Una newsletter dedicata a Piero Angela, Salman Rushdie e Olivia Newton-John, con in mezzo anche Versailles, l'ateismo, Ritorno al futuro, Giovanni Gentile, i Fidanzati dell'inverno, Ayn Rand e il 1943
Non si può aprire la newsletter di questa settimana senza menzionare due fatti che hanno riempito, negli ultimi giorni, le prime pagine dei giornali: da un lato l’accoltellamento di Salman Rushdie, dall’altro la scomparsa di Piero Angela.
Il primo fatto è quello più sconvolgente. Ne parleremo anche più avanti, nella sezione Quello che ho pensato, ma fa impressione che ancora oggi, nell’anno 2022, le diversità di opinione in campo religioso, diversità tra l’altro esplicitate ormai più di trent’anni fa, possano portare a aggressioni di tale misura. D’altronde, il caso di Rushdie non è purtroppo l’unico: sono passati sette anni dai fatti di Charlie Hebdo, solo per restare in Occidente e senza aprire la pagina relativa ad altri mondi e ad altre culture.
La questione di Piero Angela è stata anch’essa emozionante, ma ovviamente in modo del tutto diverso. La dipartita del grande divulgatore scientifico, a quasi 94 anni d’età, prima o poi doveva arrivare; ciononostante è stato bello leggere la lettera di commiato del giornalista e, soprattutto, i tributi che gli sono stati riservati in tutta Italia, segno del grande affetto che molti provavano per lui.
Al di là del contributo che ha dato alla televisione italiana, credo che uno dei suoi più grandi (ma non certo nascosti) segreti sia stato il grande garbo che riusciva a mettere in ogni cosa. Piero Angela è stato, prima di tutto, una persona educata e rispettosa, senza per questo abbassare la propria statura; in un mondo in cui la televisione è spesso urlata e in cui tutte le persone famose sono convinte di avere sempre la verità in mano, la sua modestia è stata fondamentale.
Alla fine di questa newsletter, da parte nostra lo ricorderemo anche con il libro consigliato della settimana. Ora però bando alla tristezza e partiamo con la nostra nuova avventura tra libri, film, riflessioni e video. Non prima, però, di avervi augurato – un po’ in ritardo – buon Ferragosto!
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri a cui mi sono dedicato maggiormente questa settimana. Come vedrete, uno di quelli che ci hanno tenuto compagnia nelle precedenti newsletter l’ho finito; con un altro mi sono portato abbastanza avanti; e infine ne ho iniziato un terzo, soprattutto per volere dei miei figli.
Fidanzati dell’inverno (L’Attraversaspecchi vol.1) di Christelle Dabos: cominciamo proprio con il libro voluto dai figli. Come vi ho raccontato più volte, durante l’estate tendiamo a spostarci abbastanza spesso in auto tutti assieme, per gite e vacanze; e in quelle occasioni ascoltiamo degli audiolibri. Visto che abbiamo da poco finito Aiuto, Poirot! di Agatha Christie (di cui ho parlato un paio di settimane fa, ad inizio agosto), bisognava scegliere un nuovo titolo. Io avrei voluto optare per un classico, ma mi son messo a cercarlo quando eravamo già sul punto di partire e sul momento, nella fretta, non sono riuscito a trovare niente che mi soddisfacesse. A quel punto mi sono fregato da solo: per non stare a dover convincere i figli ad ascoltare un libro che magari piaceva solo a me, ho aperto la sezione della narrativa per adolescenti. Subito ho visto questo Fidanzati dell’inverno, che avevo già intravisto in giro perché vende molto bene, e gliel’ho proposto, pensando che mi avrebbero detto: «No, dai, cerca ancora». Invece, ovviamente, è accaduto esattamente il contrario: è arrivato subito un coro di “sì”. E quindi abbiamo cominciato questo volumone che, nella versione cartacea, conta 500 pagine, ma che in realtà è solo il primo di una saga di quattro libri. Tra l’altro, come ho scoperto solo dopo aver cominciato, ho scoperto che questo primo libro non è affatto autoconclusivo, finisce in un certo senso con la trama a metà, e quindi per sapere almeno in parte come vanno a finire le vicende devi necessariamente procurarti e sorbirti i capitoli successivi. Al di là di questo, però, il libro com’è? Mah, in primo luogo devo dire che ai miei figli, e soprattutto alla figlia di dodici anni, sta piacendo molto. Io lo trovo sostanzialmente ben scritto, capace di creare un’ottima atmosfera. Quello che mi convince meno, per il momento, sono i due personaggi principali: lei, Ofelia, ancora piuttosto scialba, stenta a decollare; lui, Thorn, un po’ troppo Mr. Darcy per non sembrare un “già visto”. La cosa bella, fino ad ora, è però il mondo fatato e un po’ steampunk e i misteri che gli girano attorno a loro, ma non so quanto possa restare interessante una saga in cui proprio i due protagonisti non si fanno amare. Vedremo. Intanto, se vi interessa (o se interessa ai vostri figli), questo primo capitolo lo si compra qui.
Trattato di ateologia di Michel Onfray: di questo libro vi ho già parlato più volte durante le settimane. Visto che ora l’ho finito e che, per una serie di circostanze, in questi giorni ci ho pensato molto, ve ne parlerò un po’ anche più avanti, nella sezione Quello che ho pensato. Qui posso dirvi questo: al tempo della sua uscita ha suscitato un vivace dibattito sui giornali e nel mondo intellettuale, ma onestamente l’ho trovato un libro mediocre. Non tanto per quello che sostiene – l’ateismo può essere difeso e sostenuto, e l’hanno già fatto alcuni importantissimi pensatori – quanto proprio per la qualità dell’approfondimento e della scrittura. Sembra quasi più il libro di un giornalista televisivo (con tutto il rispetto per i giornalisti televisivi) che di un filosofo: la riflessione, infatti, è rara, e molto più spesso sembra esserci spazio solo per la vis polemica; i ragionamenti sul merito delle questioni teologiche si contano sulle dita di una mano, mentre si guarda molto più pesantemente alla storia degli errori delle varie religioni. Che le religioni organizzate, infatti, siano responsabili di alcune delle più grandi nefandezze del nostro passato non è difficile da dimostrare; che però questo, di per sé, infici il fatto che Dio possa esistere o meno mi sembra un ragionamento piuttosto debole. Per dire: la cosa che ho trovato enormemente più interessante è la bibliografia finale, in cui Onfray offre una panoramica su cosa leggere per farsi un’idea sull’ateismo; e quelli elencati sono praticamente sempre libri migliori del suo. Insomma, una mezza delusione: se pensate di essere davanti al nuovo Feuerbach, al nuovo d'Holbach o anche solo al nuovo Russell rimarrete delusi. Il libro in Italia è ormai introvabile, se non nel circuito dell’usato.
La fonte meravigliosa di Ayn Rand: visto che i libri iniziati e non finiti cominciano ad essere molti, questa settimana ho deciso di dare una bella accelerata su alcuni volumoni che mi porto dietro da tempo. E quindi, dopo aver finito il Trattato di ateologia, sono passato a La fonte meravigliosa, quasi 700 pagine ma del quale ho ormai superato abbondantemente pagina 500. È un romanzo del 1943, ma scritto da una delle filosofe più particolari (e trascurate) del Novecento, l’americana di origini russe Ayn Rand, quindi lo sto leggendo sia per interesse che per passione; e in effetti gli spunti non mancano né in un senso, né nell’altro. Due sono i personaggi principali, direi: da un lato Howard Roark, architetto innamorato del proprio lavoro, spirito libero, genio che non può far altro che andare controcorrente e che proprio per questo viene avversato da tutti i mediocri; dall’altro Dominique Francon, che molti commenti vedono come comprimaria ma che per me è una protagonista a tutto tondo, donna bellissima e intelligentissima che fa da degno contraltare a Roark (di cui è tra l’altro innamorata e ricambiata, anche se i due sembrano destinati a non stare mai assieme). A questi personaggi ne accadono di tutti i colori: Roark fa una fatica tremenda a trovare commissioni a New York, e, anche quando riesce ad avere un incarico, rischia sempre che i lavori vengano abbandonati o demoliti per colpa della stampa avversa; la Francon, capendo di non poterlo avere, si concede a due matrimoni con uomini che disprezza, il primo veramente fallimentare, il secondo ancora in corso nelle pagine a cui sono arrivato, e forse più solido. In mezzo ci sono poi tanti ragionamenti sul talento, sull’individualismo, sul superomismo, sulle convenzioni sociali, sul ruolo delle masse, sulla stampa e sul suo ruolo intellettuale e sociale. La Rand è, non a caso, considerata una sorta di Nietzsche calato negli Stati Uniti della prima metà del '900, soprattutto negli Stati Uniti di Roosevelt. Nel romanzo però non c’è solo filosofia: c’è molto senso della narrazione, c’è anche una certa dose di strano romanticismo e di melodramma. Comunque il libro, anche se estremo e con personaggi tagliati con l’accetta, è scritto molto bene. Se volete comprarlo, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Tra i film di questa settimana troverete due classici già visti un milione di volte e un film invece più raro ma altrettanto bello, comparso da poco nel catalogo di RaiPlay (e quindi gratuito), da recuperare sicuramente.
Ritorno al futuro (1985), di Robert Zemeckis, con Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Lea Thompson: penso che la pellicola abbia bisogno di poche presentazioni, visto che si tratta di uno dei più celebri film degli anni '80, a cui sono seguiti due sequel e che, soprattutto, ha plasmato l’immaginario collettivo di molti. In famiglia l’abbiamo recuperato in questi giorni soprattutto per proporlo al nostro terzo figlio, che non l’aveva ancora mai visto (mentre i suoi fratelli maggiori erano già alla terza visione, credo), e l’esperimento è pienamente riuscito visto che il terzopupo si è già prenotato per gli altri due capitoli della saga e non fa altro che parlare di quando tornerà indietro nel tempo con la foto dei suoi fratelli e vedrà scomparire i due più grandi dall’istantanea mentre lui girerà per la Rovigo degli anni '80 (che tra l’altro è letteralmente identica alla Rovigo degli anni '10… anzi, forse addirittura più trascurata). Il film, anche a distanza di tanti anni, rimane appassionante e soprattutto divertente, per via di una sceneggiatura scritta molto bene e dell’ottima interpretazione di Michael J. Fox, di Christopher Lloyd e degli altri componenti del cast. E poi, come certamente saprete, fioccano i riferimenti freudiani, dal complesso di Edipo in poi. Lo trovate su Amazon Prime Video.
La lunga notte del '43 (1960), di Florestano Vancini, con Belinda Lee, Enrico Maria Salerno, Gino Cervi: questo è un film poco noto, oggi, e di cui si parla ancora meno, ma non bisogna lasciarsi ingannare e, per via di questo motivo, sottovalutarlo. Il suo problema, forse, è quello di essere arrivato troppo tardi per rientrare nel filone del neorealismo e troppo presto per rientrare in quello dei film di denuncia; ma in realtà la pellicola è estremamente interessante. La storia è quella – vera, anche se un po’ romanzata – dell’eccidio del Castello Estense a Ferrara. Nell’autunno del 1943, durante le convulse giornate in cui i fascisti riprendevano il controllo della situazione nel nord Italia e fondavano la Repubblica di Salò, a Ferrara si consumò un fattaccio: il federale locale, appena nominato dall’alto, venne ucciso in un attentato di cui non si è mai capita la vera matrice (alcuni storici ritengono che la responsabilità fosse dei primi partigiani operanti sul posto, alcuni altri che in realtà il federale venne ucciso da altri fascisti suoi nemici, e il film si schiera con questa seconda tesi). In ogni caso i fascisti reagirono malissimo all’uccisione del loro capo, organizzando una rappresaglia: vennero presi con la forza 11 uomini (avvocati, impiegati comunali, perfino un senatore del Regno) e vennero fucilati, di notte, lungo le mura del Castello Estense, simbolo della stessa Ferrara. Il film – tratto da un bel racconto di Giorgio Bassani, il grande cantore della Ferrara novecentesca – riprende quelle vicende, aggiungendovi, nel mezzo, una storia d’amore clandestina tra la moglie di un farmacista malato e un suo vecchio insegnante. Al di là del fatto raccontato e dell’ottima interpretazione soprattutto di Enrico Maria Salerno e di un inquietante Gino Cervi, la pellicola è interessante per il finale amaro, che permette di riflettere anche sulla pacificazione nazionale dopo la fine della guerra. Nota a margine: la protagonista femminile, l’inglese Belinda Lee, in quel momento in grande ascesa, morì pochi mesi dopo l’uscita del film, appena venticinquenne, in un incidente stradale. Il film lo trovate su RaiPlay.
Grease (1978), di Randal Kleiser, con John Travolta, Olivia Newton-John, Stockard Channing: anche Grease è un classico che non necessita di molte presentazioni. Visto che da bambino passavo parecchio tempo con mia zia e lei era molto appassionata di musical, l’avrò visto almeno trenta volte e posso recitarvi le canzoni (magari in inglese maccheronico, perché da bambini non ci si chiede molto cosa quelle parole vogliano dire) quasi a memoria. La notizia della morte di Olivia Newton-John, arrivata qualche giorno fa, ci ha convinti a riproporlo anche ai figli, visto che poi non tutti l’avevano già visto. Alla fine, quello più entusiasta di tutti è stato il più piccolo, Christian, di 7 anni, che ha ballato assieme agli attori in ogni scena e ha fatto forsennatamente il tifo per John Travolta durante la gara di macchine. Il film è disponibile sia su Netflix che su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
A volte i pensieri che riempiono questa rubrica nascono da semplici coincidenze. Questa settimana è così. Qualche giorno fa, giovedì per la precisione, ho finito di leggere, come avete visto qualche paragrafo fa, il Trattato di ateologia di Michel Onfray e alla sera del giorno immediatamente successivo, venerdì, i giornali sono stati riempiti dalla tragica notizia del grave ferimento di Salman Rushdie, lo scrittore sul cui capo pende da più di trent’anni una fatwa per motivi religiosi.
Per chi non sa di cosa si tratta, ecco un breve riassunto. Rushdie è nato nel 1947 in India, a Bombay, da una famiglia musulmana. Si è trasferito però molto presto in Gran Bretagna, prendendo anche la cittadinanza inglese; lì, negli anni '70, ha cominciato a scrivere romanzi, incontrando un primo grande successo nel 1981 con I figli della mezzanotte. Nel frattempo ha sostanzialmente abbandonato la religione dell’infanzia, ma le sue storie hanno continuato il più delle volte a trattare i rapporti tra il mondo e la società indiane e quelli occidentali.
Verso la fine degli anni '80 si è poi messo al lavoro su un romanzo, il suo quinto, che prese presto il nome di I versi satanici. La storia è quella di due uomini, due indiani musulmani dei giorni nostri, che sembrano per vari motivi rappresentare il Bene e il Male. Il romanzo riflette sul percorso personale di questi due personaggi, con toni da realismo magico; ma, soprattutto, di tanto in tanto si serve anche di alcuni elementi della tradizione islamica per raccontare le loro vite.
Il punto incriminato del libro è proprio quello: ad un certo punto, infatti, Rushdie racconta una storia – per la verità pure rivisitandola – che trae origine dai primi tempi della fede islamica. Pur cambiando i nomi dei protagonisti, di fatto racconta la leggenda secondo cui Maometto venne una volta ingannato da Satana, che lo spinse a scrivere appunto dei versetti satanici ed inserirli nel Corano. Si tratta di una leggenda apocrifa che però esiste da molti secoli; qualcuno l’ha paragonata a certi Vangeli apocrifi che esistono anche nella tradizione cristiana, in cui si raccontano storie della vita di Gesù – a volte anche non edificanti – che sono rimaste fuori dal canone ufficiale.
Il romanzo dello scrittore anglo-indiano ebbe un grandissimo successo, ma costò a Rushdie moltissimo. Uscito nel 1988, suscitò presto proteste in vari paesi islamici; e l’anno dopo, nel 1989, l’ayatollah Khomeini, allora leader assoluto dell’Iran, pronunciò alla radio questa famigerata fatwa, cioè una vera e propria condanna a morte per Rushdie. Secondo la fatwa, infatti, qualunque musulmano nel mondo sarebbe chiamato a uccidere Rushdie, e quell’omicidio sarebbe fatto per conto e nel nome di Allah, garantendo all’assassino una ricompensa nell’aldilà.
Da allora, Rushdie vive non solo sotto scorta, ma anche in luoghi non meglio precisati. Per anni ha dovuto cambiare casa ogni tre giorni e vivere come un recluso, e solo negli ultimi tempi ha cominciato a ottenere un po’ più di libertà, partecipando anche ad eventi pubblici. Nel frattempo, però, è stato ucciso il suo traduttore giapponese e pure il suo traduttore italiano, Ettore Capriolo, è stato a suo tempo accoltellato, per fortuna cavandosela. Come si è visto venerdì, la minaccia è sempre stata reale.
Questi i fatti di cronaca. Passiamo ora a qualche riflessione. Primo: come diceva George Orwell, e come ha sostenuto più volte con parole simili anche lo stesso Rushdie, «se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire». E quindi anche di dire ai fanatici religiosi che la loro religione non è santa. Stiamo parlando, in questo caso, di gente che ti condanna a morte per zittirti, perché non vuole leggere quello che tu hai scritto, perché non vuole che qualcuno nel mondo possa dire quello che tu stai dicendo: una cosa che non aveva più senso già nel '700, quando gli illuministi si battevano per la scomparsa della censura, figuriamoci oggi.
Secondo: ricolleghiamoci a Onfray, da cui siamo partiti. Se devo fare un paragone tra il Trattato di ateologia e I versi satanici, che lessi con scarso interesse, più per curiosità socio-politica, ormai diversi anni fa, devo dire che il libro di Onfray mi pare molto più offensivo nei confronti della religione, anche della religione islamica. Rushdie racconta una storia blasfema, che però per la verità non ha neppure inventato del tutto lui; la riprende dalla tradizione, anche se ovviamente non coranica. Onfray va molto oltre: Onfray non solo afferma che Allah non esiste, ma in più pagine rivolge parole durissime contro Maometto (ma altrettanto dure le riserva contro i profeti delle altre religioni). Rushdie gioca su, e forse ridicolizza, alcune pretese religiose; Onfray è molto più tranchant, affermando esplicitamente che tutta la religione è un inganno, una bugia per gli allocchi, uno strumento di potere. Solo per fare un esempio a proposito di Khomeini, Onfray lo definisce ripetutamente un fascista.
Insomma, se fossi musulmano e dovessi mettere sulla bilancia i due libri, riterrei molto più offensivo (e forse pericoloso per la mia fede) quello del filosofo francese. Eppure il suo volume, che certo ha suscitato alla sua uscita diverse polemiche, gli ha dato più che altro notorietà; a quanto ne so, il filosofo non vive sotto scorta (nonostante in Francia ci sia una parte non irrilevante della popolazione di fede musulmana, stimata tra il 5 e il 10% della popolazione) e non ha subito attentati.
Perché questa plateale differenza? Mi vengono in mente tre possibili spiegazioni (ma magari qualcun altro ne conosce altre, e casomai scrivetemi).
Uno: forse Rushdie è stato solo molto sfortunato. Se andiamo a prendere in mano l’intero corpus della letteratura, probabilmente troviamo molti altri esempi di blasfemie o attacchi più o meno gravi verso Maometto o la fede islamica. Quelli sono passati sotto traccia perché nessuno se n’è accorto, perché nessuno magari li ha letti in certi paesi teocratici dell’Asia. In fondo, neppure Rushdie si aspettava reazioni del genere. Se il suo libro non fosse stato un grande successo (o fosse uscito anni dopo, magari dopo la morte di Khomeini) non sarebbe accaduto letteralmente nulla. Invece il suo romanzo – che sono sicuro che pochissimi abbiano letto – è diventato il simbolo di qualcosa di più grande, e lui il capro espiatorio di una lotta che va ben oltre il raccontino su Maometto.
Due: i libri come quello di Onfray che attaccano Maometto, Khomeini o l’Islam sono perlopiù dei saggi, a volte addirittura dei saggi filosofici. Vendono poco, anzi pochissimo, e spesso sono anche difficili da leggere. È vero che il Trattato di ateologia non risponde pienamente a questo schema, perché ha avuto un certo successo e perché è scritto in modo molto più accessibile della media, ma in generale sono libri per gli addetti ai lavori. I romanzi, invece, sono pensati per il grande pubblico. Anche se i libri di Rushdie in realtà non sono affatto semplici da leggere, questo può avere avuto un ruolo: un fanatico può legittimamente arrabbiarsi molto di più per un libro che potrebbe finire tra le mani di sua nonna o di suo figlio che per un libro che leggeranno solo degli studenti di filosofia francesi.
Tre: Rushdie era stato musulmano. Questa, forse, è una motivazione più importante delle altre. Un tratto comune delle religioni organizzate, infatti, mi pare sia quello di attaccare non tanto chi le umilia o le attacca dall’esterno, ma soprattutto chi le umilia o le attacca dall’interno. Prendiamo anche il Trattato di ateologia: è stato attaccato a suo tempo soprattutto dalla stampa cattolica, nonostante Onfray fosse incredibilmente equanime nell’attaccare sostanzialmente tutte le religioni. E perché questo? Perché il suo saggio usciva in un paese principalmente cattolico, scritto da un autore che, per quanto laico, era cresciuto in un ambiente cattolico. Rushdie, per quanto emigrato in Inghilterra e naturalizzato, era comunque un “figlio dell’Islam”, se così vogliamo definirlo. È il tradimento dei propri figli a scottare di più e a esigere, in un certo senso, una replica. Sono abbastanza convinto che se Rushdie fosse stato inglese e anglicano fin dalla nascita, senza alcun legame col mondo musulmano, il suo libro difficilmente avrebbe destato tutto quello scandalo.
Il tutto ci porta a qualche considerazione. In primo luogo, che dobbiamo stare attenti alla nostra libertà, di pensiero e di parola; che dobbiamo custodirla e preservarla dagli attacchi, perché dal punto di vista culturale è il nostro bene più grande. Senza la libertà di parola, senza la libertà di turbare gli animi non ci sarebbe neppure la filosofia, che è sempre un modo per scagliarsi contro l’idea superficiale e dominante. L’attacco a Rushdie non è solo un attacco contro un uomo singolo, ma è un attacco contro la libertà di critica.
In secondo luogo, il fanatismo religioso è spesso incoerente e imprevedibile. Non segue la logica, non colpisce in maniera proporzionale; è uno sfogo irragionevole, una sorta di esplosione mentale che poi si trasforma in violenza fisica. Purtroppo gli Stati Uniti, da questo punto di vista, sono stati teatro in questi ultimi mesi di vari fenomeni di questo tipo, a volte con matrice religiosa, altre volte con matrici diverse. Abbiamo visto attentatori segnati semplicemente da disturbi mentali, altri da fanatismo politico. La violenza, in certi paesi, è insomma lo sfogo più facile per gravi patologie mentali (a cui possiamo assimilare anche il fanatismo, passatemi la generalizzazione) che non trovano evidentemente altro modo per essere gestite. Speriamo che il nostro paese, da questo punto di vista, sappia evitare anche in futuro derive di questo tipo, anche se ogni tanto qualche scoppio di violenza irrazionale sembra emergere qua e là.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo come al solito il punto anche sui video e sui podcast che sono usciti questa settimana:
La spiegazione dei sistemi elettorali: visto che tra un mese o poco più saremo chiamati alle urne e visto che l’attuale legge elettorale è un po’ complessa, iniziamo a spiegare come funzionano queste cose
Visita alla Reggia di Versailles: come ricorderete, sono da poco stato a Parigi con la famiglia, e ho deciso di sfruttare i ricordi freschi per prepararvi una guida alla visita di alcuni importanti siti storici. Si parte da Versailles
La pedagogia di Giovanni Gentile: chiudiamo per il momento il percorso su Gentile con la presentazione delle sue idee sulla scuola e l’educazione
L’autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 2: continua la lettura integrale del capolavoro di Johan Huizinga sul Medioevo
L’etica di Pietro Abelardo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le direttrici dell’espansionismo coloniale europeo (per il podcast “Dentro alla storia”)
La tratta degli schiavi e il commercio triangolare (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che facciamo vi piace e volete darci una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che abbiamo implementato per voi. C’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco i nostri consigli della settimana.
Dietro le quinte della storia di Piero Angela e Alessandro Barbero: vista la dipartita di Piero Angela su cui abbiamo aperto la nostra newsletter, oggi non potevo non segnalarvi un suo libro, anche per ricordarlo. Molti sono i saggi interessanti firmati lungo gli anni da Piero Angela, spesso assai divulgativi e di facile lettura. Tra i tanti ho scelto quello che più di tutti ha un tema storico, scritto a quattro mani con Alessandro Barbero e da tempo un vero e proprio best-seller. Il volume, pubblicato per la prima volta nel 2012, è una sorta di intervista di Angela a Barbero e si concentra sulle questioni inerenti la vita quotidiana dei popoli lungo la storia; è quindi semplice da leggere, ma molto interessante e permette di avvicinarsi ad argomenti molto importanti. Lo potete acquistare qui.
Cinema: trasforma un'idea in un cortometraggio: su Domestika c’è un nuovo corso che pare estremamente interessante. Insegna a creare dei cortometraggi partendo dalle basi, dall’idea, e guidando lo studente nella realizzazione delle varie fasi anche quando si ha a disposizione un budget estremamente ridotto. Il corso costa 19,90 euro ed è tenuto da Iliès Terki, che ha lavorato con Netflix, BMW e altri grandi brand. Lo si compra qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo con una veloce panoramica sui video e i podcast in arrivo nei prossimi giorni:
uscirà, subito, già domani, un nuovo video di viaggio, questa volta incentrato sul Louvre;
arriveranno poi le nuove puntate delle serie già in corso d’opera, cioè quella sulla politica estera italiana (con la prima politica estera repubblicana), su D’Annunzio (con la conclusione dell’impresa di Fiume) e su L’autunno del Medioevo di Johan Huizinga;
dovrebbe poi arrivare anche un video sulle leggi elettorali, in cui attraverseremo la storia delle leggi usate in questo senso in Italia;
infine, per i podcast parleremo di mistica medievale e della conquista dell’Australia.
E questo è tutto! Ci sentiamo lunedì prossimo, sempre via mail.