Tra il pensiero di sinistra e Barbie, con in mezzo Stanley Kubrick, Marc Augé, Alessandro Manzoni, Giacomo Matteotti, Bluey, Jennette McCurdy ed Ippolito Nievo
E quindi ci siamo: luglio volge anch’esso al termine. Gli studenti si saranno accorti che siamo praticamente a metà delle vacanze. Avete fatto tutto quello che vi eravate programmati di fare durante la pausa estiva? Se no, conviene che cominciate a darvi una mossa perché da adesso in poi i giorni inizieranno a volare.
Non disperatevi, però: noi siamo sempre qua a preparare video, podcast e approfondimenti, a far partire nuovi progetti e a cercare di portare a termine quelli avviati. Come annunciavo la settimana scorsa, ci sono alcune novità importanti all’orizzonte: in primo luogo stanno per arrivare dei video sempre filosofici (o pseudo-filosofici) ma più personali. Il primo di questi video dovrebbe uscire in settimana, e vi lascerò qualche dettaglio in chiusura di newsletter.
Poi sto realizzando anche un video su Marc Augé, il celebre sociologo venuto a mancare nei giorni scorsi: uscirà anch’esso questa settimana.
Infine, proprio nelle righe seguenti troverete un’altra cosa di grande attualità: la recensione di Barbie, perché anch’io ho ceduto e sono andato a vedermelo. Senza contare che parleremo di star system anche con l’autobiografia di Jennette McCurdy, finalmente finita.
Insomma, c’è molta carne al fuoco anche questa settimana. E, considerate le temperature, quella del fuoco non è una metafora sbagliata. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri. Un volume ci lascia (e aveva cominciato a farci compagnia da pochissimo, perché l’ho letto particolarmente in fretta), mentre gli altri credo che ci faranno compagnia ancora per un po’.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: come ho già raccontato più volte, la lettura di Le confessioni d’un italiano sarà un’avventura piuttosto lunga. Il libro è infatti estremamente corposo, tanto da sfiorare le mille pagine, cosa che sorprende ancora di più se si guarda alla biografia del suo autore: Nievo, come forse sapete, fu un patriota veneto, combattente per l'unificazione italiana durante il Risorgimento, morto in circostanze piuttosto misteriose durante l'impresa dei Mille; e, soprattutto, morto ad un’età ancora molto giovane, ad appena 29 anni. Come quello che era poco più che un ragazzo abbia potuto scrivere diverse opere e un capolavoro così corposo (oltre che partecipare ad imprese militari rimaste nella storia), rimane per me un mistero: probabilmente nell'Ottocento c’erano molte meno distrazioni di oggi e chi ambiva a scrivere poteva gettarsi anima e corpo nella stesura del proprio romanzo, senza rimandarlo alla tarda età. In ogni caso, come si è già capito, il libro mi sta piacendo, anche se non sono ancora neppure a metà. La vicenda viene raccontata dal protagonista, l'autore appunto di queste confessioni, che ripercorre tutta la propria vita, dall'infanzia fino alla vecchiaia. Per ora sono ancora nella fase iniziale, visto che Carlino – questo il nome del protagonista – ha attraversato l’infanzia ed è ormai nella fase dell’adolescenza. In ogni caso, già in così pochi anni, ne ha viste di cotte e di crude: vive nel castello di Fratta, una località poco distante da Portogruaro, tra il Veneto e il Friuli, all'epoca degli ultimi decenni di vita della Repubblica di Venezia che sta per essere travolta dagli eventi della Rivoluzione francese e della discesa in Italia di Napoleone. Carlino, però, vive relativamente protetto nel castello dei nobili locali, di cui è una sorta di figlio adottivo: viene educato ma senza troppe speranze che possa in futuro assumere un ruolo di prestigio, mentre tutta l'attenzione è rivolta soprattutto alle due contesse, la più grande, Clara, corteggiata da diversi personaggi, e la più piccola, la “Pisana”, praticamente coetanea di Carlino e dal carattere molto forte. Attorno a loro Nievo riesce a tratteggiare tutta la “fauna” del Veneto di fine Settecento, tra nobili veneziane che vanno a svernare in campagna senza rendersi conto della fine che si fa sempre più vicina e feudatari locali che si danno al malaffare e perfino all'assalto dei castelli per tramare assieme all’Impero asburgico. E poi ci sono anche banditi, popolani, uomini di chiesa, nobili piccoli e grandi e signorotti locali che mirano ad imparentarsi con quei nobili pur essendone diversi: insomma tutta la società del tempo viene abilmente descritta dallo scrittore con un tono tra il serio e il faceto, non risparmiando delle stoccate pungenti nei confronti di questo mondo in decadenza ma allo stesso tempo anche guardandolo con una sorta di nostalgia. E direi anche che è proprio lo stile di Nievo a costituire l'elemento più importante della narrazione, capace di nobilitare vicende che altrimenti sarebbero tutto sommato di poco conto. Si tratta sicuramente di un libro un po’ datato, quindi, anche perché è stato scritto più di un secolo e mezzo fa e la prosa ne risente, ma allo stesso tempo è un romanzo anche molto moderno, che sa ridere di se stesso e del mondo che mette in scena. Se vi interessa, lo potete trovare qui.
Sono contenta che mia mamma è morta di Jennette McCurdy: come avevo in parte preannunciato, ho divorato e quindi rapidamente finito anche Sono contenta che mia mamma è morta di Jennette McCurdy, da poco pubblicato in Italia presso Mondadori dopo che aveva suscitato un certo scalpore l'anno scorso negli Stati Uniti. L’ho divorato perché si tratta in primo luogo di un libro scritto bene: di solito quando ci si approccia all'autobiografia di una star, soprattutto di una star della TV, non c'è da aspettarsi molto a livello di prosa o di narrazione: tutto è un po’ tirato via, il linguaggio pare quello di un’intervista e l’interesse d’altra parte è quasi tutto spostato verso i fatti che vengono raccontati e non su come vengano raccontati. In questo caso, però, le cose stanno in modo diverso: un po’ perché i fatti presentati sono estremamente personali, un po’ perché evidentemente la McCurdy sta cercando di costruirsi una carriera proprio nel campo della scrittura, il libro risulta scritto obiettivamente bene, pur senza essere difficile o elaborato. Si tratta infatti di una sorta di autobiografia, raccontata però come se fosse un diario: questo vuol dire che man mano che l'attrice cresce, cambia anche il tono con cui racconta, cambia anche la voce della narratrice. Quando presenta gli eventi dell'infanzia assume una voce che sembra quella appunto di una bambina, mentre quando racconta i fatti dell’adolescenza e della post-adolescenza la voce della narratrice si fa via via più adulta. Questo non lo si vede solo nella scelta dei termini o nella costruzione della frase, ma anche nei concetti che vengono esposti: da bambina tutto quello che viene raccontato viene visto piuttosto ingenuamente, anche se ovviamente noi lettori riusciamo bene a capire cosa c'è dietro ai fatti; crescendo, invece, aumenta la consapevolezza della narratrice, che riesce quindi a fare finalmente i conti con sé stessa, con la propria storia. Brevemente, la trama: Jennette McCurdy forse non la conoscete di nome ma sicuramente la conoscete di faccia, visto che è stata una delle più famose star della TV per ragazzi di 10 o 15 anni fa. Interpretava infatti il personaggio di Sam Puckett in due serie TV di grande successo di Nickelodeon, iCarly e Sam & Cat, e quindi da ragazza divenne una vera e propria diva, premiata in giro per gli Stati Uniti e per il mondo, finendo sulle copertine di decine di riviste e venendo perfino lanciata nel tentativo di sfondare nel campo della musica, come in quegli anni d’altra parte succedeva ad altre sue colleghe come Ariana Grande o Selena Gomez. Contrariamente però a queste due che ho appena citato, la McCurdy non è realmente riuscito a costruirsi una carriera da attrice dopo quell’iniziale successo: il motivo principale sta nel fatto che ha sofferto e in parte continua ancora a soffrire di una serie di problemi psicologici anche piuttosto gravi derivanti da un rapporto tossico con la madre, che comunque è venuta a mancare ormai più di dieci anni fa. Nel libro la McCurdy racconta come fosse la madre a volerne fare una star della TV fin da quando era bambina, come fosse la madre a controllarne costantemente il peso, tanto da indurla prima all’anoressia e poi alla bulimia, come fosse la madre a controllarle il seno e alla vagina sostanzialmente fino alla maggiore età, come questa donna le infliggesse pesantissimi abusi psicologici lavorando sui sensi di colpa legati poi anche alla malattia, il cancro di cui questa madre soffriva. Insomma, quando si compra e si legge la biografia di una star ci si aspetta sempre grandi successi, delle risate e magari qualche pettegolezzo su altri grandi attori; qui invece ci si immerge in una serie di orrori quotidiani, che però ci danno una panoramica reale su un mondo che sembra sempre affascinante ma che poi nasconde sotto il tappeto problemi anche molto gravi. La lettura è forte, dura, ma altamente consigliata: io non sono uno che di solito apprezza questo genere di libri ma questa volta ne sono rimasto molto colpito in positivo. Lo potete acquistare, se volete, a questo link.
La valutazione che educa di Cristiano Corsini: tra le altre cose in questi giorni, alternando romanzi e memorie, sto leggendo anche qualcosa di inerente alla scuola e alla filosofia dell'educazione. In realtà sto portando avanti la lettura in parallelo di diversi libri, ma questa settimana mi vorrei soffermare di nuovo su questo libriccino da poco uscito, che si intitola La valutazione che educa e di cui ho parlato già qualche settimana fa. Si tratta di un saggio scritto da un professore di pedagogia dell'università (insegna a Roma Tre, da quanto ho capito) in cui si insistere parecchio su quello che non funziona nel campo della valutazione in Italia. La tesi principale è che nel nostro paese, infatti, si diano poche valutazioni e molti voti, quando invece dovrebbe avvenire esattamente il contrario: dovremmo valutare con spiegazioni articolate, con giudizi e con indicazioni sul lavoro da fare, e invece diamo solo numeri, nient’altro che numeri. Questo eccesso di voti, infatti, secondo Corsini è la causa principale del sempre maggiore malessere che gli studenti manifestano a scuola ed è anche un modo per imporre pratiche di potere tra insegnanti e alunni che sono poco democratiche e che non aiutano veramente la crescita degli studenti. In buona misura mi trovo anche d'accordo con questa tesi, pur con qualche distinguo. Penso anch'io che uno dei problemi più gravi della scuola, almeno delle superiori, sia che viene ancora percepita sia dagli studenti che dagli insegnanti come un luogo di potere, un luogo cioè in cui la classe insegnante dispensa favori e meriti a seconda del modo in cui gli studenti obbediscono ai diktat. E penso anche, proprio per questo, che il voto venga utilizzato spesso proprio in questa chiave, proprio per premiare chi obbedisce e soddisfa le aspettative del docente. Questo d'altronde – l'abbiamo visto anche coi fatti di cronaca più recenti – è il modo in cui anche la società italiana intende la scuola e il voto, segno che non c'è ancora stata, e forse non ci sarà mai, una profonda e ampia discussione sul senso del nostro sistema educativo. Lo dico da sempre: la scuola non dovrebbe servire a punire qualcuno e a premiare qualcun altro, ma a far crescere un po' tutti e a permettere anche a chi è in difficoltà di rientrare in qualche modo nel consesso sociale. Sono convinto quindi che la valutazione – che significa, sostanzialmente, esprimere un giudizio articolato che mostri allo studente i modi per migliorare e crescere – sia sicuramente uno strumento utile per affrontare il problema. Non penso però che sia la panacea di tutti i mali: il problema è più profondo di così e non basta qualche parola in più e qualche numero in meno per trasformare magicamente la scuola italiana, come molti pedagogisti pensano. Inoltre, non penso che sia per forza necessario abolire i voti: come sto cercando di dire anche una serie di video che sto preparando, il confronto con il voto, cioè con un numero che tenta di far confrontare in maniera sintetica la performance dello studente con la realtà, penso sia ancora necessario; anzi, temo che una scuola totalmente priva di voti non sia una scuola che davvero aiuti i ragazzi a confrontarsi col mondo. Non vorrei cioè che, pur lavorando nella giusta direzione, non crescessimo ancora di più queste generazioni in un ambiente iperprotetto, in un ambiente comunque fittizio da cui prima o poi dovranno uscire. E uscire da un ambiente iperprotetto per essere catapultati nel mondo, senza prima una parziale preparazione, vuol dire essere abbandonati a se stessi e cadere duramente. Sono convinto che l'eccesso di voti faccia malissimo, ma che allo stesso tempo l'eccesso di personalizzazione faccia male allo stesso modo, e che tra voti e valutazioni si debba trovare un compromesso che eviti le storture di un sistema e dell’altro. Se il libro vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Sul versante film questa settimana non c’è solo Barbie: vi segnalo anche un importante film storico e una bella serie per bambini di cui si è parlato abbastanza sul web e sulla carta stampata.
Il delitto Matteotti (1973), di Florestano Vancini, con Mario Adorf, Vittorio De Sica, Franco Nero: d'estate tendo, quando ho finalmente un po' di respiro, a dedicarmi a qualche progetto un po’ più ampio, anche in vista del futuro anno scolastico. È stato proprio in estate, ad esempio, che sono nate le dispense di filosofia che conoscono i miei studenti e gli abbonati al canale YouTube: una sorta di manuale scritto da me che ormai conta migliaia e migliaia di pagine. Da tempo proprio i miei studenti mi chiedevano di fare qualcosa di simile anche per storia e nei giorni scorsi ho cominciato in effetti il lavoro, non tanto scrivendo il testo del manuale vero e proprio, ma raccogliendo per ora quelli che sono i documenti che vorrei mettere in appendice ad ogni capitolo. Essendo partito dal volume di quinta, quindi dal Novecento, mi sono così messo alla ricerca di discorsi parlamentari, vignette satiriche, telegrammi riservati ed altre fonti famose e già note che però può essere utile presentare agli studenti di quinta superiore. Ovviamente, tra tutti questi documenti sono andato a ripescarmi anche i famosi discorsi parlamentari di Mussolini, quelli che segnano la nascita della dittatura fascista in Italia: in particolare il cosiddetto “discorso del bivacco” e quello del 3 gennaio 1925, che menziono sempre ai miei allievi ma che sarebbe bello anche leggere per intero. E proprio recuperando quei discorsi, mi sono imbattuto nell'altrettanto importante, ma forse meno famoso, ultimo discorso di Giacomo Matteotti alla Camera, l'intervento che probabilmente provocò la violenta reazione dei fascisti e la morte del parlamentare polesano. Quel discorso l'avevo studiato varie volte, ma forse non l'avevo mai letto per intero, e ho così rimediato ad una mia falla; ma facendolo, devo dire la verità, mi sono anche un po’ commosso. L'affare Matteotti, per me che sono rodigino e storico contemporaneista, è cosa arcinota: vivo a pane e Matteotti da quando ero alle elementari (e non lo dico per dire: ricordo di aver citato Matteotti anche all'esame di quinta elementare!). Eppure leggere le sue parole – così chiare, così nette, in un'aula che gli era profondamente ostile e che lo minacciava ad ogni parola (nel verbale della seduta sono riportati anche gli insulti e le minacce neppure troppo velate di gentaglia tipo Farinacci) – mi ha colpito come se fosse stata la prima volta che ne sentivo parlare. Nella fermezza e nella dirittura morale del deputato socialista si vede qualcosa di epico e commovente allo stesso tempo. Sulla scorta di tutto questo, ho deciso anche di recuperare e guardare il film Il delitto Matteotti, realizzato ad inizio anni '70, ormai cinquant’anni fa, e che si apre proprio con uno stralcio di quel discorso; un film forse narrativamente un po' freddo, ma importante, perché accurato e in grado di raccontare gli eventi in modo chiaro, rimettendoli in ordine. C'è anche un cast di primissimo livello: Matteotti è interpretato da un giovane ma incisivo Franco Nero, il giudice che indaga sul caso ha il volto di Vittorio De Sica, affiancato da un bravo Renzo Montagnani; e poi ci sono Mario Adorf, Gastone Moschin, Umberto Orsini, Damiano Damiani e tanti altri ottimi caratteristi. A volte mi chiedo, davanti a tanti documenti e tante fonti, come ci possano essere ancora ammiratori del fascismo, di una forza politica che è stata sostanzialmente una forza di violenza vigliacca, esercitata al sicuro dell'appoggio della Chiesa, dell'esercito e dello Stato. Eppure i nostalgici, che vedono solo quello che vogliono vedere, ci sono ancora. Il film lo trovate intero su YouTube, e vale la pena guardarlo.
Barbie (2023), di Greta Gerwig, con Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera: ebbene sì, dopo aver mandato avanti la moglie e la figlia, anch’io questa settimana ho visto Barbie: se ne parlava troppo per esimermi dal compito. L’ho visto, devo dire, con una serie di strane aspettative: ne avevo letto molto e sentito parlare altrettanto, e quindi forse non ero nelle condizioni migliori per un giudizio del tutto sereno. Le anticipazioni viaggiavano su tre direttrici: primo, c’era stato il giudizio della moglie e della figlia, che avevano definito il film carino ma non straordinario (la figlia tredicenne, in particolare, mi ha detto: «Sì, simpatico, ma mi avevano creato così tante aspettative che mi aspettavo chissà che»); secondo, c’era stata qualche recensione letta qua e là, che l’aveva definito molto divertente e intelligente, ma anche un po’ didascalico; terzo, qualcuno mi aveva detto che comunque anche se fossi andato a vederlo non l’avrei capito (non so se in quanto uomo, in quanto vecchio, in quanto prof o per una strana combinazione delle tre cose assieme: ma probabilmente mi stavano solo prendendo in giro). Insomma, non ero, come si capisce, nelle condizioni migliori, ma ho affrontato l’impresa comunque. E come ne sono uscito? Be’, diciamo un po’ stranito. Il film è carino e simpatico, è vero, e secondo me non è però un capolavoro: su questo sono d’accordo con mia figlia. Allo stesso tempo, però, rispetto ad alcune recensioni che ho letto mi sembra che i motivi che mi spingono a questa valutazione siano diversi da quelli degli altri. In primo luogo, io non l’ho trovato poi così divertente: certo, ci sono un paio di battute azzeccate, ma francamente non ho riso nemmeno una volta. Da questo punto di vista ci sono film molto più divertenti; e, come rimarca la voce fuori campo, non si possono francamente fare battute sulla cellulite di Margot Robbie e pretendere che la cosa abbia senso. Però, al contrario di altri, a me è piaciuta la parte che certi critici hanno trovato “didascalica”, soprattutto perché secondo me non è davvero didascalica: lo sembra, ma non lo è. Mi spiego meglio. La vulgata che si è ormai diffusa è che Barbie giochi sul mito della bambola della Mattel per mostrarci quanto il nostro mondo sia ancora patriarcale e maschilista, e ce lo dica in tutte le salse. Sì, in parte è vero, questo tema c’è; ma mi sembra che non sia questo il messaggio finale della Gerwig. Perché la regista non ci sta solo mostrando il matriarcato: lo sta anche deridendo, esattamente come deride il patriarcato. Non è ridicola anche Barbieland, con le donne che occupano qualsiasi posizione di potere e vincono premi Nobel assurdi mentre i maschi vengono ridotti ad oggetto? Non è ridicola Barbie che diventa “una persona vera”, alla maniera di Pinocchio, quando il grande passo avanti che ottiene è poter andare dal ginecologo? Ha lottato così tanto per cosa? Per la possibilità di avere una vagina? Insomma, quella che molti ritengono essere la morale del film secondo me è in realtà un’altra presa in giro, più sottile ma non meno interessante. A me pare che il messaggio del film non sia, cioè, “viva le donne”, “potere alle donne” o quel che volete, ma “usciamo da questa contrapposizione uomo-donna perché è ridicola”. In questo senso, il vero eroe del film è secondo me il Ken interpretato da Ryan Gosling: è lui che fa un percorso di presa di coscienza, è lui che capisce che se vuole essere qualcosa deve viversi indipendentemente dai ruoli e dalla controparte. E, per inciso, Ryan Gosling è davvero spettacolare nel ruolo: regge tutta la pellicola sulle sue spalle. Margot Robbie, che è pure brava, non è realistica nella Barbie in crisi di mezz’età; Ryan Gosling invece è perfetto per fare l’uomo bello e stupido. Comunque di tutto questo tornerò presto a parlarvi: sto preparando un video per approfondire quello che ho cercato di spiegare qui in poche righe, sperando che abbia senso. Intanto, il film lo trovate sicuramente ancora al cinema.
Bluey episodi da 1.01 a 1.06 (2018), di Joe Brumm: qualche settimana fa su ilpost.it, una delle poche testate giornalistiche che seguo con relativa costanza, è spuntato un articolo su un cartone animato che mi ha sorpreso (lo potete recuperare qui): non tanto perché mi stupissi che ne parlasse un giornale, visto che ormai la produzione di cartoni animati seriali è spesso di ottimo livello, quanto perché di quel cartone non avevo mai sentito parlare. Avendo quattro figli di età molto diversificate, infatti, negli ultimi 15 anni mi sono sempre vantato di conoscere più o meno tutto quello che viene trasmesso in televisione per un pubblico di bambini; anche perché, nel giro di poco tempo, devi essere in grado di capire cosa sia da evitare e cose invece sia imperdibile, in modo da cercare (per quanto possibile, cioè pochissimo) di indirizzare le scelte dei pargoli. Eppure di questo cartone animato di nome Bluey non avevo mai sentito parlare, forse perché sto diventando vecchio o perché i miei figli stanno crescendo. Incuriosito da questo nuovo fatto all'orizzonte, ho cercato subito di recuperare il titolo, che effettivamente è disponibile in maniera piuttosto semplice su Disney+, con tutte e tre le stagioni finora realizzate, e addirittura anche gratuitamente su RaiPlay con le prime due stagioni. Vedendo i primi episodi mi sono comunque reso conto del perché non lo conoscessi: a prima vista pare pensato per un pubblico di bambini piuttosto piccoli, che frequentano l'asilo o le prime classi delle elementari, mentre i miei figli ormai stanno crescendo e cercano qualcosa di più maturo; diciamo che in linea di massima il pubblico a cui Bluey si rivolge è sostanzialmente quello di Peppa Pig, che andava molto di moda qualche anno fa. Ciò nonostante, ci siamo comunque imbarcati nella visione di vari episodi dello show e devo dire che ci è piaciuto molto, sia che avessimo 8 anni, sia che ne avessimo quasi 44. La serie è certo un cartone per bambini, ma è inaspettatamente intelligente e soprattutto fantasiosa. In ogni puntata, infatti, le due bambine protagoniste, che hanno le fattezze di due cagnoline, si imbarcano in giochi di grande fantasia, fingendo di essere dottoressa o statue, marinaie o inventrici, e finiscono spesso per coinvolgere nei giochi anche i loro genitori e in particolare un papà particolarmente avvezzo a queste cose: così nascono puntate piuttosto brevi, della durata di pochi minuti, ma che in certi casi fanno ridere e deliziano anche lo spirito. Insomma, vale sicuramente la pena di dare alla serie una possibilità. Come detto, la trovate sia su Disney+ sia, con qualche puntata in meno, su RaiPlay.
Quello che ho pensato
Ho sempre avuto una certa simpatia per il pensiero di sinistra. Al di là delle posizioni politiche, infatti, i filosofi di sinistra hanno speso avuto la capacità di porre temi importanti, di criticare l'esistente, di proporre mondi alternativi (magari utopistici, ma pur sempre alternativi) e così di far muovere il pensiero. E, per quelli a cui piace pensare, non c’è niente di meglio di qualcuno che pensi fuori dagli schemi, indipendentemente poi dal fatto che abbia ragione o torto.
Negli ultimi tempi, però, questo mondo intellettuale – o almeno la filosofia “di sinistra” di oggi – mi sta cadendo un po' in disgrazia, e penso si sia capito anche da quello che ho scritto nelle ultime settimane riguardo all’ultimo libro di Byung-chul Han. Non tanto per una questione politica o ideologica: più per una sensazione emotiva.
Non credo che sia un problema solo mio: si tratta di una sorta di scoramento davanti a un mondo intellettuale che dopo il 1991 ha preso una piega diversa rispetto a quanto lo contraddistingueva prima di quella data. O ha calcato ancora più la mano su certi aspetti che prima erano secondari.
Cerco di spiegarmi meglio e di entrare più nello specifico. Il problema di fondo è che, a mio avviso, questi intellettuali post-marxisti (da Chomsky a Han a chi volete voi) non vengono ormai più letti per cambiare il mondo, ma solo per trovare consolazione; non vengono letti dalla classe operaia o da chiunque possa ergersi a soggetto rivoluzionario (immigrati, esclusi ecc.), ma da una piccola borghesia istruita che vuole tutto fuorché la rivoluzione. E anche loro pubblicano libri essendo ben consapevoli di questo: non scrivono perché vogliono che le loro idee cambino il mondo, ma per offrire un retroterra culturale a chi si lamenta della rovina del mondo stesso, del capitalismo, del potere, dei social network o di quello che volete.
Se lo sapesse Marx, temo che si rivolterebbe nella tomba. Lui – al di là del fatto che avesse ragione o torto – voleva cambiare il mondo ed era convinto che quel cambiamento fosse possibile; voleva migliorare le condizioni materiali del proletariato, convinto che quelle spirituali sarebbero migliorate di conseguenza. C'era insomma un grande ottimismo nella sua proposta politica e filosofica, oltre che una grande portata di innalzamento sociale, educativa. Lo diceva lui stesso: la sua era una filosofia della prassi, un programma d’azione. Anzi, la critica alla borghesia – classe che da un certo punto di vista perfino ammirava – era funzionale ad agire, non fine a se stessa.
Il marxismo di oggi (ammesso che questa sinistra filosofica possa definirsi marxista) è tutt'altro. È segnata da un pessimismo che non lascia spazio ad alcuna speranza. È segnata da una critica dell’esistente che non riesce ad andare oltre se stessa. È critica per il gusto di criticare, godendo pure di quanto si sia controcorrente, di quanto si sia “pensatori eretici” o di quanto si sia voci fuori dal coro. A Marx non interessava essere fuori dal coro: voleva dirigere il coro.
D’altronde, questi libri vengono oramai letti solo da figli di borghesi che non hanno certo problemi materiali; e sono scritti esclusivamente per loro. Sono pieni di citazioni dotte, altisonanti; si richiamano ai greci, ad Hannah Arendt, a Hegel. Figuratevi voi se un operaio o un migrante può leggere qualcosa del genere! Sono libri scritti per studenti universitari che possano rimanere incantati davanti alle tirate dei loro professori, per formare nuove generazioni di borghesi che, dalle loro cattedre in università altrettanto borghesi, si lamenteranno un giorno del capitalismo imperante, magari scrivendo le loro invettive su un MacBook Pro.
Insomma, questi libri vengono letti, temo, principalmente per piangersi addosso. Anzi, la sparo più grossa: per esternalizzare il proprio malessere. Perché il fine non è il cambiamento, come dicevo, ma la consolazione.
Han e soci, infatti, esprimono sottotraccia un messaggio molto chiaro: se non ti trovi a tuo agio in questa società, sappi che non è colpa tua, ma della società stessa. È la società (o meglio ancora il capitalismo) ad essere ingiusta, priva di senso, sfruttatrice, violenta, stupida. Tu non c'entri nulla, non è colpa tua. E se non senti la forza di farci nulla, se non hai voglia di agire, stai tranquillo: leggi e lamentati assieme a noi.
Basta guardare i titoli delle loro opere per rendersi conto di quale sia il vero messaggio: La società della performance, La società della sorveglianza, La società della stanchezza, Infocrazia e così via. Il problema non sei mai tu, è sempre quello che sta attorno a te.
E, attenzione, non è una classe sociale o un gruppo, il responsabile di questo: è la società nella sua interezza. Tutti, e quindi nessuno. È una forza sovrumana contro cui nessuno può opporsi, perché non si sa dove stia e chi la guidi. Certo, puoi sentirti migliore degli altri, perché tu almeno hai capito come si muove questa forza sovrumana, tu hai squarciato il velo di Maya e hai visto qual è la vera natura di questo capitalismo: ma più di questo, non sai cosa fare. Ti puoi vantare di sapere, ti puoi sentire migliore degli altri, ma nulla più.
Marx, perdonatemi, era diverso. Non scriveva libri per consolare o deresponsabilizzare gli operai, né per sentirsi più furbo degli altri. Scriveva libri per mostrare i problemi e indicare immediatamente come agire, cosa chiedere e a chi chiederlo. Erano libri d'azione, mentre quelli di oggi sono libri per l'inazione.
Il marxismo di oggi è come la mamma che davanti a un brutto voto ti dice che è colpa del sistema: chissà, magari potrebbe anche essere vero, ma dirti che è colpa del sistema non serve a nulla; dovrebbe dirti come uscire da questa situazione, non che sei tanto bravo e che è il mondo a non capirti.
Ma, se ci pensate bene, è la tendenza di tutta la nostra generazione: quella di consolarci continuamente a vicenda, senza far nulla o quasi per cambiare la realtà. Quanti genitori hanno questo atteggiamento coi loro figli, atteggiamento che li porta a non assumersi responsabilità ma solo a cercare qualcuno che dica “è colpa di qualcun altro” o, meglio ancora, “di qualcos'altro” (perché una forza impersonale a cui dare la colpa la si trova sempre)?
Quanti ragazzi, davanti a un brutto voto, non fanno nulla per cambiare, ma pensano che sia colpa della scuola? Certo, la scuola ha mille difetti, ma bisogna sforzarsi di indicare quali e di intervenire su di essi.
Lo stesso vale per la società, lo stesso vale per il capitalismo: non serve a nulla piangere lacrime amare o invocare soluzioni inattuabili (la decrescita felice, ad esempio), che non vogliono neppure quelli che le sostengono. Servono proposte concrete, dirette, eseguibili e verificabili.
Ma il brutto delle proposte concrete è che poi bisogna metterle in pratica. Bisogna rimboccarsi le maniche e fare qualcosa, rimettendoci tempo e fatica; senza poi essere sicuri di farcela: si potrebbe anche fallire, sbagliare, non raggiungere l’obiettivo.
Vuoi mettere quanto più comodo è starsene sul divano a lamentarsi del mondo? Quanto più vantaggioso è tenere conferenze e scrivere libri sui mali del nostro tempo, piuttosto che cercare di risolverli?
Quello che ho registrato e pubblicato
Basta ora coi grandi discorsi: passiamo ai video e ai podcast usciti questa settimana.
La filosofia di Stanley Kubrick: uno dei più grandi registi di tutti i tempi passa sotto la nostra lente di ingrandimento
Il pensiero di Manzoni: concludiamo il discorso su Alessandro Manzoni, parlando delle sue idee sulla storia, sull’arte, sulla religione
Storia dei consumi 6: i luoghi del divertimento: a fine Ottocento i consumi crebbero anche perché nacquero luoghi appositi in cui andare a spendere, come cinema e luna park
“Sulla libertà” di Stuart Mill - parte 6: nuovo capitolo dell’opera di John Stuart Mill dedicato alla libertà d’opinione
La conoscenza e il metodo per Galileo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Seconda Rivoluzione Industriale (per il podcast “Dentro alla storia”)
La fabbrica taylorista e fordista (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Nonluoghi di Marc Augé: come dicevamo anche in apertura, nei giorni scorsi è venuto a mancare lo studioso francese Marc Augé, a cui dedicheremo presto un video. Forse vale la pena, però, di recuperare anche il suo libro più importante, uscito diversi anni fa ma ancora estremamente attuale, in cui presenta una sorta di antropologia degli aeroporti, dei centri commerciali, degli autogrill. È molto agile e leggibile, costa solo 13 euro e lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
La Nuova Roma di Paul Stephenson: ne ho parlato qui;
Oltre gli stati di Anthony Pagden: ne ho parlato qui;
Il mondo dei colori di James Fox: ne ho parlato qui;
The Experience Machine di Andy Clark: ne ho parlato qui;
Breve storia della medicina di Jean Starobinski: ne ho parlato qui;
Otto lezioni sull’Africa di Alain Mabanckou: ne ho parlato qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo con una veloce panoramica sui video in lavorazione e in arrivo, di cui qualcosa vi ho già detto nelle righe precedenti:
già domani spero di riuscire a completare un video su Barbie, per spiegare in maniera più diffusa la mia interpretazione del messaggio del film;
poi arriverà una miniserie in due parti (la prima questa settimana, la seconda tra qualche giorno) dedicata alla storia della dittatura militare in Argentina tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli anni '80;
quindi sarà la volta del primo video di una serie dedicata a quella che ho chiamato la mia “anti-filosofia”: vi anticipo il titolo, che sarà “L’importante è fallire”;
infine realizzerò una lezione sul pensiero di Marc Augé di cui vi parlavo all’inizio e una sulla preistoria (parleremo di uomo di Neanderthal e homo sapiens, tra le altre cose);
per quanto riguarda i podcast, poi, finiremo Galileo e parleremo di medicina e igiene a fine Ottocento.
Questo è tutto. Lunedì prossimo, se tutto va come deve, vi scriverò direttamente da Praga. Direte: ma non ci eri già stato da poco, nella capitale ceca? Sì, ci ho accompagnato in gita la mia quinta lo scorso aprile, ma giustamente la moglie ha detto che adesso devo portarci anche la famiglia, e finché sono fresco coi ricordi forse ne vale la pena (anche perché ho un buon quantitativo di corone ceche ancora da spendere). Ci sentiamo da là!