Fenomenologia dello splendido (e di Alessandro Giuli e di molti filosofi), ma parliamo anche di Only Murders in the Building, Benito Mussolini, Luigi Einaudi, Luca Bizzarri e Søren Kierkegaard
Ed eccoci qui, per un altro lunedì, puntuali come un orologio svizzero con la nostra consueta newsletter settimanale. Se siete arrivati qui da poco, benvenuti: i numeri stanno crescendo da settimane con costanza e siamo sempre più numerosi. Se siete invece aficionados della prima ora, sapete già bene come funziona, e magari vorreste ormai anche qualcosa di più rispetto a questa semplice mail.
E qualcosa di più, un po’ alla volta, per la verità sta arrivando. Questa settimana, come vedrete più avanti, ad esempio sul canale ho pubblicato la prima puntata di LibSophia, iniziativa partorita assieme alla Fondazione Luigi Einaudi e col sostegno di Trieste Campus: ogni quindici giorni uscirà un nuovo episodio, prima sui canali della Fondazione e qualche giorno dopo anche qui da me. Guardatevi questo primo video e spargete la voce: è un progetto che ci terrà compagnia a lungo e su cui stiamo puntando molto.
Altri eventi e progetti si stanno sviluppando in questi giorni. Vi ricordo, a tal proposito, qualche appuntamento utile:
domani sera (martedì) alle 21 sul canale YouTube si terrà la consueta diretta mensile riservata agli abbonati (se non sapete come ci si abbona, guardate qui);
sabato sarò poi quasi sicuramente a Roma per una “toccata e fuga”, soprattutto dedicata a visitare la mostra sul Guercino ospitata alle Scuderie del Quirinale: a tempo debito vi spiegherò il perché di questa visita, ma anche in questo caso c’è qualcosa che bolle in pentola;
lunedì prossimo, il 4 novembre alle 19, sarò poi all’Eataly di Verona per presentare Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva;
martedì 5 novembre, quindi, presenterò quello stesso libro anche a Rovigo, nella mia città, presso la sala della Gran Guardia in Piazza Vittorio Emanuele II a partire dalle 18;
giovedì 7 novembre, infine, sarò a Pisa per partecipare all’evento Warning di Palazzo Blu, dove parlerò a partire dalle 15:30 e mi concentrerò addirittura sulle culture precolombiane.
Questo per darvi conto degli appuntamenti più impellenti. Stiamo però organizzando tante altre cose perfino per il 2025: sarà un periodo (per fortuna) molto intenso. Oltre a questi incontri pubblici, ce ne saranno poi anche nelle scuole e per insegnanti: se appartenete a queste categorie, rimanete in contatto perché a tempo debito scriverò tutto anche qui.
E ora riponete il calendario: siamo pronti per partire con la nostra solita carrellata sui libri, sui film e sulle riflessioni.
Quello che ho letto
E cominciamo appunto dai libri, a cui spetta sempre l’avvio della newsletter.
Non hanno un amico di Luca Bizzarri: forse anche per alleggerire un po' le letture di questa settimana (che, come vedrete, sono belle toste), ho dedicato nei giorni scorsi diverse ore a Non hanno un amico di Luca Bizzarri. Si tratta di un libro che ho iniziato a leggere un po' per caso, partendo da uno spunto letto qua e là che mi aveva incuriosito; e passare dallo spunto al libro è stato piuttosto semplice e rapido. Bizzarri, credo, lo conosciate tutti: attore e comico televisivo, ha partecipato a programmi di grande successo e, negli ultimi anni, ha acquisito una certa notorietà anche grazie ai suoi commenti caustici e cinici, spesso rivolti alle uscite infelici dei nostri politici o alle notizie più curiose di cronaca. Questi interventi hanno trovato inizialmente spazio sui social network, in particolare su Twitter, e da lì si sono evoluti un po’ alla volta in un podcast seguito da molti e, infine, in questo libro, che raccoglie – a quanto ho capito – i testi delle puntate del podcast stesso. A me Bizzarri piace: non condivido tutto quello che dice, ma apprezzo il suo modo diretto e sincero di affrontare le varie questioni, mettendone in luce gli aspetti assurdi e paradossali. Sui social, i suoi commenti generano spesso reazioni violente, insulti e offese di vario genere, ma credo che questo rifletta più i tempi in cui viviamo che un difetto di Bizzarri: ormai non sappiamo più ridere di noi stessi e ci offendiamo per qualsiasi cosa, scaricando sul comico di turno tutte le nostre frustrazioni. Insomma, il problema non è Bizzarri, che fa il proprio mestiere (e a volte lo fa anche bene); il problema siamo noi, che non sappiamo più apprezzare le provocazioni. Il libro è chiaramente leggero, a tratti forse troppo legato alla cronaca e quindi potenzialmente destinato a invecchiare rapidamente, ma permette di tirare una boccata d'ossigeno su alcune delle derive prese dalla nostra società e dal dibattito pubblico, affrontandole con una buona dose di intelligenza. Se vi interessa, potete acquistarlo qui.
Scritti e discorsi di Benito Mussolini: leggere i discorsi di Benito Mussolini – non solo quelli famosissimi, ma anche quelli secondari e marginali – è un’impresa complessa, ma devo dire anche molto interessante. Complessa perché, com’è facile intuire, Mussolini di discorsi ne fece molti, moltissimi, e lungo gli anni sempre più autocelebrativi, quindi non si tratta di pagine accattivanti nella forma e nei contenuti; allo stesso tempo, però, se si resiste alla tentazione di abbandonare l’impresa, la lettura si rivela alla lunga anche molto proficua. Non si può certo dire, infatti, che Mussolini si sia nascosto dietro a un dito o abbia celato le sue intenzioni: a rileggere i suoi discorsi, si può ripercorrere benissimo la sua carriera, senza finzioni. Si vede fin da subito l’amore per la violenza e la forza; si scorge qua e là, fin da subito, anche l’intento totalitario; e lo stesso fondatore del fascismo si fa vanto di essere un dittatore e, ogni tanto, perfino un tiranno. Perfino quando Mussolini respinge le accuse che solitamente gli venivano rivolte dagli oppositori (di essere un violento, un accentratore, un despota e così via), dà prova, rispondendo ad esse, di accettarle, di ritenerle in fondo almeno motivate, se non addirittura vere. Insomma, Mussolini è chiaro, ammette candidamente di essere quel che è, e su questo non c’è granché da capire: bisogna ammettere che lui stesso, da questo punto di vista, è sempre stato onesto. Dopo l’omicidio Matteotti chiese al Parlamento, retoricamente, se lo riteneva il capo di un’associazione a delinquere, e di fatto così facendo ammetteva di esserlo: bisognava esser ciechi per non capirlo. E proprio qui sta, in fondo, l’atto d’accusa più grave di questo libro – edito da Feltrinelli e curato da David Bidussa –: quello cioè che Mussolini non ha certo “imbrogliato” gli italiani, non li ha tratti in inganno; è sempre stato limpido e cristallino riguardo a quello che intendeva fare. Sostenere l’idea che gli italiani non avessero capito, che avessero sottovalutato l’impatto di quel piccolo ducetto – che tra l’altro non era né il grande oratore che a volte ci piace pensare, né un grande intellettuale, visto che molto spesso non capiva in profondità neppure le dinamiche economiche e sociali che affrontava, come abbiamo mostrato la settimana scorsa –, significa assolvere gli italiani stessi da una colpa che in realtà grava sul loro capo: perché non fu poi così furbo, non fu poi così scaltro, non fu poi così bravo questo Mussolini; furono gli italiani a non voler vedere dove quell’uomo li stava trascinando, nonostante egli non avesse mai nascosto nulla. Insomma, sarà pur noioso leggere tutti quei discorsi di Mussolini, ma – considerando che erano discorsi pubblici, e ampiamente diffusi – è un’impresa che aiuta a capire molte cose. Il libro, se vi interessa, potete comprarlo qui.
Aut-Aut di Søren Kierkegaard: la settimana scorsa vi ho raccontato di aver iniziato a leggere Aut-Aut di Kierkegaard, il libro scelto dagli abbonati del canale per la riunione del Club del libro di inizio novembre (se non sapete di cosa sto parlando, guardate qui). Procurarsi quel saggio, però, non è stato semplice: in commercio si trovano principalmente edizioni ridotte, che riportano solo una parte del testo originale del filosofo danese. Per riprenderlo davvero in mano, ho dovuto dunque frugare a lungo tra gli scaffali della mia libreria, finché non ho scovato una vecchia edizione Adelphi, comprata usata parecchio tempo fa e mai letta per intero. Ora mi ci sono rimesso di buona lena, anche se l’impresa non è semplice: si tratta di cinque volumetti, non lunghi ma neppure particolarmente agevoli. La scrittura di Kierkegaard è chiara, ma le sue riflessioni si dilungano su argomenti che potrebbero risultare per alcuni poco interessanti. Per esempio, tutto il primo volumetto dell’edizione Adelphi è dedicato a un'analisi dettagliata del Don Giovanni di Mozart: non essendo particolarmente appassionato di opera, ho trovato quella parte eccessiva, soprattutto perché non riuscivo a coglierne tutte le sfumature. Il testo, comunque, è strutturato così, è frammentario in ogni sua parte, e bisogna adattarsi: come forse già saprete, in quel saggio Kierkegaard introdusse infatti i primi due stadi dell'esistenza, quello estetico e quello etico, e lo fece simulando il ritrovamento di due plichi di scritti, denominati “carte di A” e “carte di B”, contenenti lettere, racconti brevi, saggi e riflessioni erudite. C’è di tutto, e l’approccio filosofico emerge solo qua e là; il resto è occupato da analisi spesso interessanti ma che rischiano di far perdere di vista l'obiettivo finale. In compenso, da parte mia sto cercando di accelerare la lettura, dato che sono ancora al secondo dei cinque volumi che dovrei completare entro una decina di giorni. Vedremo se riuscirò a finire in tempo. Intanto, se vi interessa, l'edizione di cui vi ho parlato è acquistabile qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film e alle serie tv, con alcuni classici vecchi e nuovi.
Monty Python’s Flying Circus episodio 3.08-3.09 (1972), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: vi ho già accennato a come stia cercando, in tutta fretta, di guardare più episodi possibili di Monty Python's Flying Circus, dato che Netflix ha annunciato che alla fine del mese la serie sarà rimossa dal catalogo. Un vero peccato, secondo me, anche perché immagino che i diritti per una serie così datata non siano particolarmente onerosi; evidentemente la piattaforma ha scelto di investire su altro, ma per me resta una perdita non indifferente. Anche perché averla su una piattaforma tanto diffusa era una grande opportunità per far conoscere ai più giovani un pezzo fondamentale della storia della tv. Se non avete mai visto il Monty Python’s Flying Circus, ad ogni modo, siete ancora in tempo per gustarvi almeno qualche episodio. La comicità surreale del gruppo britannico richiede un po’ di tempo per essere apprezzata nella sua interezza, ma una volta entrati nel loro mondo diventa irresistibile. Per farvi un esempio, nell’ottavo episodio della terza stagione che ho visto di recente, l’intera puntata ruota attorno a un tizio che vuole fare il giro della Cornovaglia in bicicletta. Ovviamente, gli succede di tutto: inizialmente gli incidenti sono dovuti alla sua goffaggine, ma poi, a causa di una serie di equivoci assurdi e surreali, si arriva perfino al suo arresto in Unione Sovietica, accusato di trotzkismo. Alcune parti di questo episodio sono diventate epiche e le ho viste riproposte molte volte in contesti diversi, ma è importante ammirarle anche nella loro forma originale, come furono presentate per la prima volta al pubblico britannico nel 1972. Proporre questo tipo di comicità sulla BBC, in un’epoca così diversa dalla nostra, richiedeva davvero coraggio e visione. Quindi, se vi interessa, correte a vederla finché è ancora disponibile: la trovate, come detto, su Netflix.
Only Murders in the Building episodio 4.04 (2024), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: prosegue, anche se un po' a rilento, la mia visione della quarta stagione di Only Murders in the Building, fortunata serie americana che mescola giallo e commedia e vanta un cast eccezionale. Tra i protagonisti, oltre al creatore Steve Martin, ci sono la veterana star Martin Short e la giovane e, devo dire, sempre più convincente Selena Gomez, insieme a un ricco parterre di guest star hollywoodiane che appaiono di episodio in episodio. Come vi raccontavo nelle settimane scorse, la particolarità di questa stagione sta nel fatto che ogni puntata si ispira a un film importante della storia del cinema. Anche il quarto episodio segue questa linea, ispirandosi però questa volta a un titolo meno noto: Professione pericolo, film del 1980 con Peter O’Toole. Personalmente, la serie continua a piacermi; ormai mi sono affezionato ai personaggi e alla loro simpatica goffaggine. Tuttavia devo anche dire che alla quarta stagione, nonostante le idee di sceneggiatura, la formula comincia a mostrare i segni del tempo: molte dinamiche si sono già ripetute, e mi sembra difficile che lo schema possa reggere ancora a lungo. Anche nel mio caso a dire il vero, più che seguire il giallo, ormai guardo gli episodi per vedere come interagiscono i protagonisti; non mi interessa scoprire il colpevole di turno, ma passare qualche minuto assieme a personaggi simpatici. E non so quanto durerà. Se vi interessa, potete ad ogni modo trovare questa stagione, insieme alle precedenti, su Disney+.
Grandi magazzini (1939), di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, Assia Noris, Enrico Glori: la settimana scorsa, come forse ricorderete, vi ho parlato di Pane, amore e fantasia, celebre film dei primi anni ’50 con protagonista Vittorio De Sica. Spesso, guardare un film con un vecchio attore mi porta a guardarne altri e a volermi documentare su quell’interprete, a conoscerne la vita e le esperienze. Così è accaduto anche con De Sica: mi è venuta voglia di riscoprire altre sue pellicole, specialmente quelle che non ho mai visto. Quello di De Sica, credo, è un nome noto a tutti: è stato uno dei grandi interpreti della commedia all’italiana e un regista straordinario, autore di capolavori come Ladri di biciclette, Sciuscià, Umberto D. e tanti altri. Tuttavia, queste opere appartengono alla fase più matura della sua carriera, realizzate quando ormai era un uomo adulto e nel pieno della sua maturità artistica. Non tutti sanno, però, che De Sica raggiunse la fama in Italia già prima della Seconda guerra mondiale, grazie al lavoro in teatro, attività molto popolare all’epoca, e in una serie di film leggeri girati durante il fascismo. Questi film non li avevo mai visti, anche se ne avevo spesso sentito parlare, così questa settimana sono riuscito a recuperare Grandi magazzini, una pellicola del 1939 con De Sica come assoluto protagonista. Nato nel 1901, il futuro regista aveva all’epoca 38 anni e già una carriera di rilievo, avendo recitato in vari film diretti dallo stesso Mario Camerini, autore anche di Grandi magazzini. Tra i film in cui aveva già lavorato, Il signor Max è probabilmente il più famoso, ritraendo De Sica come un interprete affascinante e carismatico. Grandi magazzini continuava su quella stessa linea, presentando un’Italia spensierata e felice, ben lontana dalla realtà della fine degli anni ’30. La storia è ambientata all'interno di un grande magazzino, una realtà all'epoca già diffusa nelle capitali europee ma in Italia presente solo in poche città, che apparivano molto diverse dall’immagine tradizionale del paese. Il film è infatti ambientato a Milano, una metropoli che sembra già quella del dopoguerra, con signore eleganti alla ricerca di cappelli alla moda, un certo lassismo morale e la promessa di facili guadagni in un futuro che appare roseo. Questa visione stride un po’ con l’Italia reale degli anni ’30, che, a differenza di quanto si vede nel film, era oppressa dalla crisi economica e dalla politica autarchica, che riduceva il potere d’acquisto e la qualità dei prodotti a disposizione degli italiani. I film di Camerini disegnavano quindi un mondo dei sogni, in cui il pubblico italiano poteva facilmente evadere dalla quotidianità. La trama di per sé è semplice: De Sica interpreta un autista al servizio del magazzino, un autista che però si innamora di una giovane commessa, amore ben presto ricambiato; una serie di furti compiuti all’interno della struttura rischia di complicare la storia d’amore dei due, anche se alla fine il sogno si realizza. Anche se la trama può apparire stereotipata, il film è ben realizzato e ben interpretato, risultando godibile anche oggi, nonostante i suoi 85 anni d’età. Se vi interessa, potete vederlo su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
Se dovessi dare un titolo alla riflessione di questa settimana, la intitolerei “Fenomenologia dello splendido,” riferendomi a quella particolare figura che pretende di rischiarare le nostre vite, convinta di brillare in una valle di incertezze, di possedere una verità indiscutibile in un mondo complesso e sfaccettato: appunto, quella persona che chiamo “lo splendido”.
Come già sapete, qualche mese fa ho pubblicato con Cairo Editore il mio ultimo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. È un saggio divulgativo che cerca di presentare la filosofia – o meglio, alcuni grandi pensatori della storia della filosofia – traendo da essi degli insegnamenti che possano offrire un orientamento per affrontare le difficoltà del mondo attuale. I filosofi che ho selezionato sono in gran parte scettici: figure come Socrate, Guglielmo di Occam, Montaigne, Hume e Popper. Ognuno di loro ci ricorda l'importanza del dubbio e della consapevolezza dei nostri limiti nell’ambito della conoscenza. Insomma, semplificando un po’ il discorso si potrebbe dire che l’invito a “restare con i piedi per terra” è, da un certo punto di vista, il nucleo centrale di quel libro.
Quando vado in giro per l'Italia a presentarlo – cosa che, tra l’altro, faccio sempre più spesso – insisto proprio su questi aspetti: l’autocritica, il dubbio e la modestia, che considero strumenti fondamentali, non solo per riflettere filosoficamente, ma anche per fare scelte consapevoli nella vita quotidiana e in ambito sociale, affettivo, lavorativo (e, perché no, politico). In un mondo in cui tutti sembrano assolutamente certi delle loro opinioni, ritornare alla “ironia” e alla “maieutica” socratiche mi sembra essere un imperativo morale, ancor prima che una riflessione filosofica.
Ebbene, quando parlo di queste cose al pubblico, la maggior parte sembra condividere le mie idee, almeno a parole. Tuttavia, spesso noto che alcune persone, pur riconoscendo l’importanza teorica di questo benedetto dubbio, in realtà non riescono ad applicarlo quasi per nulla alla loro vita, e me ne danno immediatamente prova. Paradossalmente, dopo avermi ascoltato parlare per decine di minuti sull’importanza di evitare certezze assolute, queste persone corrono a fine sera a raccontarmi, con grande sicurezza, che loro in realtà una “verità” ce l’hanno, bella e pronta. Io magari per tutto l’evento ho detto che l’intelligenza artificiale ci lascia tanti interrogativi, che le guerre in giro per il mondo lasciano aperte mille questioni, che riguardo ai cambiamenti dei nostri giovani dobbiamo porci mille domande, e subito vengo fermato da una persona che mi vuole spiegare come risolvere tutte quelle cose, perché ha capito tutto e ha la soluzione già pronta in tasca.
Lo stesso fenomeno si verifica sotto ai miei video su YouTube, specialmente quando affronto temi politici o di attualità. Nonostante io insista in quei casi sull’importanza della cautela e dell’incertezza, trovo ogni tanto commenti di persone che, in modo a volte anche sgrammaticato e approssimativo, semplificano brutalmente le questioni, schierandosi acriticamente con una posizione o con l’altra. Anche se razionalmente so che si tratta di una minoranza per ascoltatori (anche se rumorosa), il loro atteggiamento mi sorprende sempre, proprio perché in piena contraddizione con quello che provo a sostenere; e anche perché il loro non è in realtà un contributo alla comprensione, ma solo un tentativo di mostrare una presunta superiorità, un tentativo di dimostrarsi “splendidi”, tentativo che però nasconde solo un bisogno di protagonismo.
È qui che, appunto, ritorna la figura dello “splendido”: queste persone di solito non cercano di comprendere una questione, ma di mettersi in mostra, di apparire sapienti senza davvero esserlo. La vanità, infatti, è il loro motore principale: non hanno la pazienza necessaria per costruirsi un’idea solida e completa, perché la priorità è apparire, non capire; impressionare, non risolvere.
La domanda che sorge, però, è credo più ampia: quanti di questi “splendidi” ci circondano, anche tra coloro che ricoprono ruoli di responsabilità? Penso, per esempio, alle recenti polemiche che hanno coinvolto il neoministro della cultura Alessandro Giuli, prossimo alla laurea in filosofia. Nei suoi primi discorsi pubblici, come hanno notato molti osservatori e commentatori, Giuli si è espresso in un modo che riflette una certa tendenza alla tracotanza verbale, tendenza per la verità comune non solo a lui ma a molti intellettuali italiani, che spesso credono di dover utilizzare un linguaggio pomposo per dare valore alle proprie idee. Questa, tra l’altro, è una tendenza antica: la storia della filosofia è piena di cattivi maestri che complicano inutilmente le cose, puntando a stupire piuttosto che a chiarire.
Gli scettici di cui parlavo prima rappresentano una salutare eccezione a questa tendenza: sono filosofi che ci hanno richiamato a un uso più sobrio e rigoroso del linguaggio, dimostrando come molti problemi nascano proprio da un uso distorto delle parole. Lo “splendido”, invece, cerca sempre l’effetto: privilegia l’apparenza sulla sostanza, la forma sul contenuto, e punta non a confrontarsi con gli altri, ma a prevalere su di loro.
Il fenomeno è evidente anche in televisione: siamo circondati da opinionisti che sanno poco delle questioni di cui parlano, ma che ostentano una tale sicurezza da raccogliere schiere di fan. L’apparire sicuri e convinti, infatti, è più efficace per fare proseliti rispetto all’esprimere dubbi e sfumature. La nostra società, in Italia come altrove, premia chi sa semplificare i problemi e radicalizzare le opinioni, mentre esprimere un punto di vista incerto, esporre dubbi e mantenere equilibrio raramente attirano grandi consensi.
Quei personaggi “splendidi”, a mio avviso, sono falsi maestri: non arricchiscono il dibattito, né offrono al pubblico strumenti per riflettere criticamente sulle varie questioni. Piuttosto, come capi di una tifoseria, attirano attorno a sé chi, per mancanza di strumenti critici, non coglie l’inganno metodologico a cui viene sottoposto. Perché sì, si tratta in effetti proprio di un inganno metodologico: non importa tanto il contenuto delle loro affermazioni, quanto il modo in cui evitano sistematicamente il confronto autentico, rinunciando all’autocritica e all’onestà intellettuale. Anche se a volte possono dire cose condivisibili, la loro mancanza di apertura verso idee diverse rende il loro contributo potenzialmente dannoso.
Da dove nasce, però, questo problema? Perché ci sono così tanti intellettuali (o presunti tali) che rinunciano alla vera ricerca di conoscenza per trasformarsi in propagandisti di una singola visione? Ancora una volta, credo che la risposta sia nella vanità, nel desiderio di visibilità e approvazione immediata. Tutti amiamo i complimenti, ma lo “splendido” antepone questa gratificazione a tutto il resto. Non è disposto a sacrificare un po’ di notorietà per amore dell’approfondimento e della cautela.
Oggi, poco prima di scrivere queste righe, ho registrato un video su Zygmunt Bauman, il grande sociologo polacco scomparso pochi anni fa (lo trovate nella sezione Quello che ho registrato e pubblicato). Parlando del suo concetto di “società liquida”, ho sottolineato come, secondo Bauman, la nostra epoca sia improntata alla gratificazione immediata, alla ricerca di risposte rapide e superficiali. Anche il ruolo dell’intellettuale è influenzato da questa tendenza: c’è chi cerca visibilità sui social, chi punta alle ospitate televisive, e chi, invece, accetta di rimanere nell’ombra, costruendo qualcosa di più solido e duraturo per il futuro.
Idealmente, i filosofi dovrebbero appartenere a questa seconda categoria: la filosofia richiede lentezza, riflessione ponderata, è un processo che mal si adatta alla velocità dei social. Un filosofo dovrebbe aspirare a essere compreso, forse, dalle future generazioni, anche a costo di sacrificare la fama immediata; dovrebbe in un certo senso cercare di essere postumo. Ma per esserlo davvero dovrebbe, preliminarmente, accettare la propria ignoranza. Socrate ci insegna proprio questo: quando fu messo a processo e venne messo di fronte a una scelta, scelse la coerenza, rimanendo fedele a sé stesso fino alla fine, nonostante l’ostilità e l’incomprensione dei suoi concittadini. Scelse il dubbio, più che la soluzione facile; stupì i suoi seguaci, più che assecondarli. Oggi, certo, non chiediamo ai filosofi il sacrificio della vita, ma sarebbe credo auspicabile che qualcuno di loro rinunciasse a un po’ di popolarità per rimanere fedele all’esempio del grande pensatore ateniese.
Ovviamente anche io per primo e noi tutti, nel nostro piccolo, possiamo cercare di essere più filosofi e meno “splendidi”: e per esserlo dobbiamo ricordarci la modestia, qualità essenziale per una riflessione ponderata, l’autocritica, la lentezza. Cose che non vanno troppo di moda, ma che, proprio per questo, sono quantomai importanti.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto su quello che è uscito nel canale nell’ultima settimana:
Bauman e la società liquida: prima puntata di una brevissima serie di video dedicata a Zygmunt Bauman e al suo pensiero
Storia delle tensioni nel Medio Oriente: un riassunto dei problemi che da un secolo attanagliano quella zona
Il pensiero di Luigi Einaudi [LibSophia episodio 1]: quindici minuti per introdurre a un economista, un politico, un po’ anche filosofo
Tutti i presocratici in un'ora di lezione: una lezione intensa per parlare in breve di tutti i primi filosofi della tradizione greca
La vita e il sapere per Vico (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Stalin contro i kulaki nelle campagne (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il progetto
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Nel nome della croce di Catherine Nixey: se c’è un libro di storia che ha avuto un inaspettato successo negli ultimi anni, questo è stato Nel nome della croce. E il motivo del successo è facilmente comprensibile: si tratta di un volume che mostra una certa vis polemica, cosa che ne rappresenta la forza ma forse anche in parte il limite. Ciononostante, quando un libro fa parlare così tanto di sé, vale la pena di leggerlo: in questo saggio, infatti, la Nixey mostra come alla base della distruzione del mondo classico ci fu, in buona misura, l’imporsi del cristianesimo, che cancellò letteralmente opere e realizzazioni artistiche di chi c’era stato prima. Il libro può essere acquistato qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofia (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo come sempre anche con qualche anticipazione riguardo a quello che vorrei riuscire a pubblicare nei prossimi giorni sul canale:
domani, come già anticipato all’inizio, arriverà la diretta mensile per gli abbonati;
mercoledì e giovedì spazio ai podcast, con una puntata per proseguire il discorso su Giambattista Vico e un’altra per parlare delle purghe staliniane;
per venerdì vorrei poi riuscire a preparare una nuova puntata della lettura integrale del Candido di Voltaire;
sabato arriverà l’ultima puntata del ciclo dedicato alla Storia dei consumi;
domenica, quindi, vorrei proporvi il secondo video su Bauman, che farà il paio con quello che ho pubblicato oggi;
lunedì prossimo, infine, tornerà il podcast filosofico con di nuovo Vico.
E questo è quanto. Con gli abbonati ci vediamo domani in diretta sul canale, con tutti gli altri la settimana prossima qui sulla newsletter e poi, spero, in uno degli incontri dal vivo. A presto!
Buon giorno , scrivo di getto . sono d accordissimo con lei sull importanza del dubbio . Due anni fa, in vacanza alle Canarie , approcciai un gruppo di italiani , con i quali dopo qualche battuta iniziammo a discorrere a notte fonda , da bravi peripatetici e apprezzavano le mie opinioni.
Uno mi suggeri´di aprire un blog per esprimere le mie opinioni . Mi venne da rispondere che se
Socrate e Paul Morphy , il primo campione di scacchi americano vissuto nell ´800 ,
non avevano lasciato nulla di scritto , perche´farlo io?
Quando ho letto il titolo della newsletter di oggi , ho immaginato che riferisse al discorso di Giuli .
Uno su Internet ha scritto che hanno chiesto a Massimo Cacciari se aveva capito il discorso di Giuli e pare che Cacciari lo abbia capito . Ho pensato che non c e´da stupirsi , anche Cacciari e´ un esempio di oscurita´: una volta scrivendo a un amico , feci una parodia dello stile di Cacciari
scrivendo una frase piena di trattini , se uno ha letto "Krisis" , sa di cosa parlo .
E mentre scrivo del neo heideggerismo di Cacciari , mi torna in mente , avanzo il dubbio ,se si puo´ sostenere che il capostipite dell oscurita´ non sia stato proprio Heidegger ! Trenta anni fa , lessi
un libro di Paolo Rossi , "Paragone degli ingegni moderni e postmoderni" , che racconta
dell influsso magico che Heidegger esercitava sui suoi studenti , raccontava Karl Lowith che
lo chiamavano lo stregone , per come sapeva incantare i suoi uditori . Heidegger usava il tedesco
dando un senso particolare alle parole . Puo´ trovare il libro di Paolo Rossi su Anna s Archive.
Credo che apprezzera´ il saggio , abbiamo entrambi una predilezione per la visione scientifica razionale , in filosofia .
L autore del saggio non e´ naturalmente il calciatore vicentino , ma mi ricordo anche
che all Universita´ avevo eletto come filosofo da studiare Banfi . Banfi non e´
Lino Banfi , ma non ci sarebbe nullla di male se con Banfi , si intendesse un invito
al buon senso !Ci sarebbe da fare , un un collegamento tra i filosofi e il buon senso.
Banfi andrebbe riletto , propongo di scegliere lui per discuterne nel suo gruppo .
Banfi era un filosofo neo kantiano .