Visto che ne parlano tutti parliamo anche noi di influencer, oltre che de Il problema dei tre corpi, Elio e le storie tese, The Bear, i Monty Python, l'archeologia, Nudge e la mente allargata
Che caldo, ragazzi. L’estate sembra essere arrivata tutta d’improvviso, anche se in realtà siamo ancora ad aprile, anzi appena a metà del mese. Qui a Rovigo, complice l’afa che sempre contraddistingue queste terre, si sono sfiorati e forse anche superati i 30 gradi.
Mentre scrivo queste righe ho una pila di compiti qui sulla mia sinistra da correggere, compiti dai temi importanti: il totalitarismo, il femminismo, lo sviluppo della scienza. È il solito lavoro di approfondimento che faccio ogni anno, solo che ora il pacco è duplice perché questa volta le quinte che porto all’esame sono due, e quindi doppi sono anche i loro compiti. Ma proprio stamattina, a questa pila già di per sé cospicua si è aggiunta una pila ulteriore, composta dai compiti della mia classe quarta, incentrati su Kant; e presto arriveranno anche verifiche di storia sulla Guerra fredda e altre cose ancora. Insomma, si prepara un periodo caldo non solo dal punto di vista metereologico, ma anche da quello della fatica.
Nei primi anni di insegnamento, per la verità, correggere i compiti non mi pesava affatto: ero sempre molto curioso di vedere quanto ero riuscito a trasmettere ai miei studenti, quanto ero riuscito a far capire loro dei vari pensatori, e quindi leggevo avidamente le loro verifiche; negli ultimi anni, però, questa mia curiosità è andata molto scemando, un po' perché ho imparato a conoscere le mie capacità e riesco un po' meglio a capire quando imbastiscono delle buone lezioni e quando invece manco il bersaglio, un po' perché tanti compiti che si assomigliano tra loro finiscono anche per annoiare. Così, correggere le verifiche, soprattutto quando arrivano tutte insieme, è un mezzo supplizio, ma è anche una di quelle cose che vanno assolutamente fatte e che soprattutto, nonostante la noia del correttore, hanno una grande utilità. Il momento della verifica, per quanto venga vissuto a volte con tensione dagli studenti, è infatti fondamentale per fare il punto su quello che si è appreso, sui progressi che si sono fatti e su come lavorare per migliorare ulteriormente.
È anche per questo che continuo a proporre verifiche con domande a risposte aperte, che mi sembrano quelle più adatte a saggiare i progressi dei ragazzi, e a correggerle scrivendo tanto, segnalando molte cose e cercando, almeno in parte, di dialogare con i ragazzi; perché altrimenti una bella verifica a crocette risolverebbe molta della mia noia (ma non sarebbe altrettanto proficua).
Ad ogni modo, bando alle ciance, proprio perché devo terminare in fretta questa newsletter per potermi dedicare alla maledetta correzione: questa settimana in lista ci sono come sempre libri, serie TV e qualche riflessione che spero possa stimolarvi. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri: in lista non ci sono grandi novità, con tre saggi di cui vi ho già parlato nelle puntate precedenti, ma che sto lentamente portando avanti.
Nudge di Richard Thaler e Cass Sustein: questa settimana ho in primo luogo portato avanti la lettura di Nudge. La spinta gentile, saggio estremamente interessante di cui forse avete già sentito parlare (perché ha avuto anche un certo successo). La tesi che i due autori propongono è quella del cosiddetto “paternalismo liberale”: secondo loro infatti la società non dovrebbe obbligare nessuno a fare la scelta migliore in termini salutisti o etici, ma dovrebbe però allo stesso tempo dare una sorta di “spinta gentile”, come il titolo del libro suggerisce, per andare in quella direzione. I due studiosi infatti dimostrano, riportando molti dati e molti esperimenti, come presentare le cose in un certo modo, usare determinate parole o mostrare certi comportamenti induca le persone comuni all'imitazione o comunque a seguire la scelta proposta. Ovviamente questo ha degli esiti importanti, perché può aiutare a migliorare – e di molto – il comportamento dei cittadini, ma mi sento di dire che ha anche delle conseguenze filosofiche rilevanti, che per ora non ho ancora visto affrontate dagli autori ma che magari verranno approfondite più avanti nel libro: se infatti basta così poco a influenzare i comportamenti di buona parte della popolazione, questo non depone troppa a favore del nostro libero arbitrio o del valore in sé della democrazia. Si sostiene spesso, infatti, che la democrazia sia in realtà una sorta di oligarchia mascherata, ma forse dovremmo invece sottolineare che il problema della democrazia è che la maggioranza della popolazione sembra non essere in grado di fare scelte autonome, basate sulle proprie riflessioni personali, e si lascia invece influenzare sovente e spesso da altri, anche solo in base a come le questioni vengono poste. Insomma, il libro è interessante e foriero di diverse riflessioni e stimoli: se volete, lo potete acquistare qui.
Vite bruciacchiate di Elio e le storie tese: come ho già raccontato la settimana scorsa, ho cominciato a leggere questo libro (che ho anche scoperto essere un po' datato) che racconta la storia del gruppo di Elio e le storie tese. Raccontato dalla viva voce dei protagonisti, non è altro che il solito volume di memorie che di tanto in tanto attori, cantanti e perfino calciatori pubblicano. Niente di che, quindi, verrebbe da dire, se non fosse però che la storia di Elio e le storie tese è anche un po' la storia di tutto un intero settore, di quel gruppo di comici milanesi o comunque di area lombarda che emerse tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90: non è raro, nel libro, sentire infatti parlare di Claudio Bisio, dello Zelig, di Aldo Giovanni e Giacomo, della Gialappa’s e di altri ancora. Insomma, in quelle pagine riemergono gli inizi della carriera di molti che poi hanno raggiunto ottimi risultati nel campo della musica o della comicità, ed è bello vedere come i loro esordi siano stati in realtà molto difficoltosi, problematici e però anche a loro modo entusiasmanti. Se queste storie vi interessano, potete acquistare il volume qui.
La mente allargata di Riccardo Manzotti: la settimana scorsa vi ho parlato di Io & IA, il libro di Riccardo Manzotti e Simone Rossi che si concentra sulla novità dell'intelligenza artificiale da un punto di vista filosofico e neurologico. Da quel libro sono però rapidamente passato a un volume precedente di Manzotti, La mente allargata, libro molto più ambizioso sia nel numero di pagine che nella tesi che propone: in esso infatti il filosofo italiano espone una lettura radicalmente diversa rispetto a quanto siamo abituati del fenomeno della coscienza. Da secoli infatti l'umanità cerca di delineare la natura di questa coscienza, cioè di quella strana entità che spesso chiamiamo anche “io” o “soggetto”, un’entità – ammesso che sia reale – che si rende conto delle cose, che riflette sui concetti, che mette in fila le percezioni. Per secoli si è pensato che questo compito spettasse all'anima; poi si è passati, in maniera più neutrale, a parlare di “mente”, ma il concetto è rimasto sempre piuttosto confuso e vago. Nel pensiero comune si identifica ormai con il cervello, ma siamo davvero sicuri che la coscienza sia qualcosa di connesso ai fenomeni neurologici, alle scariche elettriche che avvengono dentro al nostro cranio? Manzotti propone una tesi diversa, affermando che in realtà la coscienza non sia tanto qualcosa di interno a noi, ma che si costituisca nel rapporto tra noi e le cose, tra noi e gli oggetti. È un po' difficile spiegare il suo punto di vista in poche righe, e d’altronde lo sto anch'io cercando di capire un po' alla volta, pagina dopo pagina; ma mi sento già di consigliare il libro perché, quantomeno, mi sembra stimolante. Al di là della bontà della tesi di Manzotti, c'è evidentemente bisogno di rimettere in discussione alcuni assunti che ci portiamo dietro da millenni ma che non abbiamo mai veramente dimostrato come validi e che forse, dunque, potrebbero essere appunto rimessi in discussione. Per ora sono ancora tutto sommato agli inizi del libro, quindi credo che ve ne riparlerò ancora; però, se intanto queste poche righe vi hanno stimolato la curiosità, il volume potete comprarlo qui.
Quello che ho visto
In elenco questa settimana ci sono tre serie tv, due recenti e una invece a suo modo storica.
The Bear episodio 2.09 (2023), di Christopher Storer, con Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri: credo che non ci sia più troppo da dire su The Bear, una delle serie più apprezzate del panorama televisivo americano attuale e che anche a me ha lasciato, in questi mesi, un'ottima impressione. Se ancora non la conoscete, vale assolutamente la pena di recuperarla, anche se non si tratta di una visione leggera. Al centro della trama c’è un affermato e giovane chef che decide di lasciare il lavoro per occuparsi del ristorante di famiglia, a Chicago. Il locale, però, è sull’orlo della chiusura perché il precedente gestore, il fratello del protagonista, si è suicidato. Se insomma il lavoro come chef affermato era stressante, l'impiego come gestore di questo ristorante, chiamato appunto The Bear, non è certo da meno: oltre ai ai debiti lasciati dal fratello, c'è da gestire anche il pesante lutto, con una famiglia e degli amici molto disfunzionali alle spalle. La prima stagione scivola via molto velocemente, con un ritmo direi addirittura frenetico ed entusiasmante; la seconda, pur mantenendo gli aspetti positivi dell'anno precedente, si fa un po' più intimista: mi è piaciuta molto, ma certo procede più lentamente e devo dire che personalmente non ho, di giorno in giorno, una voglia eccessiva di andare a vedere come la situazione si evolva. Badate bene, questo non è di per sé un difetto: siamo ormai fin troppo abituati a show che ci tengono letteralmente incollati allo schermo, che giocano con le nostre emozioni, tendendole fino all'estremo, e sono contento che una serie del genere, che nella prima stagione effettivamente aveva tirato molto la corda, ad un certo punto si conceda anche qualche forma di pausa. Così, vedere una nuova puntata dello show è più che altro un modo per fare il punto su personaggi che si è in un certo senso imparato ad amare, pur con tutti i loro mille difetti, ed è quindi una cosa che ci si può concedere anche solo di tanto in tanto. Ad ogni modo, consigliatissima. La trovate su Disney+.
Il problema dei tre corpi episodio 1.03 (2024), di David Benioff, D.B. Weiss e Alexander Woo, con Saamer Usmani, Marlo Kelly, Jess Hong: per la terza settimana consecutiva vi parlo anche de Il problema dei tre corpi, serie prodotta da Netflix che ha suscitato un certo interesse mi pare anche tra il grande pubblico, visto che me ne ha parlato anche qualche mio studente. Io, come ho già raccontato, avevo grandi aspettative sullo show perché ho letto il romanzo da cui è tratto – e ne abbiamo parlato a lungo anche in questa stessa newsletter, circa un anno fa – e perché ho trovato che quel libro fosse uno dei migliori che avessi letto di recente nell'ambito della fantascienza. Allo stesso tempo, come ho detto, ritenevo però ben difficile trasformarlo in una serie accattivante. Devo dire che per ora mi sembra che il progetto in realtà sia abbastanza riuscito. Certo, la serie non potrà mai replicare, per la sua stessa natura, il fascino del romanzo, che è troppo strano per essere portato sul piccolo schermo per intero; ma, pur con qualche compromesso, mi sembra che l’adattamento di Netflix riesca a cogliere qualcosa della bellezza dell'opera originale. Soprattutto il terzo episodio, quello che ho visto questa settimana, mi sembra finora il più entusiasmante dei tre, perché per una volta veniamo immersi davvero nell'atmosfera del videogioco che fa da sfondo a tutta la trama, rendendo abbastanza bene l'idea che mi ero fatto anch'io leggendo il romanzo. Vedremo poi se questa puntata particolarmente riuscita verrà replicata negli episodi successivi, però per ora mi sento abbastanza soddisfatto. La trama è difficile da spiegare in quattro e quattr’otto, ma posso dirvi che si tratta di una storia ambientata tra la Cina e l’Inghilterra, con alcuni fisici che iniziano ad avere strane visioni e a giocare a strani videogiochi, scoprendo un po’ alla volta che tutto questo è collegato a un possibile contatto con gli alieni. Se vi interessa, la serie la trovate su Netflix.
Monty Python’s Flying Circus episodio 2.03 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: anche i Monty Python non sono certo una novità su questa newsletter: negli ultimi mesi ho parlato di loro in lungo e in largo, e spero anzi di aver stimolato alcuni di voi a recuperarne gli show, anche se su Netflix sono presenti solo in lingua originale (con i sottotitoli). Per quei pochi che ancora non li conoscono, si tratta di un gruppo di comici britannici che operò a lungo tra gli anni '60 e '80, realizzando prima una famosissima serie televisiva – proprio il Monty Python’s Flying Circus di cui vi sto parlando qui – e poi una manciata di film per il cinema, anch'essi facilmente recuperabili anche in italiano (anche se con doppiaggi spesso discutibili). Lo show televisivo, trasmesso dalla tv britannica tra il 1969 e il 1974, fece a suo tempo epoca: allora non si era abituati a nulla di così dissacrante e credo che i Monty Python se ne rendessero pienamente conto, visto che di puntata in puntata non fanno altro che distruggere diversi miti della cultura inglese. L’episodio di questo settimana, il terzo della seconda stagione, non è per la verità uno dei più riusciti, forse anche per via del fatto che quello di cui vi ha parlato la settimana scorsa, il secondo, era un vero capolavoro, quindi era quasi impossibile non sfigurare di fianco ad esso; ad ogni modo anche qui c'è più di qualche momento divertente, soprattutto nel finale dedicato ai déjà-vu. Come detto, la serie la trovate in lingua inglese su Netflix.
Quello che ho pensato
In questi mesi si parla incessantemente di influencer, e spesso anzi se ne parla in termini molto negativi. Da quando è scoppiato il caso Ferragni, la grande stampa sembra essersi accorta di personaggi che hanno un largo seguito sui social network e che sembrano esercitare una certa influenza, appunto, su un nutrito numero di fan. Cosa che pare alquanto esecrabile, stando ai commentatori più agguerriti: questi influencer, infatti, sembrano sfruttare, secondo la vulgata popolare, la loro fama solo per fare profitto, non generando quindi alcuna ricaduta positiva sui follower.
Ovviamente in questa critica c'è, come sempre, qualcosa di vero, ma ci sono anche approssimazioni molto grossolane. In primo luogo il fenomeno degli influencer non è affatto nuovo: gli abbiamo semplicemente dato un nuovo nome e ci siamo resi conto che funziona anche al di fuori della tv e dentro al cellulare, ma in realtà esiste da molto tempo. I presentatori televisivi, i divi dello sport, gli attori di Hollywood sono seguiti da decenni dalla stampa, sponsorizzano da molti anni prodotti di tutti i tipi e di certo cercano sempre di trarre profitto dalla loro popolarità. Essere personaggi televisivi, essere dei buoni venditori di shampoo o di bagnoschiuma, si potrebbe dire, è in fondo il loro mestiere: e nessuno ha mai chiesto loro chissà quali standard di moralità; nessuno, almeno negli ultimi trent'anni, si è mai lamentato della loro esistenza.
Certo, il caso Ferragni ha dei contorni più specifici e particolari: di mezzo c'è la questione della beneficenza, e negli ultimi tempi si sono aggiunte anche le polemiche relative all’utilizzo dei figli e alla messa in mostra costante della vita privata. Tutto vero, ma anche in questo caso bisognerebbe distinguere, credo, tra la Ferragni e tutti gli altri influencer che ormai affollato il web. Ad ogni modo a me il fenomeno pare, sostanzialmente, una versione adattata ai tempi di quello a cui eravamo già abituati da un bel po' di tempo.
Detto questo, devo però anche dire che non ho una particolare simpatia per il fenomeno. Anzi, in particolare non ho una particolare simpatia, da sempre, per tutto ciò che si lega al cosiddetto fandom. Come ho scritto altre volte in passato, fan è l’abbreviazione di fanatic e, a voler essere precisi, questa parola implicherebbe una devozione acritica, un’ammirazione sperticata e forse esagerata verso il proprio divo di riferimento. Se davvero ci si innamora di un personaggio pubblico, forse poi diventa anche estremamente facile farsi ingannare da quel personaggio. Insomma, ho sempre sostenuto che sia meglio mantenere un po’ di cautela quando si ammira qualcuno; ammirare le opere più che le persone, perché le persone inevitabilmente ci deludono, mentre le opere no.
Ultimamente però sto iniziando a rivedere il senso di queste mie vecchie convinzioni. Mi sto infatti rendendo conto che si può essere infatti influencer anche senza volerlo. La nostra vita consta di esperienze, di incontri, di confronti con gli altri, e ovviamente questi altri finiscono per influenzarci, volenti o nolenti. Ci lasciamo influenzare da un romanzo ben scritto, da un film che sembra parlare direttamente a noi e, in certi casi, anche dalle persone concrete, sia quelle che incontriamo faccia a faccia, sia quelle che magari vediamo sullo schermo di un telefonino. Pensate ad esempio al ruolo che hanno, in una certa età della vita, gli insegnanti: a volte ci rovinano l'esistenza, facendoci soffrire e addirittura traumatizzandoci; ma altre volte possono essere anche uno stimolo incredibile, e possono costituire veri e propri esempi positivi.
Se ripenso alla mia esperienza da studente, ci sono due o tre docenti che in effetti hanno assunto questo ruolo nella mia vita, senza probabilmente neppure volerlo. La loro dedizione al lavoro, il loro amore per le discipline che insegnavano l'avevo notato già da ragazzo, ma probabilmente mi è rimasto impresso più di quanto io non voglia ammettere. Tanto che oggi il mio modo di intendere la professione deve sicuramente qualcosa anche a loro.
Ma, appunto, anche persone che non ho mai conosciuto direttamente hanno avuto un certo ruolo nella mia formazione: chissà quante interviste ho letto che mi hanno lasciato un piccolo segno, chissà quante riflessioni di personaggi letterari o cinematografici, scritte da una persona che stava raccontando qualcosa di sé, mi hanno aiutato a diventare – spero nel bene – ciò che sono.
Dico questo perché mi sono reso conto che adesso sto probabilmente dall'altra parte della barricata. Adesso l'insegnante sono io, quello che compare sullo schermo sono io. Non vorrei affatto essere un influencer, e mi imbarazza molto quando (per prendermi in giro) mi chiamano così, e però forse ormai un po’ lo sono, nel senso che ho persone che guardano a me come a un esempio. Oddio, non che questo, di per sé, sia una novità: ogni insegnante sa che può influire sui suoi allievi, se interpreta bene il proprio ruolo. Però quello di cui mi sto accorgendo è che ormai la platea si è ben allargata, perché di studenti che seguono i video con costanza ce ne sono parecchie migliaia (decine di migliaia, forse addirittura centinaia di migliaia).
E, a dirla tutta, non si tratta solo di seguire i video. Questi studenti non vogliono solo capire meglio Kant o ricordare gli eventi della Seconda guerra mondiale; cercano spesso anche qualcosa di più. Me ne sono reso conto negli ultimi mesi soprattutto dai messaggi che mi arrivano, in un modo o nell'altro: non vogliono solo le informazioni che potrebbero trovare benissimo in un libro, in uno schema o in qualche sito internet, ma vogliono qualcuno che faccia vedere loro che quelle cose sono interessanti. Vogliono la persona che veicola i contenuti più che i contenuti, nudi e crudi. La cosa che mi viene ripetuta più spesso, infatti, non è solo che riesco a far capire dei concetti complessi, ma piuttosto che faccio trasparire la passione per quello che insegno; cosa che a me ovviamente fa molto piacere, ma chi mi porta anche a chiedermi cosa questi studenti stiano realmente cercando. Detta in altri termini: cercano una spiegazione o cercano un insegnante?
Ecco, la mia impressione, che direi viene anche rafforzata da tutta una serie di circostanze e di osservazioni concrete, è che ormai non manchino i contenuti ma manchino sempre di più gli esempi, le guide, appunto gli insegnanti. Usando una terminologia più moderna: mancano gli influencer, intendendo questa parola nel modo più positivo possibile. Mancano insomma gli esempi positivi, le persone che cioè possano ispirare, possano entusiasmare, possano trasmettere un po' di fiducia.
Il che purtroppo temo dica molto anche la nostra società: in un mondo in cui le informazioni sono completamente a disposizione, in cui sappiamo tutto e forse anche troppo, quello che sembra mancare è chi sa veicolare quelle informazioni, chi cioè sa essere maestro. Un tempo credo non fosse del tutto così: per un giovane le occasioni formative erano parecchie, e in un modo o nell'altro qualche guida la si trovava, fosse uno zio, un professore, un parroco, un allenatore. Oggi mi sembra che tutte queste figure siano quasi scomparse o siano comunque latitanti, e che i giovani siano quindi abbastanza abbandonati a loro stessi, quasi dovessero cavarsela da soli. Se a questo sommate che si fa sempre più fatica anche ad avere amici sinceri e passare del tempo di qualità con loro, mi pare che il panorama sia piuttosto tragico.
Ben vengano dunque gli influencer, intesi in questo senso, e soprattutto speriamo che imparino ad esserlo per davvero. Lo dico anche per me: questi anni dietro a una macchina da presa e a un microfono mi hanno insegnato che ogni parola conta, che ogni giudizio deve essere ben ponderato e soppesato, anche perché ci sono troppe persone che prendono quei giudizi per verità. Sento tutta, e molto forte, la responsabilità del ruolo, che su internet è particolarmente delicata: quando si insegna in classe ci si impara a conoscere giorno per giorno, e ci si può permettere anche un linguaggio meno controllato, perché ci si intende fin troppo bene. I miei studenti reali, ai quali insegno di persona, sanno bene che a volte scherzo, che li posso prendere in giro per qualcosa, ma sanno anche dare il giusto peso alle mie parole, perché appunto mi conoscono e sanno cosa penso davvero; gli studenti che invece capitano sui miei video tramite il web non hanno questa conoscenza pregressa, e potrebbero quindi facilmente fraintendere, potrebbero non capire: è per loro che quindi la cautela, la correttezza e l'attenzione diventano particolarmente importanti.
Questo per dire che, a differenza di quello che a a volte emerge anche dall'attività degli influencer più famosi, questo è un compito delicatissimo, che richiede grande attenzione, attenzione della quale non ci si può lavare le mani. Se vogliamo parlare a tanti dobbiamo insomma essere all'altezza di questi tanti.
E però questo, a dirla tutta, non riguarda solo gli influencer: dovrebbe riguardare anche i politici, i giornalisti, i personaggi televisivi, gli uomini e le donne di cultura. Quanti se ne rendono conto?
Quello che ho registrato e pubblicato
È ora il momento di elencare i video e dei podcast che sono usciti questa settimana:
Corso di logica 14 - Le equivalenze semantiche: nuova lezione (corposa) del corso di logica, dedicata alle equivalenze semantiche
Deutsches Museum: il Museo della Scienza di Monaco: un video della serie Travel Club relativo al più importante museo della scienza al mondo
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 14: siamo quasi giunti alla fine della lettura integrale del saggio di John Stuart Mill
La conoscenza a priori e a posteriori in Hobbes (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La vita dentro alle trincee (per il podcast “Dentro alla storia”)
Il fronte interno nella Grande guerra (per il podcast “Dentro alla storia”)
Eppur si muove
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Introduzione all’archeologia di Ranuccio Bianchi Bandinelli: quando parlo di storia sui vari canali che utilizzo, come YouTube o i podcast, mi concentro soprattutto sulla storia medievale, moderna e contemporanea, e solo di recente ho iniziato ad approfondire la storia più antica, quella che è oggetto degli studi dell'archeologo. Questo settore, però, ha delle sue importanti specificità ed emana anche un certo fascino. Per questo può essere utile avvicinarcisi con una buona guida: il classico, in questo settore, è indubbiamente l'Introduzione all'archeologia di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Si tratta di un manuale scritto ormai parecchi anni fa, se si considera che Bandinelli è morto nel 1975, ma che rimane ancora un must per addentrarsi in questo campo di studi. Ovviamente il mio consiglio è di affrontarlo, prima o poi. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E concludiamo anche questa settimana con il programma di quello che c’è in arrivo (programma che, avrete notato, funge più che altro da spunto: le modifiche e i cambiamenti sono all’ordine del giorno). Ecco comunque quello che al momento prevedo di pubblicare nei prossimi giorni:
domani dovrebbe uscire un video che in realtà originariamente era previsto per oggi: quello sui fenici;
mercoledì e giovedì sarà la volta dei podcast, con rispettivamente una puntata su Hobbes (avvicinandoci alla sua politica) e una sulla svolta del 1917 nella Prima guerra mondiale;
venerdì arriverà il secondo video sulla filosofia di Dostoevskij;
sabato vorrei pubblicare un video del Dizionario filosofico dedicato al tema del nominalismo;
poi in una qualche data metteremo anche il prossimo Simposio filosofico, incentrato sul tema “Mangiare gli animali è eticamente ammissibile? E i prodotti di originale animale?” Se volete partecipare, siete in tempo per abbonarvi (tutte le info le trovate sopra, nella sezione Quello che puoi fare per sostenere il canale).
E questo è tutto, anche per questa settimana. Torno a correggere i compiti, non prima però di avervi augurato una buona settimana. A presto!
Concordo con quello che dice sugli influencer Prof., ma vorrei esporre un mio pensiero: la differenza sostanziale tra gli influencer "ante litteram" come divi di Hollywood e sportivi è che questi ultimi, oltre a influenzare le nostre decisioni d'acquisto, hanno anche un mestiere, danno un valore (ok, discutibile, ma pur sempre un valore - che sia di intrattenimento o altro). Mentre degli influencer dell'internet ho sempre e solo percepito l'inconsistenza del loro apporto alla società. Magari i divi di Hollywood e gli sportivi di fama sono l'equivalente dei giullari di corte di qualche secolo fa, ma almeno hanno il vantaggio appunto di farci dimenticare la nostra quotidianità per un paio d'ore e di farci rilassare. Gli influencer cosa fanno oltre a vendere la propria immagine e i propri prodotti?