Come muore una democrazia, ma parliamo anche di Elio e le storie tese, Positivismo, Claudio Martelli, Amartya Sen, debito pubblico, The Midnight Gospel, boom economico e (quasi) fine della scuola
Eccoci di nuovo qui, ad una svolta importante dell'anno: le lezioni in classe infatti si sono chiuse ormai da più di una settimana, abbiamo fatto tutti gli scrutini del caso e completato, di fatto, il lavoro di un anno (con annesse le cene conclusive coi ragazzi). Anzi, proprio stamattina ho cominciato quello che può essere considerato l'epilogo dell'anno scolastico: si è svolta infatti oggi in tutta Italia la riunione preliminare che prepara agli Esami di Stato, che permette ai commissari interni ed esterni di conoscersi e di preparare il lavoro delle settimane successive. Io, come forse già saprete, sono stato nominato quest’anno come commissario esterno abbastanza vicino a casa, e quindi avrò meno inghippi rispetto a dodici mesi fa, per fortuna.
Ma bisogna dire che siamo in un momento clou anche per le vicende familiari e personali. Ho una figlia che in questi giorni sta completando gli esami di terza media, che sembrano finora andati molto bene; ma poi anche, e questo dovreste già ampiamente saperlo, da qualche giorno è uscito in libreria il mio ultimo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l'aveva, che pare stia andando piuttosto bene e stia ricevendo dei buoni riscontri. Se non lo avete ancora comprato, correte a prenderlo (ad esempio qui) e iniziate a leggerlo, e poi sappiatemi dire anche cosa ne pensate.
Ovviamente ci sono anche molte altre cose e impegni all'orizzonte, ma già questo induce a fare qualche bilancio e a tirare le somme, ora che siamo arrivati a concludere l’anno scolastico 2023/24. Questo, sotto praticamente tutti i punti di vista, è stato un anno estremamente impegnativo ma anche positivo: tante, forse perfino troppe sono state le iniziative, ma spesso d’altro canto si sono rivelate anche molto proficue, perché sono state esperienze che mi hanno fatto capire molte cose, che mi hanno fatto conoscere meglio le mie capacità e i miei limiti, che mi hanno insomma messo giustamente alla prova.
Come provo spesso a dire ai miei studenti, l'importante non è ottenere grandi riconoscimenti o raggiungere chissà quali mete, ma imparare a far bene – e anche a fare sempre un po' meglio – quello che si fa, orientando un po' alla volta i propri sforzi nella direzione che sembra essere più efficace. E da questo punto di vista forse l'anno appena trascorso è stato per me uno dei migliori di sempre, a tutti i livelli.
Di questo devo ringraziare anche il pubblico di questa newsletter, del canale YouTube e dei podcast, che negli anni è diventato veramente affezionato, stimolante e prezioso. E soprattutto i miei studenti: due classi si avviano all’Esame di Stato (senza di me, visto che sarò altrove), e già mi mancano. Ma adesso basta con i bilanci strappalacrime e andiamo a cominciare subito con i contenuti più pregnanti della newsletter.
Quello che ho letto
Cominciamo come al solito dai libri: in elenco questa settimana ci sono due titoli che ci salutano (perché li ho finiti, finalmente) e un nuovo ingresso (perché l’ho cominciato). Partiamo.
Il pasto gratis di Veronica De Romanis: il primo libro a salutarci è Il pasto gratis dell’economista Veronica De Romanis, un libro strettamente legato all’attualità. L’analisi della studiosa, infatti, si concentra sugli ultimi dieci anni di storia italiana, mostrando come i vari governi – da quello guidato da Matteo Renzi in poi – abbiano gestito il ricorso al debito pubblico. La tesi è fin da subito chiara: in questo decennio, sia a destra che a sinistra, si è instaurata l’abitudine di promettere soldi agli italiani, ricavandoli però sempre più o meno chiaramente dal ricorso al debito pubblico. Ovvero, detta in modo più semplice: l’abitudine di dare soldi agli italiani oggi per farli pagare ai loro figli domani (e con gli interessi). E lo si è fatto, però, senza dirlo mai in modo chiaro, facendo in modo che tutto questo venisse nascosto dietro a formulazioni fumose, a mosse di propaganda e a vere e proprie illusioni, a colpi di magia. Il quadro che ne emerge non è certo idilliaco, non solo per le casse dello Stato, ma anche per l’atteggiamento subdolamente populista di tutte queste scelte: perché quando prometti soldi senza spiegare da dove li prendi stai di fatto trattando il popolo come un imbecille da ingolosire con il dolcetto zuccherato, senza spiegargli ovviamente che quel dolcetto alla lunga gli farà male. Se avete voglia di farvi un viaggio in tutto questo, il libro potete comprarlo qui.
Vite bruciacchiate di Elio e le storie tese: dopo qualche settimana ho finito anche questa semi-autobiografia degli Elio e le storie tese. Come ho già raccontato, si tratta di un libro ormai piuttosto datato, che racconta gli esordi del gruppo e i primi anni di carriera, fino al raggiungimento della popolarità a livello nazionale; e si tratta, anche, di un libro abbastanza disordinato, perché creato raccogliendo le testimonianze di membri della band e di amici vari, testimonianze che però si accavallano, vanno avanti, tornano indietro, si mescolano tra loro. L’impressione, alla fine del volume, è quella di un libro scritto – come spesso accade in questi casi – solo per sfruttare l’onda del successo, senza troppe idee; di un libo pensato insomma soprattutto per i fan, che perdonano tranquillamente certi difetti pur di avere informazioni di prima mano, o di sentirsi raccontare nuovamente la cara vecchia storia. Se dovessi scegliere le parti che mi hanno più colpito, ne citerei due: la prima è il racconto del film pornografico che a suo tempo Elio e soci girarono con Rocco Siffredi, sicuramente molto divertente; la seconda è il capitoletto intitolato Mio padre ha i baffi, scritto da Rocco Tanica, che racconta in modo intrigante e quasi commovente la morte di Feiez. Il libro potete acquistarlo, se volete, qui.
Felicità® di Will Ferguson: chiudiamo con il nuovo ingresso in lista che annunciavo all’inizio. Si tratta di un libro che non ho cercato io, ma che mi è capitato addosso nella strana forma di una busta inviatami dalla gentilissima Luisa negli ultimi giorni dell’anno scolastico. Dentro alla busta c’era una breve lettera e appunto una copia di questo romanzo che non conoscevo, ma che proprio in questi giorni ho cominciato a leggere. Il tono è fortemente ironico, ma la trama pare interessante: il protagonista è finora un certo Edwin, redattore di una casa editrice che sta cercando un nuovo best-seller da pubblicare nel campo dell’auto-aiuto. E questo best-seller Edwin, in un certo senso, sembra averlo praticamente sottomano (anche se per diverse pagine sembra anche averlo perso): un libro che si intitola Quello che ho imparato sulla montagna, che adesso il redattore sta cercando di rendere digeribile per il grande pubblico. Il libro è molto scorrevole e in pochi giorni sono già arrivato a un terzo del volume, segno che probabilmente – salvo un repentino crollo della qualità della trama – lo finirò abbastanza in fretta; ma è anche divertente e sarcastico al punto giusto. Visto che proprio in questi giorni è uscito Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, che potrebbe essere inquadrato a sua volta come un libro di auto-aiuto (anche se all’interno faccio di tutto per respingere quest’etichetta), leggere Felicità® proprio ora devo dire che mi fa una certa impressione, ma allo stesso modo mi incuriosisce. Ve ne parlerò ancora. Intanto, se siete interessati, potete acquistarlo qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora alle serie tv, ai film e perfino ad una videoconferenza. Procediamo.
The Midnight Gospel episodi 1.03 e 1.04 (2020), di Pendleton Ward e Duncan Trussel: avevo iniziato a vedere The Midnight Gospel ormai diverse settimane fa, guardando su Netflix i primi due episodi di questa miniserie, grazie al consiglio di una mia allieva (ormai ex allieva, ahimé) appassionata di proposte originali. E in effetti, quelle prime due puntate mi avevano lasciato abbastanza di stucco, interessanti ma anche quasi sconvolgenti. The Midnight Gospel può forse, infatti, essere definito come una sorta di esperimento: pensato da Pendleton Ward, il creatore di Adventure Time, è una sorta di drammatizzazione in forma di cartone animato di alcune interviste realizzate all’interno del podcast The Duncan Trussell Family Hour. Così, mentre i personaggi sullo schermo esplorano mondi fantascientifici e mostruosi, dialogano allo stesso tempo tra loro su temi filosofici, magici ed esoterici, creando una stranissima commistione tra pensiero e azione (che sono però spesso dissonanti). Insomma, non so se questa serie la consiglierei in giro, ma è sicuramente un’esperienza originale. La trovate su Netflix.
Il socialismo liberale. Lectio Magistralis di Claudio Martelli: vi dicevo, in premessa, che questa settimana vi avrei proposto anche un videoconferenza, e infatti eccola qui. Ci sono capitato per puro caso, o meglio me l’ha proposta YouTube nei video consigliati, probabilmente perché tra lezioni su Matteotti e simili, avrà pensato che io abbia forti simpatie socialiste. Ma il video me lo sono guardato volentieri, perché l’espressione “socialismo liberale” l’ho sempre trovata affascinante, e perché giustamente all’interno di questo video Martelli parla di Carlo Rosselli, il padre, appunto, del socialismo liberale. Claudio Martelli, come i più maturi ricorderanno, è stato un esponente di spicco del PSI di Craxi e poi più volte ministro, ma dopo la stagione di Tangentopoli si è occupato perlopiù di televisione e libri, a volte risfoderando anche una certa cultura politica che, nel bene e nel male, era sicuramente patrimonio della classe dirigente della Prima Repubblica. Questo è anche il caso di questa breve conferenza, che permette di portare i riflettori su un importante – ma tutto sommato poco noto, oramai – teorico del socialismo italiano, su quel Carlo Rosselli che rappresentò una delle voci più interessanti dell’antifascismo italiano. Merita una visione.
Partita a quattro (1933), di Ernst Lubitsch, con Gary Cooper, Fredric March, Miriam Hopkins: concludiamo con un film vecchio, anzi vecchissimo, visto che ha quasi un secolo di storia sulle spalle. Si tratta di Partita a quattro, noto anche col titolo originale di Design for Living. Potreste dirmi: perché mettersi a vedere un’opera così datata, quando ci sono centinaia di pellicole e serie tv nuovissime sulle varie piattaforme? Per tre motivi, direi. Primo, perché il film è molto simpatico e divertente, una bella commedia frizzante anni '30. Secondo, perché al suo interno si ritrova un cast di prim’ordine, a partire dal regista Ernst Lubitsch, ebreo tedesco che divenne in quegli anni il re della commedia sofisticata, fino agli attori Gary Cooper e Fredric March, qui ancora piuttosto giovani. Terzo, e forse motivo principale, perché in questa commedia anni '30 si parla assai liberamente di sesso, cosa che a prima vista può decisamente stupire. Ve ne racconto la trama: in Francia, su un treno diretto verso Parigi, due aspiranti artisti americani (uno commediografo, l’altro pittore) incontrano una giovane connazionale che lavora nel campo della pubblicità. I tre si innamorano vicendevolmente e, per non far torto a nessuno, la donna decide di andare a convivere con gli altri due, in un curioso ménage à trois. Per far funzionare la cosa, però, i tre si impegnano a dar vita a una relazione casta, priva di sesso; solo che Gilda, la donna, si lascia presto tentare prima dall’uno e poi dall’altro, così che si creano invidie, incomprensioni e rotture. Insomma, la trama – nonostante non si veda mai nulla, ovviamente – sarebbe vagamente audace anche oggi, figuratevi nel 1933, quando era da poco comparso il sonoro. Eppure questa anomalia si spiega facilmente: il perbenismo della vecchia Hollywood, in cui non si poteva parlare di sesso in nessun modo, venne imposto dal cosiddetto Codice Hays, che entrò in vigore nel 1934 e dominò la scena fino al 1968: quel codice stabiliva cosa fosse “moralmente accettabile”, e finì quindi per bandire ogni riferimento erotico dal grande schermo; ma prima che entrasse in vigore, c’era molta libertà per scherzare anche su temi scabrosi. E così una commedia di novant’anni fa può risultare, oggi, molto più fresca e audace di una di cinquant’anni (o anche solo vent’anni) fa. Il film non è facile da recuperare; se volete comprarlo (e secondo me ne vale la pena), lo trovate qui.
Quello che ho pensato
Come muore una democrazia? La risposta più semplice è quella che abbiamo studiato nei libri di storia: qualcuno provoca un colpo di Stato, prende il potere e annulla tutte le libertà civili e democratiche. Nel corso del '900 questo è accaduto in più occasioni e quindi pensiamo legittimamente di conoscere bene il processo che porta alla fine di una democrazia e, pertanto, anche i modi per poterla evitare.
In tutto questo c'è però un limite che secondo me è piuttosto evidente: per quanto permanga la possibilità che perfino in Occidente si verifichino dei colpi di Stato, in Italia questo appare relativamente improbabile. Non siamo più negli anni '70 quando spirava il vento della strategia della tensione o degli anni di piombo, e ritengo assai difficile, almeno nel breve o medio periodo, vedere l'esercito o i carabinieri ordire una trama eversiva.
Quindi siamo a posto? Quindi siamo al riparo dalla crisi e della morte della nostra democrazia? A me, in realtà, pare proprio di no. Perché a furia di aspettare il ritorno in grande stile del fascismo, in realtà, non ci accorgiamo che la democrazia la stiamo lentamente uccidendo tutti noi, anno dopo anno.
Cercherò nelle righe seguenti di articolare meglio (ma sinteticamente) il mio pensiero. Partiamo dai fraintendimenti: da quando Giorgia Meloni è salita al governo, sia in Italia che all'estero è sorto un certo allarmismo, dovuto al fatto che la premier proviene da ambienti dell'estrema destra, con legami relativamente stretti con ambienti post-fascisti. Ce ne siamo resi conto, se ci fosse stato bisogno di ulteriori conferme, anche in questi stessi giorni, col portavoce del ministro Lollobrigida coinvolto in atti violenti e illegali legati agli ultras della Lazio, con conseguenti a accuse di apologia del fascismo e antisemitismo.
Questo, obiettivamente, è il peggior biglietto da visita che si possa presentare, ma, contrariamente a quello che pensano in molti, ritengo che non sia questo il vero problema della nostra democrazia. Al limite potrei dire che questo è il sintomo di una malattia ben più profonda, e che, se si vuole individuare il problema, si deve andare appunto a individuare e debellare la malattia, non il suo ultimo e superficiale sintomo.
E qual è questa malattia? Direi che è difficile riportarla ad un'unica parola, però se dovessi sceglierne una sola direi «l'ignavia». Ovvero quel misto di superficialità, inconsapevolezza, disinteresse, egoismo che mi sembra regni nel nostro paese, o almeno nella maggioranza dei nostri concittadini.
Per motivi di spazio provo a darvi solo qualche esempio di quello che intendo dire, sperando che possiate poi calare queste impressioni della vostra vita concreta e vedere se le trovate rispondenti a quello che accade attorno a voi. Cominciamo da Il pasto gratis, il libro che ho finito di leggere proprio questa settimana e di cui vi ho parlato qualche riga più sopra: in quel volume, che non racconta in realtà nulla di nuovo ma che mette in fila tanti dati che ben conosciamo, si fa notare come da molti anni tutti i principali partiti politici, dal PD a Italia Viva, dal Movimento 5 Stelle alla Lega e a Fratelli d'Italia, abbiano promesso agli italiani l'impossibile, e abbiano provato a realizzare questo impossibile in realtà danneggiando il nostro sistema economico. Per farla breve (e forse anche per semplificare), un po' tutti i partiti hanno promesso di dare soldi agli italiani, e sono riusciti a farlo sostanzialmente scaricando questa spesa sulle generazioni future. Stiamo in pratica facendo come le cicale della famosa favola: bruciamo tutto quello che possiamo bruciare, consapevoli del fatto che poi a pagare lo scotto di tutto questo saranno i nostri figli o i nostri nipoti.
È inutile che ci nascondiamo la profonda immoralità di questo modo di agire, e in fondo anche la sua imbecillità, perché in realtà questo conto da pagare non verrà presentato solo ai nostri figli ma probabilmente anche a noi stessi tra pochi anni. Stiamo agendo cioè veramente da stupidi nel senso in cui lo intendeva Carlo M. Cipolla nel suo famoso libricino di cui vi ho parlato anche altre volte, Allegro ma non troppo, in cui è contenuto il famoso Le leggi fondamentali della stupidità umana. La terza legge fondamentale della stupidità umana, infatti, recita: «Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo a realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita».
Ecco, in questo senso una persona che sostiene un governo che gli dà 100 euro oggi per togliergliene 300 domani è ovviamente una persona stupida; e però guardate bene che se facciamo bene i conti e guardiamo agli effetti di Quota 100, Superbonus, mancette varie distribuite dai governi, finisce che gli stupidi in realtà siamo noi, perché abbiamo sostenuto per anni politiche dannose nei nostri stessi confronti.
Il fatto è che basta rigirarci un attimo le carte davanti agli occhi, basta usare un po' di retorica a buon mercato nelle trasmissioni televisive, e ci lasciamo facilmente incantare dal primo venuto, perfino da politici palesemente stupidi o incompetenti che dominano ormai la scena; e questo indipendentemente dal fatto che siano di destra o di sinistra. Sì, va bene: i valori contano, l'ideologia secondo me ha ancora un peso, ma se non si capiscono le basi elementari dell'economia o anche solo della matematica, perfino la migliore delle ideologie può creare gravissimi danni.
Facciamo un secondo esempio, questa volta tratto direttamente dal mondo della scuola. Ho letto proprio questa settimana un articolo che riportava i risultati di un'indagine, per per la verità condotta su un campione piuttosto ristretto, riguardo all'avanzamento dei programmi di storia in quinta superiore (ne trovate menzione qui). In quest’indagine si sosteneva che circa la metà degli studenti italiani non va oltre la Seconda guerra mondiale, e pochissimi, davvero una minoranza sparuta, arriva agli anni '60 e '70 del Novecento.
Al di là di come è stata condotta questa rilevazione – ovvero un semplice sondaggio online, non certo qualcosa di scientifico –, credo che il quadro sia però piuttosto veritiero, e me ne rendo conto anche grazie alla mia ormai discreta conoscenza di studenti di tutta Italia che mi scrivono per raccontarmi cosa studiano e dove sono arrivati appunto col programma. Ebbene, questo fatto è a mio modo di vedere piuttosto preoccupante: sono passati più di cinquant'anni dagli anni '70 e non è possibile, se si vuole dare un minimo di senso allo studio della storia, trascurare completamente proprio questi ultimi cinquant'anni, quelli più vicini a noi, per dilungarsi magari invece sulla caduta dell'impero romano, sui fenici o su altre civiltà certo importanti ma che potremmo anche, con buona pace dei cultori della materia come me, relegare a chi si specializza.
Ma questo è solo uno tra i tanti dati preoccupanti. A noi insegnanti piace tanto crogiolarci nell'idea che il nostro sapere sia bello e inutile, e in questo senso penso che sia stato assai dannoso il successo che ha ottenuto un libro come L’utilità dell'inutile, scritto qualche anno fa da Nuccio Ordine. Dannoso non perché io sia contrario in linea di principio alla tesi là sostenuta, ma perché quel libro ha finito per spingerci a guardarci l'ombelico, a dirci che siamo bravi a fare quello che facciamo e che non dobbiamo andare incontro alla società e ai suoi problemi.
Ordine, in quel volumetto, sosteneva infatti che il vero sapere è bello e inutile, che è slegato ai meccanismi dell'economia e va quindi protetto dall'ingerenza che il mondo imprenditoriale accampa sulla scuola. Da un lato penso anch'io che la scuola non debba certo obbedire alle aziende o pensare solo alle esigenze del sistema produttivo, ma allo stesso tempo penso anche che non debba neppure isolarsi in una torre d'avorio, contenta di sé e di sé sola. Come ho raccontato altre volte, in realtà questa dicotomia tra lavoro e cultura, tra economia e scuola è farlocca, non esiste davvero, ed è stata creata ad arte solo per far danni.
Per essere più concreti, io sono ovviamente favorevole allo studio della filosofia, la materia che forse più di tutte può sembrare astrusa e lontana dalle esigenze del mondo di oggi, ma ritengo che la filosofia debba formare menti elastiche, capaci di pensare, di sostenere le proprie idee, di vedere le cose da una prospettiva nuova; e queste competenze servono tantissimo non solo nell’iperuranio del pensiero, ma anche nel mondo concreto, perfino economico, di oggi. Non insegno filosofia per amore di Aristotele o Platone; insegno filosofia perché penso che, tramite Aristotele e Platone, io possa formare della gente che sa pensare.
Non esiste insomma il bello per il bello, la cultura per la cultura; anche perché quei grandi artisti e letterati che spesso si esaltano come esempi, erano in realtà uomini calati nel loro tempo, che facevano i conti con i mecenati, con il potere politico, con il potere economico: Shakespeare scriveva per soldi, come recitava un libro di qualche anno fa, e anche Michelangelo dipingeva per soldi. Eppure, questa strana mescolanza di arte ed economia ha prodotto alcuni dei più grandi capolavori dell'umanità.
E allora la scuola non può compiacersi di insegnare benissimo l'impero romano e di non dare agli studenti gli strumenti per capire il mondo di oggi; non può compiacersi di insegnare perfettamente le regole della grammatica latina e produrre dei liceali che non capiscono nulla di economia. E non può compiacersene, perché altrimenti accade quello che è sotto i nostri occhi: qualsiasi ciarlatano può andare in TV a promettere mari e monti e gli italiani gli crederanno.
La domanda iniziale, che forse ricorderete, era: come muore una democrazia? Ebbene, penso che non muoia perché c'è Giorgia Meloni al governo, o perché prima di lei c'è stato Giuseppe Conte o chi volete voi. La democrazia muore quando gli italiani non hanno gli strumenti cognitivi per farla sopravvivere; quando non capiscono quali sono i problemi in gioco e quali sono, realmente, le proposte di soluzione. Se il popolo è ignorante, cioè incapace di valutare e di comprendere la politica (anche quella concreta), siamo davanti a una democrazia che ha perso ogni sua ragion d'essere, perché il popolo stesso non riesce a esercitare coscienziosamente la propria sovranità.
Certo, la democrazia perfetta non esiste da nessuna parte e ogni sistema di questo tipo è perfettibile; ma i dati ci mostrano come in Italia questo problema sia oggi particolarmente forte. Abbiamo il tasso di conoscenza delle regole dell'economia più basso di tutta l'Unione Europea dopo Malta; abbiamo il tasso di abbandono scolastico tra i più alti tra i paesi più ricchi; abbiamo il tasso di laureati più basso di tutte le economie più avanzate; e abbiamo poca voglia di migliorarci, poca voglia di risolvere questi problemi se perfino i professori delle superiori si compiacciono di programmi svolti male, continuando a sostenere la tesi vetusta dell'Italia che sarebbe il paese della cultura. Sì, forse lo siamo stati, il paese della cultura; ma anche la cultura muore se non viene coltivata.
Aggiungo un ultimo dettaglio, per rafforzare ulteriormente questo concetto. Questa settimana sono usciti i risultati di una interessante indagine condotta riguardo alla diffusione di fake news e al loro impatto sulla cittadinanza. I risultati del test, se volete, potete leggerli qui, ma mi interessa in particolare un fatto: che i ricercatori, in base a quei dati, sostengono che il vero problema non sono le fake news, quanto piuttosto le notizie vere date in modo ambiguo e approssimativo dai giornali tradizionali.
Più che le notizie veramente inventate, infatti, a creare danni alla collettività sembrano essere le notizie che i giornali “seri” riportano male, o meglio le notizie che vengono presentate con titoli altisonanti e (volutamente) ambigui, che non fanno capire di cosa si sta davvero parlando.
Si tratta di quei titoli che a volte definiamo clickbait, o “acchiappa-clic”, perché esagerano la notizia in modo da spingerci a cliccare. Quell’esagerazione a volte gioca proprio sull’ambiguità, sul far passare un messaggio non esatto: lo si fa per guadagnare di più, fregandosene del fatto che così facendo si diffonda disinformazione (o almeno informazione scorretta).
Potremmo anche riassumere il tutto così: la democrazia muore quando ce ne freghiamo della correttezza per fare qualche clic in più; quando ce ne freghiamo della ricaduta del nostro insegnamento per sentirci più a nostro agio con quel che facciamo; quando preferiamo prendere pochi soldi oggi sperando che questi debiti si volatilizzino domani. La democrazia muore quando preferiamo una rassicurante ignavia (o ignoranza, o furbizia, fate voi) a quello che sappiamo sarebbe bene fare, ma che non ci va di fare.
La democrazia muore, insomma, quando non ci assumiamo pienamente la responsabilità di farla camminare. E siamo in tanti, purtroppo, a svicolare sempre di più davanti a questa responsabilità: l’astensionismo alle ultime elezioni europee, da questo punto di vista, è abbastanza inquietante. Mi consola un solo fatto: i miei studenti diciottenni e diciannovenni, forse perché non ancora disillusi, sono andati tutti alle urne.
Ma quanto dureranno? Io spero tanto, e credo che, conoscendoli, lo faranno; ma mi rendo conto che è sempre più difficile tener botta. Perché anche la responsabilità è una di quelle cose che si trasmettono: se vedi una persona essere responsabile, diventi più responsabile anche tu. Se vedi una persona che “cura” la democrazia, la “curi” anche tu. Se invece attorno a te vedi solo disinteresse, ti disinteressi anche tu.
La società è fatta di circoli virtuosi e di circoli viziosi che si rincorrono e rilanciano. Sta a noi dar vita ai primi e evitare i secondi.
Quello che ho registrato e pubblicato
Passiamo ora al solito elenco di video e podcast usciti questa settimana:
Tutto il Positivismo inglese in un'ora: un ripasso sintetico di cos’è stato il Positivismo in Inghilterra
Tutto il boom economico in 30 minuti: altro ripasso, questa volta storico e questa volta dedicato a una pagina importante del Novecento
Dallo stato di natura allo stato positivo per Locke (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La divisione dei poteri per John Locke (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il dopoguerra di Gran Bretagna e Francia (per il podcast “Dentro alla storia”)
La Russia dell’immediato dopoguerra (per il podcast “Dentro alla storia”)
Lo scetticismo e la parresia del Dr. House
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Etica ed economia di Amartya Sen: questa settimana il libro da aggiungere alla vostra biblioteca non è propriamente né di storia né di filosofia, ma di economia. Eppure è un libro da avere perché aiuta a capire un po’ l’una (almeno quella contemporanea e, paradossalmente, del futuro) e un po’ l’altra: si tratta di Etica ed economica, uno dei più celebri saggi di Amartya Sen, premio Nobel appunto per l’economia e a lungo professore a Harvard. Lo si può acquistare qui: consigliatissimo.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo come sempre anche con qualche anticipazione su quello che arriverà durante questa settimana:
domani cominciamo con un video breve, uno short, dedicato all’Esame di maturità in procinto di partire;
mercoledì, se riesco a sopravvivere, vorrei fare un video “a caldo” di commento alle tracce della prima prova dell’Esame;
giovedì potrebbe essere una data buona per il Simposio filosofico, ma è ancora da vedere (se siete abbonati, state pronti che a breve esce il sondaggio per decidere quando incontrarci);
venerdì e sabato arriveranno poi i podcast, con la conclusione di Locke e l’introduzione a Stalin, rispettivamente;
domenica dovrei riuscire a pubblicare l’ultimo video riassuntivo di questa stagione, dedicato a Popper e i post-popperiani in un’ora;
lunedì prossimo, infine, vorrei proporvi un video intitolato Dieci libri per l’estate, visto che si inizia a pensare a cosa portare sotto l’ombrellone.
E questo è tutto anche per questa volta. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti, dopo una settimana di prove di maturità e soprattutto – almeno di me – di correzioni. A presto!
Grazie Ermanno, sempre ottimi spunti di stimolo. Credo che dobbiamo (re)imparare a riconoscere la nostra individualità futura come parte di noi. C'è una sorta di distacco, frutto di quel disinteresse e di quella superficialità che menzioni, tra il nostro io presente e l'io futuro, intendiamoci: non credo sia colpa di un eccessivo successo dei libri di auto-aiuto, ma questo eccessivo "vivere il presente" senza progettualità pesa in modo angosciante.
In parte dipende anche dal fatto che non riusciamo più ad esprimere leadership, la nostra produzione di rappresentanti democratici è sempre più orientata a produrre dei follower che sappiano sintonizzarsi con l'opinione pubblica, anziché dei leader capaci di aggregare opinione su dei progetti. Penso che la frammentazione dei media abbia un ruolo in tutto questo, facendo prevalere il rumore ed emarginando il "mainstream", ma sarebbe bello unire pensieri di matrice diversa per una sintesi capace di non dico di risolvere, ma almeno di definire il problema nella sua interezza.