenze casuali a determinare la nostra esistenza, a indirizzarla verso una direzione o un'altra completamente opposta; e queste coincidenze arrivano quando meno te le aspetti, generando però effetti a valanga, che cambiano completamente le esistenze. Anch'io come Allen, d’altra parte, penso che tendiamo a sovrastimare il peso delle nostre scelte, a ritenere erroneamente che tutto dipenderà da noi e a sottovalutare invece il ruolo dei casi fortuiti che si presentano costantemente nella nostra vita, e che ci danno successo o fallimento a seconda dei casi; e quindi, quando vedo storie del genere, tendo a solidarizzare col loro autore. Voi che ne pensate? Il film, se vi interessa, lo trovate su Sky.
C’è ancora domani (2023), di Paola Cortellesi, con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano: questa settimana ho finalmente visto anche C'è ancora domani, il film di Paola Cortellesi di cui si è parlato tantissimo qualche mese fa, quando era al cinema e ha battuto diversi record di incassi. L'ho visto solo ora, come ho già avuto occasione di raccontare, perché non ero riuscito a suo tempo ad andare a vederlo in sala, preso dai troppi impegni, mentre ora, proprio il giorno di Pasqua, è arrivato sulle varie piattaforme di streaming. Devo dire subito che il film mi è piaciuto, ma che allo stesso tempo non l'ho trovato straordinario. È un film sicuramente ben fatto, originale e onesto, in cui si vede anche la capace mano di Paola Cortellesi, abile più di quanto mi aspettassi alla regia. Però, allo stesso tempo, mi sembra anche un film che non ha voluto affondare fino in fondo la sua lama, un film che ha preferito ad un certo punto non esagerare. Mi spiego meglio e, devo dirvelo, per farlo farò ricorso anche a degli spoiler, quindi se non avete ancora visto la pellicola fermatevi qui e passate al paragrafo successivo. Quello che mi ha deluso più di tutto è stato infatti il finale, in cui si rivela che la supposta fuga di Delia è in realtà un tentativo di andare a votare nel referendum istituzionale del 1946. Non c'è nulla di male nell'esaltare quel primo voto al femminile della storia d'Italia, e da un certo punto di vista quello è un finale anche logico in un film del genere, ma viste quelle premesse mi sembra anche un finale molto istituzionale, troppo rassicurante. È come se dicesse: è vero, le violenze e i soprusi esistono, ma col diritto di voto possiamo cambiare le cose. In parte questo è ovviamente vero, ma allo stesso tempo mi sembra un po' un contentino, un po' una frase che sarebbe stata bene in bocca a Sergio Mattarella, con tutto il rispetto per il Presidente, più che nel finale di un film così intenso. Come ho scritto poche ore dopo averlo visto, parlandone con una persona che a suo tempo me l’aveva consigliato: mi è sembrato un finale molto democristiano. Forse una fuga vera e propria, forse qualcosa di ancora più originale avrebbe avuto più senso. Comunque rimane una pellicola valida, che è un bene che abbia avuto anche un grande successo; considerando anche che, come mi si è fatto notare, forse non voleva parlare tanto alle figlie quanto alle madri. Come a dire: noi abbiamo cominciato, magari anche da qualcosa di piccolo, ma adesso sta a voi; e in questo senso il finale può essere anche motivante. Se vi interessa, lo trovate ora sia su Sky che su Netflix.
It's Such a Beautiful Day (2012), di Don Hertzfeldt: per la serie “film che mi hanno consigliato i miei studenti”, questa settimana ho guardato It’s Such a Beautiful Day, pellicola che oserei definire sperimentale e che per la verità è anche piuttosto difficile da recuperare oggi. Si tratta in realtà di una raccolta di tre mediometraggi montati l'uno dopo l'altro, tutti e tre di animazione, ma di un'animazione molto inconsueta rispetto ai canoni tradizionali. Il regista, Don Hertzfeldt, infatti, costruisce un film praticamente disegnando omini con la faccia tonda come farebbe un bambino, e con un'animazione veramente minimale e quasi inconsistente. La storia viene creata, quindi, soprattutto dalla voce fuoricampo dello stesso regista, che commenta i pensieri e le azioni del protagonista, un certo Bob, azioni e pensieri che però non sono molto logici. Già dopo pochi minuti ci si rende conto, infatti, che qualcosa non funziona, che c'è qualche distorsione, qualche problema, e un po’ alla volta si capisce che tali problemi sono dovuti proprio a Bob stesso. In un clima sempre più surreale, in cui ogni aspetto della trama e della logica sembrano saltare, ci si ritrova rapidamente immersi in qualcosa quasi di mistico, complesso, assurdo, alternato di tanto in tanto anche con qualche riflessione interessante sul tempo e sulla vita. Più avanti, nella sezione Quello che ho pensato, tornerò su questo argomento e quindi per ora preferisco chiudere qui la descrizione; vi consiglio però, se ne avete occasione, di recuperare questo breve film, disponibile credo solo in lingua originale, cioè in inglese.
Quello che ho pensato
Devo dire la verità: questa settimana ho poca voglia di parlarvi di grandi questioni internazionali o di riflettere con voi sulla filosofia dell'esistenza; mi vorrei invece concentrare su qualcosa di molto più piccolo e privato.
Se volessi infatti soffermarmi su quello a cui ho più pensato questa settimana, dovrei ammettere che al centro dei miei pensieri ci sia stato soprattutto il tempo che passa. Tre sono stati gli stimoli che più mi hanno spinto in questa direzione: da un lato il rientro alla normalità dopo il viaggio d'istruzione a Berlino, viaggio di cui ho già parlato la settimana scorsa; poi, il compleanno del mio figlio più grande, che proprio nei giorni scorsi ha compiuto 17 anni; e infine, in terza istanza, la visione di It’s Such a Beautiful Day, di cui ho detto qualcosa qualche paragrafo fa.
Partiamo, mescolando un po’ le carte, dal figlio. Quello che fino a qualche anno fa sui social chiamavo “il pupo” ormai si avvia verso la maggiore età: lo scorso 27 marzo ha compiuto ben 17 anni, che è già di per sé una cifra ragguardevole. Ma quando ho postato la sua foto sui social network, subito sono comparsi commenti di follower storici, intenti a dire: «Me lo ricordo quando era ancora in fasce», o «Come passa in fretta il tempo».
In effetti sì, il tempo passa drammaticamente in fretta. A me sembra ieri quando facevo le prime supplenze nelle scuole della provincia o quando, appena sposato, cambiavo appunto i pannolini al primo figlio. Invece ormai sono quasi passati praticamente vent'anni da tutti quei momenti, e questi figli si avviano ormai verso una vita tutta loro. Oddio, un po' di tempo per godersi la prole c'è ancora: il primo figlio tra un anno o poco più avrà la patente e potrà votare, ma c'è da dire che l'ultimo dei figli, il cosiddetto “quartopupo”, fa ancora le scuole elementari e prima di vederlo andarsene via di casa ne passerà ancora parecchia di acqua sotto i ponti.
Però è indubbio che da un certo punto della vita in poi il tempo scorra molto più in fretta. È un fenomeno ben conosciuto, che qualche psicologo spiega con una sorta di “teoria della proporzione”: per un bambino di 10 anni, un anno in più rappresenta il 10% della vita, mentre per un adulto di 50 anni un anno in più rappresenta solo il 2% della sua vita. Pesa dunque meno, e scorre pertanto più velocemente, almeno nella percezione soggettiva (che è poi quella che conta davvero). I momenti importanti, così, sembrano scivolarti via sempre più velocemente, man mano che invecchi. E io sto invecchiando, com’è inevitabile.
Il secondo colpo al cuore di questa settimana è arrivato riflettendo sul viaggio d'istruzione appena concluso coi miei ragazzi di quinta. Non era certo la mia prima gita: ormai ne ho fatte a decine, più o meno lunghe, in Italia e all’estero.
È però anche vero che i viaggi di questi ultimi due anni sono stati un po' particolari. Intanto, sono arrivati dopo qualche anno di pausa dovuto al Covid: prima del 2023, l’ultimo viaggio di più giorni con delle classi l'avevo fatto nel 2018, e all'epoca non avevo neppure quarant'anni, mentre oggi marcio oramai spedito verso i 45.
Inoltre, quelli degli ultimi due anni sono stati i primi viaggi all’estero con classi che mi ero “portato su” dalla terza, con le quali avevo avuto piena continuità, dall’inizio alla fine del triennio. Quest'anno, anzi, le classi con cui avevo un percorso così lungo sono addirittura due, e per di più di liceo scientifico tradizionale: il che vuol dire che con loro ho passato non solo tre anni interi di scuola, ma anche tre anni con tante ore di lezione. Insomma, i ragazzi di questi anni sono cresciuti con me, o a me piace crederlo; mi pare di averli seguiti per più tempo, forse anche perché dopo il Covid anche il mio sguardo si è fatto più attento.
Forse per tutti questi motivi, tornare dal viaggio d'istruzione assieme a loro mi ha messo un po' di disagio addosso: con le generazioni precedenti, non mi pareva di sentire così forte il senso della fine di un'epoca. Con queste ultime classi, invece, mi sembra davvero che siano passati secoli da quando li ho presi in terza, e che ora vederli uscire dal liceo (anche se per la verità mancano ancora tre mesi) sia come vedere un figlio che se ne va di casa.
Sarà anche che, come mi hanno fatto notare sempre questa settimana, tra qualche mese compirò 45 anni, e dopo quel momento sarò ormai più vicino ai 50 che ai 40, ben oltre ormai la metà dell’aspettativa media di vita. O forse sarà che sto diventando, con l'età, più sentimentale, o che semplicemente il divario anagrafico tra me e gli alunni continua ad aumentare, e quindi inizio a vedere tutti quasi come dei figli di cui bisogna un po' prendersi cura. Non lo so, ma ho addosso una strana sensazione.
Il terzo fattore, come dicevo, è stato dato dalla visione di It's Such a Beautiful Day. È un film molto strano che non so tanto come definire, ma che sicuramente ruota attorno all'idea del tempo e della memoria che il tempo lascia su di noi. Come vi ho in parte raccontato, il protagonista è infatti un certo Bob, un uomo che sembra soffrire di pesanti problemi neurologici che non gli permettono di distinguere i ricordi falsi da quelli veri o di percepire correttamente la realtà. Questo, più una serie di altre vicissitudini, lo porta sul finale del film a riflettere sulla vita e soprattutto sulla morte, sul modo di percepire il mondo quando il tempo sta finendo o in un certo senso è già finito.
Sono convinto, come Bob, che le nostre difficoltà nel comprendere il senso del tempo derivino dal fatto che non siamo in grado di concepirlo davvero, di comprenderlo fino in fondo. Viviamo come se non dovessimo morire mai, come tra l'altro hanno capito anche decine di filosofi lungo i secoli; e in questo modo facciamo fatica a dare il giusto peso alle cose, come se fossimo completamente sfasati. Per usare un paragone, direi che è come se vivessimo senza sapere quanti soldi abbiamo a disposizione, quasi immaginando di avere fondi infiniti in banca: in quel caso inizieremmo a spendere e spandere senza costrutto, usando troppo denaro per tutto; oppure, al contrario, a volte ci prenderebbe l'angoscia, un'angoscia improvvisa e fortissima, per il fatto di non saper bene quanti fondi ancora ci restano.
Ebbene, col tempo viviamo qualcosa di simile: nessuno ci dà un estratto conto che ci permetta di fare il punto su quanto ancora ci rimane, né su cosa ci aspetta tra dieci o trent'anni; nessuno ci spiega come cambierà la nostra vita al passare del tempo, e anche se in realtà tutte queste informazioni sono davanti ai nostri occhi, finché non le viviamo sulla nostra pelle non ce ne rendiamo mai veramente conto. Sappiamo di dover invecchiare, sappiamo che invecchieranno e cresceranno anche le persone attorno a noi, ma finché questo non accade è come se quella rimanesse un'informazione lontana, qualcosa che capita agli altri ma non a te.
Un’ultima questione, ma all'atto pratico non meno importante, è anche quella relativa ai gusti e alle novità. Ultimamente mi sono reso conto di emozionarmi – almeno in un determinato ambito – meno di un tempo. Mi riferisco in particolare alle cosiddette opere dell'ingegno: film, libri, immagini, tutto ciò che leggiamo e vediamo e che ci rende gradevole la vita.
Quand'ero giovane, quindi per essere più preciso quando non avevo ancora compiuto vent'anni, mi esaltavo spesso quando incappavo in qualcosa di bello. La scoperta di un regista che ancora non conoscevo mi dava una sincera gioia: mi veniva voglia di parlarne con qualcuno, di far vedere quel determinato film a qualche amico, di procurarmi altre sue pellicole. Lo stesso accadeva con i fumetti, con i romanzi, con i dischi. Quanti soldi ho speso cercando di trovare altre opere belle come la prima, salvo rimanere poi deluso perché magari quella prima opera che avevo scovato era la migliore di tutta la carriera di quell'artista. Ed erano tempi anche molto diversi da questi: recuperare dei dischi era assai costoso; se poi si trattava di band poco note dovevi addirittura prendere il treno e andare fino a Bologna, spendendo le mance di varie settimane. Per non parlare dei fumetti, per i quali dovevi aspettare una qualche fiera, o dei film, con conseguente giro di videoteche e l’attesa che una tal pellicola passasse di notte dentro a Fuori orario, su Raitre.
Oggi ormai è raro che qualcosa mi emozioni in questo modo. Certo, ci sono ancora grandi opere, grandi film o grandi libri, ma anche quando li trovo molto belli, raramente riescono a darmi quel brivido lungo la schiena, raramente riescono a spingermi fino a “smuovere il culo dalla sedia”. Me ne rendo conto soprattutto quando faccio il confronto con i miei studenti. Loro, di tanto in tanto, mi segnalano i film che più hanno amato o i libri che più li hanno scossi, e mi chiedono di leggerli o di vederli. A volte mi fanno vedere anche i meme che più li hanno fatte ridere, soprattutto se hanno uno sfondo filosofico o storico. Nel loro atteggiamento vedo un po' di quell’entusiasmo che avevo io ai loro tempi, vedo l'esaltazione per una cosa bella e il tentativo di farla conoscere anche a qualcun altro.
E però io non riesco più ad esaltarmi come loro (se non molto raramente). A volte non capisco proprio i loro gusti, forse perché sono semplicemente vecchio e abituato a un vecchio modo di esprimersi; ma altre volte, magari, l'opera in linea teorica piace anche a me, ma mi piace come mi piacciono tante altre cose, senza quel quid in più. Il problema quindi è mio: forse è che ormai sono un borghese imbolsito, che non prova più grandi sensazioni; o forse, ancora di più, ho visto e letto troppe cose, e non c'è più quel fascino della novità che c'era quando avevo diciott'anni.
Ritorniamo ancora al tema del tempo: certe cose sono belle anche in base al numero di volte che le viviamo. Un bacio è molto bello quando è il primo dato a una certa persona; quando è il trecentesimo, rimane comunque carino, ma non ti dà più le stesse emozioni. Allo stesso modo, una sorprendente opera comica ti esalta quando rappresenta per te un'assoluta novità (anche se magari non lo è davvero, anche se magari è piena di cliché che semplicemente tu ancora non conosci); ma quando di sorprendenti opere comiche ne hai viste settanta, smetti di ridere e inizi semplicemente a sorridere.
È un altro dei problemi dell'età, credo. Uno dei problemi del passare dalla giovinezza, un’età in cui scopri tutto, alla maturità, un'epoca cioè in cui hai teoricamente già scoperto tutto. Insomma, tempus fugit, mi verrebbe da dire, e non riesco nemmeno più tanto a cogliere l’attimo. Che boomer, direbbero i miei studenti.
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora è il momento del classico elenco di quello che è uscito questa settimana sui vari canali. Un elenco un po’ più corto del solito perché, come annunciavo la settimana scorsa, ho fatto vacanza a Pasqua e Pasquetta. Qualcosa comunque c’è, e spero di interessante:
Tutto Sant'Agostino in un'ora: un intenso riassunto di tutto il pensiero di uno dei più importanti padri della Chiesa
Le Olimpiadi negli anni '50 e '60: continua la storia delle Olimpiadi, con le calde edizioni, in particolare, del 1956 e 1968
Gli anticipatori del giusnaturalismo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L'Italia verso l'entrata in guerra (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Storia dell’impero bizantino di Georg Ostrogorsky: l’impero bizantino ha una storia lunga, millenaria e per larghi tratti gloriosa. Forse il saggio che la ricostruisce nel modo migliore possibile è questo classico studio del russo Ostrogorsky, uscito per la prima volta nel 1940 e poi più volte ristampato. Oggi lo si trova, in Italia, nel catalogo di Einaudi e lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Concludiamo come sempre con una veloce panoramica di quello che c’è in arrivo nel canale nei prossimi giorni, dopo la pausa di Pasqua e Pasquetta:
domani e mercoledì arriveranno le nuove puntate dei podcast, con rispettivamente i primi filosofi giusnaturalisti e l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale;
giovedì vorrei riuscire a far uscire uno short (o reel, che dir si voglia), probabilmente – stando al sondaggio tra gli abbonati – sulla dialettica servo-padrone di Hegel;
venerdì sarà la volta, credo, di un nuovo video di Logica;
sabato vorrei realizzare un video sulla filosofia di Dostoevskij;
domenica poi, se il sondaggio conferma le prime impressioni, ci sarà la riunione del Club del libro per abbonati, incentrato proprio su Dostoevskij e il suo Memorie dal sottosuolo;
lunedì prossimo, infine, tornerà il podcast di filosofia, con l’inizio di Hobbes.
E questo è tutto. Vi mando tanti saluti da Pesaro (e Urbino, dove credo che andrò domattina) e ci diamo appuntamento come al solito qui tra sette giorni esatti. Non mancate!