Tempo di Red e di altri supereroi, dei compagni in sciopero a fine Ottocento, del complottismo e di quelli che ti spostano il formaggio (oltre che di sostenere il canale)
È passata la festa del papà, stanno per arrivare le prime uscite didattiche dopo due anni di stop e il sole splende all’orizzonte: cosa potrebbe andare storto? Ah, come dite? C’è una guerra in corso con effetti sempre più devastanti? Sì, è vero: ogni tanto – anche per sopravvivere, ammettiamolo – ce ne dimentichiamo per qualche ora. Ma il fatto che si distruggano palazzi, si interrompano vite e si riduca in miseria la gente a poche migliaia di chilometri da qui non ci può lasciare tranquilli a lungo.
Ad ogni modo, cerchiamo un po’ di sollievo anche nella cultura (e nelle persone che ci vogliono bene, ovviamente). O almeno ci proviamo. Qui di seguito, come al solito, trovate libri, film, riflessioni e altro ancora.
Quello che ho letto
In lista questa settimana ci sono le cose più diverse: un classico della letteratura, un libro da manager e un saggio sul complottismo.
I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe: sarà stata la preparazione del video sui filosofi morti, in cui facevo anche riferimento alla moda del suicidio sorta per emulazione del Werther, ma mi è venuta voglia di buttarmi sul primo capolavoro di Goethe. Non l’avevo mai letto; chissà perché, da ragazzino avevo preferito cimentarmi con la sua “imitazione”, l’Ortis di Foscolo (che, all’epoca, non mi aveva convinto). Ora invece con Goethe va meglio. Sono già ad un terzo del volume perché, tra l’altro, è piuttosto esile ma – forse per l’età che ormai mi fa calmo e meditabondo – mi sta piacendo. Ve ne parlerò meglio quando lo finirò. Se non ne sapete nulla, vi dico solo questo: scritto a fine ‘700, racconta di un giovane dell’alta società, appunto Werther, che si innamora di una certa Carlotta, già promessa sposa ad un altro. Lo potete comprare qui.
Chi ha spostato il mio formaggio? di Spencer Johnson: in genere, questo libro lo trovate in ogni lista di “manuali per imprenditori” o “libri di self-help”. In effetti ha tutta l’aria di voler soddisfare esclusivamente quello scopo: ha un titolo accattivante, un formato breve adatto a chi non ha voglia di “mattoni”, un sottotitolo che è tutto un programma («Cambiare se stessi in un mondo che cambia, in azienda, a casa, nella vita di tutti i giorni»). Anche i contenuti sono tutti focalizzati sull’idea di dover cambiare radicalmente la propria vita. Al centro della trama c’è una favoletta: quella di due topolini e due gnomi che vivono in un labirinto e che devono cavarsela dopo che qualcuno ha spostato loro il formaggio. Le reazioni sono le più diverse: i topini si mettono subito alla ricerca, gli gnomi tentennano, arrabbiandosi perché non hanno più il loro formaggio ma non dandosi da fare per trovarne altro. Fuor di metafora, l’intento è quello di mostrarci come molte volte rimpiangiamo quello che abbiamo perso invece di cercare qualcosa che potremmo avere; e ci chiudiamo al cambiamento, che può essere anche salutare. Di per sé, l’idea dell’apologo sarebbe anche carina e gli spunti, se venissero approfonditi, sarebbero interessanti; è proprio lo stile – incredibilmente didascalico e semplicistico – che fa venire un po’ l’orticaria. Insomma, fosse stato scritto meglio forse avrebbe venduto di meno ma avrebbe lasciato un’impressione diversa, almeno a me. Comunque, se siete interessati, lo trovate qui.
Non ce lo dicono di Errico Buonanno: sto continuando la lettura di questo saggio di cui vi ho già parlato anche nelle settimane scorse. Dopo una prima parte dedicata alla storia del complottismo, già da una buona quantità di pagine l’autore si è buttato sui “complotti” di oggi, dal Covid a Trump passando per i rettiliani. Tutte cose abbastanza note, ma messe in fila fanno comunque una certa impressione. Lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Sul versante cinematografico, partiamo da un film d’annata per arrivare a due pellicole a cartoni animati, una tra l’altro recentissima.
I compagni (1963), di Mario Monicelli, con Marcello Mastroianni, Folco Lulli, Raffaella Carrà: pellicola di Monicelli poco nota in Italia, ma, mi pare, ingiustamente, se non altro perché ottenne ai tempi anche una candidatura agli Oscar. Ambientata nella Torino di fine Ottocento, racconta un prolungato sciopero degli operai di un’industria tessile, che chiedono la riduzione dell’orario di lavoro da 14 a 13 ore quotidiane. Il film, come sempre in Monicelli, ha qualche efficace momento comico, ma in generale è perlopiù drammatico; ci sono un giovane Mastroianni, una giovanissima Raffaella Carrà e tanti bravissimi caratteristi. Mi è piaciuto molto, soprattutto per come riesce a portare avanti una non facile storia corale e per come dipinge – in modo realistico e concreto – la vita degli operai di allora. Un po’ lungo, forse, ma sarebbe utile anche da far vedere in classe.
Red (2022), di Domee Shi: il nuovo film della Pixar, disponibile su Disney+, è carino. E basta, mi verrebbe da dire. Nel senso che un tempo ogni volta che andavi a vedere un film Pixar eri quasi sicuro di rimanere a bocca aperta, mentre oggi il livello mi sembra ritornato a livelli più normali, consueti (pur con qualche sporadica eccezione, come Coco o Soul). La nuova linea – quella di puntare su storie adolescenziali, magari tratte dalle esperienze di vita dei loro autori – certo ci dà qualche buon soggetto o qualche buona trovata qua e là, ma in genere rende tutto meno epico e più banale, almeno dal mio punto di vista. Anche Red mi sembra confermare tutto questo: una storia carina, con qualche bella gag comica all’inizio ma poi, nel finale, anche estremamente rassicurante e prevedibile, alla fin fine con pochi guizzi. La storia è quella di una ragazzina cino-canadese, Mei, che si trova – per via di una maledizione che ricade sulla sua famiglia – trasformata d’improvviso in un panda rosso. Se ci pensate, è una storia simile a quella di Ranma ½, senza però il lato erotico o di “identità di genere” della questione; cioè senza il “pepe”.
Big Hero 6 (2014), di Don Hall e Chris Williams: dopo aver visto Red, che presenta anche qualche scena di lotta, ai figli è venuta voglia di rivedere Big Hero 6 (penso ormai per la terza o quarta volta). Ecco, a differenza di Red qui – anche se siamo in un film prodotto direttamente dalla Disney e non dalla Pixar – mi pare ci sia qualcosa in più: c’è dolore, c’è ambiguità, e i personaggi sono decisamente più originali. Per dire: l’ho già visto quattro volte e lo rivedrei ancora, mentre non so se direi lo stesso di Red. Ma magari sono io: ai miei figli più piccoli è piaciuto anche il panda rosso.
Quello che ho pensato
Eccoci al momento, consueto, delle riflessioni. Due sono gli argomenti principali di cui vorrei parlarvi oggi, uno più legato all’attualità, l’altro a questioni inerenti al canale YouTube.
Partiamo dal primo tema. La settimana scorsa vi ho parlato dell’impressione che ho avuto nel sentire certi intellettuali “controversi” invitati a parlare in tv sulla questione ucraina; intellettuali che – sostenevo – sembrano non capire come le regole del dibattito televisivo siano diverse da quelle del dibattito accademico. Nel senso che in tv mi pare si debba essere più netti, e forse più chiari.
Vorrei ritornare sul tema, perché è interessante e ci ho pensato ancora. In primo luogo, sgombro il campo da alcuni equivoci: ormai la tv invita personaggi di tutti i tipi, tra cui anche alcuni accademici o giornalisti piuttosto scoppiati a cui far dire cose assurde. La tv vive di dibattiti sconclusionati, e paradossalmente il personaggio che dice le cose più stupide ha molto più spazio (perché fa molta più audience e alimenta molto di più il dibattito, anche online) di quello che dice cose scontate ma, proprio per questo, più logiche. Per cui la tv, e soprattutto il format del talk show politico, finisce per alimentare un circolo vizioso da cui, nel peggiore dei casi, sorgono gravi danni per la nostra opinione pubblica.
Però in tv ci vanno anche degli intellettuali che hanno da dire cose che possono essere interessanti. Il problema è che spesso non vengono capiti. Perché la questione è propria questa, se la si guarda più in profondità: gli intellettuali – quelli seri – spesso non sono adatti alla tv, o almeno alla tv di oggi. Lo dicevamo anche commentando il film Don’t Look Up, non molte settimane fa: o diventi un personaggio, cioè la caricatura di te stesso, o finisci per dire cose che magari a rigore sarebbero anche corrette, ma che tutti interpreteranno nel modo sbagliato. E la colpa forse sarà pure tua.
A me pare, infatti, che alcuni intellettuali non capiscano bene che quando sono in tv non si trovano in un simposio letterario in cui si possono fare mille distinguo, che non sono davanti ad alunni universitari che amano la discussione per il piacere della discussione. Sono davanti a un pubblico che, perlopiù, cerca solo conferme ai propri bias; che vuole sentirsi dire che ha ragione, e che vuole odiare quelli che gli dicono che ha torto.
Il paradosso è questo: che tra filosofi rinomati e giornalisti tranchant, spesso paiono più intelligenti i secondi. Ma di gran lunga, nonostante in realtà non lo siano. E mi pare che accada soprattutto perché i giornalisti conoscono bene il pubblico a cui si rivolgono, i filosofi assolutamente no.
Così i filosofi dicono una frase tipo: «Putin non è un mostro, ha i suoi motivi». Una frase che, nel loro linguaggio, significa: «Se non capiamo perché Putin fa così, rischiamo di vedere ripetersi gli stessi eventi». Ma una frase che, dalla stragrande maggioranza degli spettatori, viene interpretata come: «Putin ha ragione perché i suoi motivi sono validi». Perché in tv non importa quello che dici, o quello che vorresti dire: importa in che modo il tuo messaggio verrà interpretato dalla maggioranza degli ascoltatori.
L’effetto qual è? Che i filosofi, gli storici e gli intellettuali finiscono per venire attaccati per quello che dicono, e non capiscono cosa ci sia di strano in quello che dicono. «Sono cose che abbiamo sempre detto», sentenziano. Il che è vero. Solo che le scrivevano sui giornali, le dicevano nei convegni, e lì non c’era problema. Se le vanno a dire nei dibattiti televisivi in prima serata, però, scoppia il caso: perché è cambiato il pubblico.
Mi vien da pensare che il problema non siano gli intellettuali di per sé; il problema è che abbiamo intellettuali che non sanno pesare le parole, che non si sono mai chiesti come le loro parole colpiranno il grande pubblico. È un difetto storico della categoria, c’è da sempre: è il problema della autoreferenzialità, declinato solo in salsa reality show. Ma è un difetto sempre più fondamentale: perché, in questo mondo in cui le questioni si stanno facendo sempre più intense, servirebbero intellettuali in grado di parlare, senza fraintendimenti.
Il problema, però, lo ripeto, credo non siano gli intellettuali. È che servirebbero delle persone che facessero da tramite tra il mondo intellettuale e chi non ha studiato, capendo come si comunica, quali sono le regole del dibattito, e usandole per portare un contributo. Insomma, in una parola, il problema è che mancano dei maestri.
Qualunque (bravo) professore, quando spiega una cosa, sa che ha davanti dei ragazzi che conoscono poco della questione; e allora spiega, argomenta, chiarisce. Senza lanciarsi in voli pindarici, senza avventurarsi in mille distinguo, perché quelli arriveranno dopo, col tempo: ma intanto chiarendo i termini di base. Una cosa che in Italia non fa nessuno: tutti vogliono spiegarti il dettaglio, darti la loro strampalata chiave di lettura, ma nessuno (o quasi) ti spiega l’insieme. Così non ci si capisce più niente e si alimentano le più tremende bufale. Insomma, più maestri: ci vogliono più maestri.
La seconda cosa di cui vi volevo parlare, invece, non ha nulla a che fare con l’attualità, ma riguarda qualcosa di cui mi avete chiesto più volte notizia. La domanda che forse mi sento fare più di frequente infatti è: come si può sostenere il canale YouTube e il podcast?
I modi per darci una mano e sostenerci (soprattutto nell’acquisto di libri, software e altro) sono vari e stanno addirittura aumentando. Abbiamo scelto infatti di offrirvi alcune opzioni che possono permettere al canale di tirare una boccata d'ossigeno ma allo stesso tempo a voi di ottenere qualcosa di utile e valido in cambio.
Il sistema è quello di sfruttare i nostri programmi di affiliazione. Se non sapete di cosa si tratta, l'affiliazione è un metodo attraverso cui noi guadagniamo qualche euro (o centesimo di euro) se voi comprate un bene su un negozio a cui siamo affiliati, senza nessuna maggiorazione di costi per voi.
Ad esempio se utilizzate un nostro link per andarvi a comprare un libro su Amazon, una piccola, anzi piccolissima, percentuale del prezzo di copertina finisce al nostro canale.
Proprio per questo motivo, abbiamo scelto due programmi di affiliazione che ci sembrano ben in linea con i nostri progetti: il primo è appunto Amazon, dove potete trovare libri di tutti i tipi, dalla filosofia alla storia, passando ovviamente per la narrativa. Molti di questi libri li segnaliamo continuamente qui nella newsletter o anche sotto ai video su YouTube.
L'altro programma di affiliazione è quello varato da poco con Domestika, col cui team ho collaborato molto negli ultimi giorni. Domestika è un portale, in origine spagnolo ma ormai sempre più radicato anche in Italia, che offre video-corsi a pagamento, al costo comunque di pochi euro, focalizzati sulla cultura e la creatività.
Se volete imparare a fare qualcosa di creativo, lì potete trovare lezioni di tutti i tipi, da quelle per imparare a usare un software a quelle invece più professionali ed avanzate.
Alcuni di questi corsi li ho frequentati anch'io e devo dire che, per il costo a cui sono offerti, sono davvero un affare, anche perché molto specifici e molto ben organizzati, oltre che originali.
Ogni settimana, quindi, vi segnalerò d'ora in poi sia un libro consigliato (di cui molti via mail mi hanno chiesto notizia), sia un corso Domestika che ho provato o che mi sembra particolarmente interessante per il mio pubblico. Se l’uno o l’altro vi dovessero attirare, finireste così per sostenere i nostri sforzi.
Più avanti, poi, vi proporrò – come vi avevo in parte anticipato – anche qualche altra cosa: sto lavorando da mesi anche a dei testi che prima o poi, quando saranno affinati, metterò a disposizione del pubblico. Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo. Intanto accontentatevi dei consigli della settimana, che trovate più avanti nella newsletter.
Infine, per chi non ha bisogno né di corsi, né di libri, c'è sempre il modo di sostenere il canale con una piccola donazione monetaria. Il link da seguire è il seguente.
Quello che ho registrato e pubblicato
Terminati gli annunci, facciamo, come al solito, anche una veloce panoramica sui video e sui podcast usciti questa settimana.
Tutto Nietzsche in un’ora: anche per Nietzsche è arrivato il momento del grande riassunto in (relativamente) poco tempo
Come muoiono i filosofi (di fine Ottocento e inizio Novecento): arriviamo alla pagina più nera, quella con anche i filosofi morti durante la Seconda guerra mondiale
Guerra Fredda: la coesistenza pacifica (1953-60): la seconda metà degli anni ‘50 fu segnata dalla distensione, momentanea, tra le due superpotenze, anche se i problemi erano comunque all’ordine del giorno
Marco Aurelio e Commodo: gli ultimi imperatori del gruppo degli Antonini, con nuovi problemi che si profilano all’orizzonte
Le ipostasi e la materia per Plotino (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Dalle cose all’Uno per Plotino (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’assolutismo di Luigi XIV (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Come dicevamo, lanciamo oggi una nuova rubrica in cui vi consigliamo qualcosa da comprare per voi che però può sostenere anche noi.
Il primo libro di filosofia di Nigel Warburton: ricevo molte mail in cui mi si chiede di consigliare un libro accessibile sulla filosofia. Se la si vuole studiare con metodo, forse è meglio partire da un manuale delle scuole superiori; se invece si vuole qualcosa di più discorsivo ma comunque abbastanza completo io di solito consiglio questo volumetto, edito da Einaudi, che presenta una summa di alcuni dei più importanti temi di cui la filosofia si è occupata lungo i secoli. Lo si può comprare qui (o cliccando nell’immagine qui sotto).
Principi di design per presentazioni: se fate lezione, sapete bene che di tanto in tanto una bella presentazione PowerPoint (o Keynote) può essere molto utile per catturare l’attenzione degli studenti o dell’uditorio. Il rischio, però, è di creare diapositive che non aiutino ma appesantiscano solamente il discorso; che non facciano cioè da supporto, ma rendano il tutto ancora meno fluido. Per evitarlo, ci sono delle tecniche anche di design che possono tornare molto utili. Questo costo di Katya Kovalenko costa 14 euro ma in 18 lezioni vi presenta tutto quello che c’è da sapere sull’argomento (e vi fa fare, se volete, anche degli esercizi per casa). Lo si compra qui.
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo, come sempre, con qualche anticipazione sui video e i podcast in preparazione:
presto arriverà il secondo video su Husserl, dopo quello, introduttivo, di qualche giorno fa;
mi piacerebbe preparare un video anche su Simone De Beauvoir, ma in realtà sono lievemente indietro sulla tabella di marcia, quindi non so se ci riuscirò questa settimana;
poi, per storia, parlerò anche in video della Spagna e delle Province Unite nel ‘600, visto che manca ancora un approfondimento sul tema;
per quanto riguarda i podcast, andremo avanti con Luigi XIV (in storia) e Proclo (in filosofia);
infine, mi piacerebbe anche realizzare a breve una diretta, magari vagamente legata al tema della guerra in Ucraina: ci sono tanti argomenti collaterali che meriterebbero di essere approfonditi, come il tema della “fine della storia”, quello delle false notizie o ancora quella della deumanizzazione del nemico. Vedremo. A voi cosa interesserebbe?
Per il momento questo è tutto. Ci vediamo, sempre qui, la settimana prossima!