Tra soggettivismo, prospettivismo e ricerca dell'oggettività, parlando anche di Only Murders in the Building, Jean-Paul Sartre, Bluey, l'Attraversaspecchi, DuFer e il trio britannico Bacone-Hume-Mill
E quindi ci siamo. Ferragosto è alle porte e dopo di esso potremo cominciare a recitare il solito mantra dell’estate che sta finendo, dell’inizio dell’anno scolastico che si sta avvicinando e tutto il resto.
Avrete letto, probabilmente, della polemica sorta qualche settimana fa quando il Ministero ha annunciato che gli esami di recupero del debito (quelli dei “rimandati a settembre”) si sarebbero dovuti svolgere entro il 31 agosto. C’è stata una levata di scudi sui giornali, una protesta diffusa per le ferie accorciate e così via, tanto che alla fine il Ministero ha fatto marcia indietro e rinunciato all’iniziativa.
Dalle mie parti siamo rimasti abbastanza basiti, perché saranno almeno 10 anni che noi facciamo esami e scrutini tutto entro il 31 agosto. Non sapevamo nemmeno che la cosa fosse facoltativa: io personalmente credevo fosse obbligatorio finire ad agosto. Siamo un paese dal punto di vista amministrativo assai accentrato, ma poi da regione a regione (e a volte anche da provincia a provincia) tutto cambia enormemente. Non c’è un’Italia, ce ne sono almeno venti, forse di più.
Quindi in realtà io sarò già in servizio lunedì 21 col comitato di valutazione; poi nei giorni successivi arriveranno esami, scrutini, riunioni… insomma, sarà una bella cavalcata. Intanto godiamoci questi ultimissimi giorni di vacanza, che cercherò di sfruttare per portarmi ancora un po’ avanti col lavoro, sia per scuola che per il canale, con un po’ di calma.
Voi riposatevi e non dimenticatevi di gustare un po’ di storia e di filosofia anche sotto l’ombrellone.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dai libri: in lista questa settimana ci sono tre novità o comunque libri di cui non parlavamo da un pezzo.
La parola a don Chisciotte di Rick DuFer: proprio per rendere più variegato il menù, questa settimana, mentre ero in viaggio, ho cominciato a leggere l'ultimo libro di Rick DuFer, La parola a don Chisciotte, edito da Feltrinelli. L'avevo acquistato qualche mese fa, ma poi non l'avevo iniziato, soprattutto perché l'idea di fondo su cui è impostato il libro sulle prime non mi attirava granché. In questo volumetto infatti lo youtuber immagina di effettuare delle interviste a dei personaggi letterari, tra cui Voldemort, il Winston Smith di 1984, appunto don Chisciotte e altri ancora. Visto che questi personaggi li conosco già fin troppo bene e che queste “interviste impossibili” mi sembrano in genere, nel migliore dei casi, un po' forzate, ho insomma rinviato l'inizio. Ho rotto però gli indugi nei giorni scorsi e devo dire che l'esito è stato tutt'altro che negativo. Rimango dell'idea che queste interviste non funzionino di per sé troppo, ma bisogna anche ammettere che DuFer le riduce in realtà al minimo, dando spazio invece alle proprie riflessioni personali. L’idea di avere davanti Voldemort o Dracula, insomma, è veramente solo un spunto per dare il via al monologo. E quando ha tempo di articolare il ragionamento, lo youtuber si rivela appunto più di un semplice youtuber. Certo, non aspettatevi un libro di profonda filosofia, visto che si tratta pur sempre di un'opera divulgativa e pensata per il grande pubblico; ma in ogni caso in alcuni passaggi il ragionamento si rivela interessante e i riferimenti anche all'attualità sono spesso convincenti. Inoltre il libro ha secondo me un ulteriore pregio: nei suoi video DuFer mi pare lanciarsi spesso in polemiche, mostrare un fare molto battagliero e, se vogliamo, partigiano, che tende a polarizzare le questioni; tanto è vero che il giovane filosofo ha sul web appassionati ammiratori e, in misura minore, feroci detrattori, ma difficilmente lascia indifferenti. Nel libro, invece, il tono si fa più pacato e riflessivo, meno netto e provocatorio, e questo secondo me aiuta a rendere il tutto più interessante. Se il volumetto vi incuriosisce, lo potete comprare qui.
L’Attraversaspecchi vol.2. Gli scomparsi di Chiardiluna di Christelle Dabos: se seguite questa newsletter da un po’ di tempo, sapete che in estate, almeno fino all'anno scorso, leggevo molti libri in auto con la mia famiglia. Anzi, più che leggerli li ascoltavo: infatti grazie all'abbonamento a un servizio di audiolibri – e collegando il cellulare all'autoradio – ci siamo sentiti alcuni grossi romanzi. Si tratta di un modo interessante di far passare il tempo durante un lungo viaggio. Quest'anno, però, per un motivo o per l’altro non avevamo ancora fatto viaggi particolarmente sostanziosi in auto, o quando li abbiamo fatti non eravamo tutti assieme; così erano mesi che non riprendevamo la nostra lettura in sospeso. Proprio questo lunedì, recandoci a Bergamo per prendere l'aereo per Praga, abbiamo però ricominciato l’ascolto condiviso del secondo romanzo della saga dell’Attraversaspecchi di Christelle Dabos, e tra viaggio d'andata e di ritorno siamo riusciti a finirlo. Non vi rivelerò ovviamente il finale, ma forse qualche nota sulla trama posso scriverla senza colpirvi con spoiler eccessivi. I protagonisti della saga sono due ragazzi, una certa Ofelia, dotata della capacità di attraversare gli specchi e di “leggere” la storia degli oggetti (e dei loro possessori) semplicemente toccandoli, e un certo Thorn, il suo promesso sposo, che invece vive in una specie di grande nord mitologico e occupa una posizione di potere e di responsabilità in quel paese. I due sono protagonisti, nel primo romanzo della saga, di un matrimonio combinato che viene annunciato subito, ma che poi tarda a realizzarsi: Ofelia deve infatti immergersi in tutti gli intrighi di corte e imparare a conoscere il suo nuovo partner, che è tutt’altro che aperto. Nel secondo romanzo, poi, la trama s'infittisce, perché alle questioni amorose e politiche si aggiungono anche delle strane sparizioni, con una sorta di giallo da svelare; inoltre, a far da sfondo a tutto c'è anche un misterioso libro che Faruk, lo spirito guida del mondo di Thorn, deve far studiare proprio ai due sposini, capaci forse di leggerne la storia. Non vi rivelo come tutto questo vada a finire, ma in generale devo dire che il secondo romanzo della saga mi ha confermato in quanto avevo già detto riguardo al primo. Ricorderete forse che il corposo volume d’esordio non mi aveva troppo convinto: lo trovavo accattivante e riuscito nella creazione della suspense, ma meno convincente nella definizione dei personaggi e del senso ultimo della storia; ebbene, anche nel secondo romanzo tutto questo ritorna, con una storia che effettivamente ti tiene abbastanza incollato ma anche con personaggi secondo me esageratamente contraddittori e con un senso ultimo di tutta la trama che sembra sfuggire. Insomma, a me la saga pare piuttosto sopravvalutata e adatta soprattutto ad adolescenti; infatti i miei figli ne sono entusiasti, e quando faccio notare quello che secondo me non torna nella trama mi dicono che sono vecchio e che non so apprezzare i fantasy. Bah, personalmente penso che i fantasy si possano scrivere anche meglio di così, ma magari è un’opinione solo mia. Intanto, se vi interessa (o se volete regalarlo a qualche ragazzo/a, che di sicuro lo apprezzerà) il volume 2 potete acquistarlo qui, mentre qui trovate il volume 1.
Mister Miracle di Tom King e Mitch Gerards: nei giorni scorsi ho cominciato a leggere anche questo tomo da più di 300 pagine che mi ero comprato ormai svariati mesi fa, e che era rimasto lì un po’ ad ammuffire in libreria. Si tratta della raccolta di una acclamata miniserie, pubblicata in origine negli Stati Uniti tra la fine del 2017 e l’inizio del 2019 e vincitrice di numerosi premi, tra cui l’Eisner Award. Ne ho sentito parlare varie volte, ma non l’avevo ancora letta; e avevo anzi letto e in parte gustato la saga successiva della coppia King & Gerards, quello Strange Adventures di cui, se vi ricordate, vi ho parlato nel febbraio 2022, quindi ormai un anno e mezzo fa, quando questa newsletter era ancora molto giovane. Insomma, mi sono messo finalmente all’opera, ma devo dire che l’operazione procede a rilento: già il personaggio in sé di Mister Miracle non mi ha mai affascinato (chiamatemi blasfemo, ma penso che le creazioni di Jack Kirby degli anni '70 siano sempre state abbastanza noiose), ma poi di per sé il dramma che l’eroe si trova finora a vivere non riesce più di tanto a prendermi. Ovvio che si tratti di un fumetto di una certa levatura – i testi sono maturi, i disegni ottimi –, ma per ora non mi sta dando quel “brivido” in più che certe grandi opere riescono a darmi. Vedremo se, proseguendo con la lettura, qualcosa cambierà. Intanto vi do un paio di indicazioni sulla trama: tutto parte da Scott Free, alias Mister Miracle, genio della fuga, che di fatto tenta il suicidio. La domanda è perché; e soprattutto come questo verrà gestito dalla moglie Big Barda e dagli dei con cui l’eroe – figlio dell’Altopadre ma allevato dal terribile Darkseid – dovrà fare i conti. Se vi interessa, il volume può essere comprato (solo inversione deluxe, perché quella standard è esaurita) qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film. Anzi, sarebbe meglio dire alle serie TV, perché come noterete questa settimana in elenco ci sono solo prodotti televisivi disponibili in streaming (e tra l’altro ben due cartoni animati); d’altronde, devo dire che – a parte Mission: Impossible – ho praticamente visto tutto quello che c’era da vedere al cinema, in queste settimane, nell’attesa ovviamente di Oppenheimer, e quindi la scelta è stata quasi obbligata. Ma partiamo.
Bluey episodi da 1.07 a 1.18 (2018), di Joe Brumm: quando, un paio di settimane fa, ho cominciato a parlarvi di Bluey, alcuni di voi mi hanno scritto stupiti. Non si aspettavano che in una newsletter che teoricamente dovrebbe essere dedicata alla storia e alla filosofia ci fosse spazio per un cartone per bambini. Li capisco, e però devo dire che Bluey è qualcosa di più di un semplice cartone per bambini. Non la farò tanto lunga parlando di morale – che, per fortuna, non viene mai esplicitata –, ma è sicuramente un cartone che ci propone un modo di intendere le cose e soprattutto la vita familiare diverso da quello a cui siamo abituati. A giocare con le due piccole protagoniste, infatti, è quasi sempre il padre, ben più presente della madre (che sembra presa dal lavoro fuori casa ma a volte anche da passatempi, visto che la si vede andare a fare sport con le amiche); un padre pieno di fantasia, giocoso, e ovviamente a volte anche stanco. Insomma, i ruoli sembrano invertiti, in modo fin troppo netto forse: c’è una puntata tra quelle che ho visto questa settimana in cui il papà dovrebbe lavorare da casa ma non riesce a farlo per star dietro alle figlie, mentre la madre è fuori a giocare a hockey, incurante di quello che succede dentro alle mura domestiche; e anzi alla fine finisce quasi per fare la morale al padre. Però, a parte qualche eccesso – a cui aggiungerei anche un padre che non si stufa mai e vive solo per le figlie –, offre dei momenti veramente magici. Nel gruppo di brevi puntate che ho visto stavolta, segnalerei Bicicletta, l’undicesimo episodio, in cui una musica sapientemente composta (che richiama addirittura l’Inno alla gioia di Beethoven) accompagna le sfide affrontate e superate dai piccoli protagonisti. La trovate su Disney+ e su RaiPlay.
Only Murders in the Building episodi 3.01 e 3.02 (2023), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: durante un viaggio in aereo di solito non c'è molto da fare: si può leggere un libro, si possono fare le parole crociate o al limite giocare con un gioco del cellulare, tenendolo rigorosamente in modalità aereo. In un’epoca in cui tutto è ormai on-line, il resto è praticamente precluso e il viaggio ad alta quota sembra riportarci ad altri tempi, quando si viveva in modo più analogico. O sembra farlo almeno fino ad un certo punto, perché in realtà basta ingegnarsi un po’ e si può tranquillamente usufruire di tante cose che usiamo normalmente anche in flight mode. Ad esempio durante il mio viaggio a Praga ho alternato due esperienze diverse: all'andata ho letto e scritto, prendendo appunti sul mio cellulare, nell'app delle note; al ritorno invece ho guardato una serie TV che avevo preliminarmente scaricato in locale. Le varie app di streaming, infatti, consentono, pur con qualche limitazione, di rendere disponibili off-line alcuni dei loro contenuti, in modo che li si possa guardare anche senza una connessione internet. Così prima di partire da Praga mi ero scaricato le prime due puntate della terza stagione di Only Murders in the Building, fresche fresche di uscita, in modo da guardarcele, io e mia moglie, spartendoci gli auricolari nell’ora e mezza scarsa di viaggio. L'esperienza ha aiutato ovviamente a far “volare” quel tempo: la serie continua a essere ben scritta, ben interpretata e ben diretta, come già aveva mostrato nelle prime due stagioni. In più in questa terza avventura ci sono due nuovi attori d'eccezione: uno è Paul Rudd, attore che avete visto in decine e decine di film, da Ant-Man della Marvel a Ragazze a Beverly Hills (e perfino, ormai vent'anni fa, in Friends); l'altra è niente di meno che Meryl Streep, attrice su cui anzi si apre proprio il primo episodio. Contrariamente a quanto era accaduto nelle scorse stagioni – in cui attori importanti facevano tutto sommato delle brevi comparsate – qui le due star di Hollywood sembrano entrate a far parte a pieno titolo del cast e, almeno da quello che si vede in questi due primi episodi, saranno una presenza fissa costante delle varie puntate. Per ora gli episodi disponibili sulla piattaforma sono appunto solo due, ma nuove puntate arriveranno nelle prossime settimane. Trovate il tutto su Disney+, sia via streaming che scaricandovi gli episodi sul dispositivo.
Inside Job episodi 1.05 e 1.06 (2021), di Shion Takeuchi: di Inside Job ho già parlato, ma forse vale la pena di ricordarne alcuni punti chiave. Si tratta di una serie d’animazione presente su Netflix e decisamente comica: si concentra su Reagan Ridley (che in originale, tra l’altro, è doppiata dalla brava Lizzy Caplan, l’attrice di Masters of Sex e Fleishman a pezzi), una dipendente della Cognito Inc., azienda statale americana che si occupa di coprire tutte le verità nascoste del deep state statunitense, dagli alieni alle supertecnologie. Attorno a lei gravitano poi una serie di personaggi piuttosto assurdi, come Brett, tipico yes man, o suo padre Rand, ex dirigente paranoico e alcolista della stessa compagnia. Parodia molto esplicita del complottismo dominante, regala alcuni momenti molti simpatici (ad esempio in questi episodi prendendosela coi terrapiattisti e perfino con gli anni '80), ma in generale rimane una serie come tante, che non riesce a farti affezionare davvero ai suoi protagonisti. Come è successo a me, l’impressione è che sia una di quelle serie che ci si può facilmente dimenticare di continuare a guardare; anche bella, anche divertente, ma surclassata dall’offerta ormai troppo ampia e incapace di rimanere fissa nella mente degli spettatori. Comunque, se volete provarla, la trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Questa settimana vorrei parlarvi un attimo di oggettività, un concetto che sembra essere passato completamente di moda. Da quando Nietzsche ha enunciato la sua dottrina prospettivista alla fine dell'Ottocento, e soprattutto da quando molte persone, con un certo ritardo, hanno cominciato a capirla, l'oggettività è entrata in crisi. Sappiamo e diamo generalmente per assodato che l'oggettività vera e propria sia irraggiungibile, in ogni campo: il gusto estetico sembra essere una faccenda puramente personale, le valutazioni filosofiche anche, per non parlare dei voti che vengono comminati a scuola. Tutto è soggettivo. Così non deve stupire di trovare articoli come quello che ha fatto molto discutere gli insegnanti qualche settimana fa. Messa di fronte al fatto che in Puglia ci sono risultati Invalsi ben al di sotto della media nazionale e però anche, contemporaneamente, i voti migliori alla maturità, una collega ha difeso in un’intervista a spada tratta il proprio operato, consapevole che ogni giudizio è soggettivo e va calato sull'alunno. Anzi, la docente si è spinta ad elogiare il sistema del sud se paragonato a quello del nord, perché, a suo dire, più accogliente.
Come sempre, mi sembra in realtà che anche in questo caso finiamo per cercare scuse per giustificare il nostro modo di fare più che capire davvero cosa significhino oggettività e soggettività. Se è vero, infatti, che un giudizio pienamente oggettivo è forse impossibile, soprattutto a scuola, è anche vero, allo stesso modo, che questo non significa un “liberi tutti”. Dire che l'oggettività non sia pienamente raggiungibile, infatti, non implica affermare che ognuno sia libero di fare come gli pare.
Lo diceva già Max Weber parecchi decenni fa, parlando del lavoro di storici e sociologi: è chiaro che queste discipline non potranno mai raggiungere la limpidezza e l'oggettività della matematica e delle altre scienze cosiddette esatte (che comunque tanto esatte, forse, non sono neppure loro), ma questo non significa che non ci si debba sforzare di trovare dei metodi per garantire almeno un barlume di oggettività. Ovviamente le valutazioni su un certo personaggio storico o su una certa società dipendono dal nostro punto di vista, e quindi sono giocoforza relative, ma questo non significa che non dobbiamo cercare di riconoscere i nostri bias cognitivi e che non dobbiamo cercare quantomeno di alleggerirli.
Anche perché, altrimenti, qualsiasi valutazione perderebbe di senso: non varrebbe neppure la pena di scrivere un libro e di presentare a certi fatti e a certe conseguenze se tutto fosse solo soggettivo. Scriviamo e parliamo agli altri perché speriamo che questi altri ci comprendano, possano in qualche modo allinearsi al nostro punto di vista trovandolo serio e valido; diamo voti sperando che questi non valgano solo per noi, ma costituiscano un parametro anche per gli altri, perfino in certi casi una sorta di biglietto da visita. Insomma, scriviamo e valutiamo non solo per noi stessi, ma per creare un ponte con gli altri; e solo un linguaggio e dei valori comuni - a cui inconsciamente ci adeguiamo - ci possono permettere di far sì che questo ponte sia solido.
D'altronde la collaborazione e la comunicazione tra esseri umani si basano sempre e comunque su punti di vista condivisi, e pertanto sulla ricerca dell'oggettività.
Più che di oggettività, forse, dovremmo anzi parlare di un concetto meno sfuggente e più alla nostra portata, come l'intersoggettività. Se ci pensate bene è proprio così che funziona anche la scienza: non esistono più criteri oggettivi da quando filosofi e fisici ci hanno fatto notare che ogni teoria è figlia del proprio paradigma e di un determinato sistema di valori; allo stesso tempo, però, sta proprio nella condivisione da parte della comunità scientifica di quel preciso sistema di valori la chiave della forza dei risultati scientifici. Se cioè tutta la comunità scientifica (o comunque una buona parte di essa) accetta il paradigma di riferimento, allora all'interno di quel paradigma le teorie finiscono per avere una certa presa, per essere discusse e per portarci da qualche parte. Ci si muove in uno stesso orizzonte, e le affermazioni si valutano (anche con controprove) all'interno di quell’orizzonte. La storia del progresso scientifico sta a dimostrarci che, almeno finora, questo è l'unico modo che l'umanità ha elaborato in millenni di evoluzione per ottenere dei risultati seri.
Allora, anche in altri campi come quelli umanistici o scolastici questo anelito all'oggettività dovrebbe portarci quantomeno ad un paradigma condiviso, ad un insieme di pratiche, di valori, di punti di vista accettati intersoggettivamente da tutte le persone coinvolte. E forse il problema di questa anarchia che domina in molti campi è proprio che non è stato fatto un lavoro di partenza di questo tipo, che non ci si è cioè accordati sui metodi di lavoro.
Prendete ad esempio la filosofia: oggi potete comprare sette saggi diversi di importanti filosofi europei, britannici o americani ed incappare in sette diversi modi di strutturare il testo, di portare argomentazioni o prove. Alcuni utilizzano la logica proposizionale; altri si appellano a dati scientifici e numerici; altri ancora sono capaci di presentare una loro tesi fondandola esclusivamente sui testi omerici o platonici o aristotelici, appellandosi di fatto ancora a una sorta di principio di autorità; altri ancora, infine, scelgono uno stile quasi poetico, che procede per suggestioni e che praticamente rinuncia anche all'argomentazione.
Non esiste una regola per fare filosofia, non esiste un metodo accettato da tutti i soggetti coinvolti e forse anche per questo la filosofia sembra essere ancora il campo della pura soggettività. E forse proprio per questo, in ambito filosofico, si dice ancora tutto e il contrario di tutto, a volte perfino all'interno della stessa università.
Se poi ci spostiamo nell'ambito scolastico ci rendiamo conto, purtroppo, che il nostro sistema educativo vive su una serie di contraddizioni non ancora sanate. Da un lato si tenta dall'alto (ovvero dal Ministero) di ridare peso a questi strumenti condivisi, si tenta di mettere dei paletti metodologici e valutativi che possano essere la base di quel paradigma di cui parlavamo prima; dall'altra parte, però, questi strumenti non sono in realtà condivisi da poi così tanti docenti, risultano spesso calati dall'alto e guardati con una certa insofferenza dalla classe docente, che certo non brilla nel tentativo di trovare una radice comune.
Se una valutazione oggettiva è obiettivamente impossibile, è anche vero che la variabilità dei risultati è troppo netta e soprattutto non giova agli studenti. Perché il problema, vorrei che fosse molto chiaro, sta nei risultati: che noi insegnanti non siamo oggettivi, di per sé, non è una gran questione; il dramma è però che poi è la nostra scuola a venirne danneggiata, sono i nostri studenti a risultarne impoveriti. Se la scienza ha ottenuto dei risultati, infatti, è stato perché ha elaborato delle basi che poi hanno permesso agli studiosi di lavorare e accrescere il sapere; ma se mancano queste basi, o se le si adatta e modifica a proprio uso e consumo, in modo da non sbagliare mai, il sistema smette di funzionare.
Detta in termini più chiari, un sistema ben fondato di valutazione e di critica del proprio operato è fondamentale per far crescere i ragazzi. Detta in termini ancora più brutali, usare un metro di valutazione il più possibile condiviso da tutta la comunità scolastica, e quindi dare anche delle insufficienze quando serve, e non alzare i voti indiscriminatamente, è un bene e non un male per gli studenti.
Guardate, non prendetemi per una cariatide che rimpiange “i bei tempi andati”, quelli in cui il voto massimo in un'interrogazione era il 7: io do tranquillamente molti 8, qualche 9 e, in casi molto rari ma comunque presenti, anche dei 10. E li do perché ho la fortuna di avere dei ragazzi che raggiungono ampiamente gli standard richiesti. Ma do anche dei 5, se non lavorano; e anche dei 4 e dei 3, se serve. La gamma è ampia ed è giusto che i ragazzi imparino il valore delle loro prove. Anche ragazzi bravissimi possono cadere, e in fondo è un bene che ogni tanto succeda: però bisogna anche farglielo notare e non nasconderlo “perché in realtà sono bravi".
Ogni mio voto, d'altra parte, è sempre accompagnato da una spiegazione dettagliata delle cose che non vanno, degli errori commessi e di come si dovrebbe lavorare per migliorare. Ma tutto questo ha senso solo perché cerco di essere oggettivo e costante nei miei giudizi, di usare sempre lo stesso metro di misura dichiarato nella griglia che accompagna ogni voto e di fare in modo che anche gli alunni comprendano come sono arrivato a quel numero.
Insomma, l'intersoggettività a scuola è quantomai importante; e non solo tra professori del nord e professori del sud, ma anche e soprattutto tra professori e studenti. Una scuola che funziona è una scuola in cui i ragazzi (almeno quelli grandi, almeno quelli abbastanza maturi) comprendono e condividono la valutazione.
Perché in fondo l'obiettivo vero è quello, alla fine del percorso, di formare studenti che sappiano autovalutarsi; e, tanto per cambiare, che sappiano farlo nel modo più oggettivo ed obiettivo possibile.
Quello che ho registrato e pubblicato
Ecco, come sempre, anche una panoramica su quello che è uscito sul canale YouTube e sulle varie piattaforme di podcast questa settimana.
Hume: morale, politica, estetica: un capitolo che ancora mancava all’analisi del pensiero del grande scettico scozzese
Corso di logica 8 - Validità, Equivalenza, Consistenza: portiamo avanti il nostro discorso logico, scoprendo altre caratteristiche delle proposizioni
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 7: discutiamo ancora della libertà di parola e dei suoi vantaggi secondo l’utilitarista britannico
Francesco Bacone, il profeta della tecnica (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La nuova logica della scienza per Bacone (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La nuova società di massa (per il podcast “Dentro alla storia”)
La nazionalizzazione delle masse (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
L’esistenzialismo è un umanismo di Jean-Paul Sartre: Sartre, il padre dell’esistenzialismo francese, ha scritto decine di libri, a volte in forma più filosofica, altre volte in forma più narrativa. Questo è forse il suo volumetto più accessibile, anche perché di fatto è tratto da una sua conferenza pubblica tenuta nel 1945, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Lì, parlando ad un pubblico eterogeneo, il filosofo francese illustrava i punti salienti della sua filosofia in modo discorsivo e semplice. Il libro – ancora oggi vendutissimo – costa appena 15 euro e si legge d’un fiato. Potete comprarlo qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
To Dye For di Alden Wicker: ne ho parlato qui;
Manuale di politica estera italiana di Emidio Diodato e Raffaele Marchetti: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo con una veloce panoramica su quello che, stando alle previsioni, dovrebbe uscire questa settimana sulle varie piattaforme:
intanto, per quanto riguarda educazione civica, nei prossimi giorni darò il via a una breve serie di video sulle principali chiese cristiane presenti oggi nel mondo;
poi arriverà il secondo video della serie “La mia (anti) filosofia”, in cui approfondiremo alcuni dei discorsi già iniziati sul fallimento e sull'identità personale;
quindi vorrei completare la serie sulla dittatura argentina, col secondo e ultimo video;
infine, un’ultima lezione potrebbe essere dedicata al nuovo capitolo della Filosofia per ragazzi, con l’amore platonico (ma quello vero, non la sua versione popolare);
per quanto riguarda i podcast, poi, spazio ancora a Bacone in filosofia e al socialismo di fine Ottocento in storia.
E questo è davvero tutto. Come già anticipato la settimana scorsa, nella giornata di Ferragosto il canale YouTube si prenderà un meritato giorno di pausa, ma per il resto saremo sempre attivi. Riposatevi anche voi, distraetevi e preparatevi al rientro (ché quello è inesorabile, come la morte!).