La dittatura delle minoranze (soprattutto LGBT) secondo il generale Vannacci e secondo Viktor Orbán, parlando però anche di Only Murders in the Building, The Bear, Sedotta e abbandonata, le lingue
Ed eccoci, al ritorno al lavoro e alla vita più o meno normale. Stamattina l’attività nella mia scuola è ripresa sostanzialmente a pieno ritmo, con riunioni, esami, attività per la conclusione dell’anno scolastico 2022/23 e preparativi per l’inizio del 2023/24. Il Covid, le lezioni via Google Meet e tutto il resto sembrano ricordi lontanissimi, ormai.
Da parte mia, mi sto preparando anche alla nuova “stagione” dell’attività su YouTube e internet. Anzi, forse sarebbe meglio dire che ci stiamo preparando. Uso il plurale perché quest’attività non è più da tempo solo mia: quelli che seguono il canale sono tantissimi, quelli che seguono i podcast altrettanti, senza parlare di questa stessa newsletter. Decine di migliaia di persone, forse addirittura centinaia di migliaia, interessate a lezioni lunghe di storia e filosofia: non curiosità o aneddoti, non video da 10 minuti, ma lezioni vere e proprie da 40 minuti, anche su questioni molto tecniche e astruse. È un gran risultato, a guardar bene.
Le idee per riempire i prossimi mesi, comunque, ci sono e sono parecchie. Speriamo che anche le forze siano allo stesso livello. In realtà, a proposito di forze, fino ad ottobre mi aspettano una serie di impegni extra legati alla scuola che potrebbero mettermi un po’ alla prova; dopo le cose dovrebbero andare un po’ più lisce.
Prepariamoci, ormai ci siamo quasi. Intanto cominciamo con la nostra solita (ma spero interessante) newsletter.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri. In lista questa settimana ci sono addirittura due titoli nuovi, come se non bastassero già i numerosi libri in lettura contemporaneamente.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: cominciamo però da un volume che ci fa compagnia già da un po’. La lettura del lunghissimo capolavoro di Nievo prosegue, lenta ma costante. Vi aggiorno brevemente sulla trama, perché nel giro di pochi capitoli la faccenda si è molto evoluta. Dopo essersi dilungato per molte pagine sull’infanzia del suo protagonista, Carlino, e aver raccontato dei dissidi tra il conte di Fratta e altri nobili del vicinato, di colpo gli anni hanno cominciato a passare in fretta. Carlino, mandato a studiare a Padova sotto il controllo di uno strano avvocato, ha conosciuto alcuni giovani patrioti che guardano con interesse a quel che accade in Francia; prima che possa approfondire le questioni politiche, però, questi compagni vengono arrestati e il nostro protagonista viene richiamato a Fratta. Nel frattempo, le cose tra Clara e Lucilio non vanno per il verso giusto, e la prima sembra pronta ad entrare in convento visto che i genitori non le lasciano sposare l’uomo amato; uomo che, tra l’altro, è diventato medico e pare immanicato proprio coi francesi. Infine la Pisana, il grande amore d’infanzia di Carlino, sembra sempre più vanitosa e superficiale e il ragazzo decide di rinunciare definitivamente a lei, quasi offeso dal modo in cui la ragazza (ormai quasi donna) tratta i suoi spasimanti. E poi, nel giro di una ridda di pagine, succede il finimondo: i francesi invadono l’Italia e devastano parte del Veneto, Carlino riesce ad avere addirittura un fugace colloquio con Napoleone e – colpo di scena – fa ritorno inaspettatamente il padre del personaggio principale. Si prospettano, insomma, grandi eventi politici all’orizzonte. Ma vedremo, tempo al tempo. Intanto, se il libro vi interessa, potete comprarlo qui.
Dio di illusioni di Donna Tartt: in genere credo di essere un tipo abbastanza informato sui libri, almeno più della media: mi interessano gli articoli che ne parlano e, ovviamente, ne leggo anche molti, a dirla tutta anche parecchi di più di quelli che poi riesco a finire. Quindi quando un romanzo ha successo è difficile che non ne abbia mai sentito parlare; magari non lo leggo (anzi, a dirla tutta i libri che hanno troppo successo non mi attirano quasi mai, almeno non subito), ma almeno so più o meno di cosa tratta. Così, è difficile che gli studenti mi colgano in castagna, parlandomi di libri che proprio non conosco. Difficile ma non impossibile, per la verità: perché io sono evidentemente meno bravo di quel che credo e il mondo è più imprevedibile di quanto mi piaccia pensare. Così, qualche mese fa alcune mie studentesse mi hanno citato proprio Dio di illusioni di Donna Tartt, convinte che io lo conoscessi e che anzi capissi al volo a cosa si riferissero, con quelle mezze parole che a volte si fanno tra lettori incalliti che condividono gusti in comune. Solo che io non li capivo, quei riferimenti, perché non avevo mai letto il libro e non ne avevo nemmeno sentito parlare (oppure me ne ero completamente dimenticato). Così in quell’occasione ho fatto la figura dell’allocco, di quello che sa meno cose dei suoi allievi: ogni tanto mi capita, e in fondo è anche un bene, perché se avessi solo da insegnare e nulla da imparare la scuola sarebbe estremamente noiosa. Cercando informazioni, ho poi scoperto la gravità della mia figuraccia, perché Dio di illusioni ha ormai anche qualche anno sulle spalle ed è stato, pare, baciato da un’ottima fortuna editoriale. Essendo uscito nel 1992, avrebbe dovuto essere anzi uno dei miei romanzi di formazione, dell'adolescenza, ma per qualche oscuro motivo non l'ho letto né ne avevo memoria. È poi passato qualche mese e mi sono rapidamente dimenticato delle citazioni delle mie allieve, ma qualche settimana fa il libro mi è tornato improvvisamente sott’occhio, intravedendolo per caso su Goodreads, e, nonostante la pila dei volumi da affrontare sia già cospicua di per sé, ho deciso di comprarlo e di iniziarlo. Forse, dopo le ultime settimane passate perlopiù su saggi o su romanzi comunque storici, avevo bisogno di una lettura un po’ più appassionante (per non dire morbosa), quindi mi ci sono per la verità buttato a capofitto, tanto da arrivare in due o tre giorni ad un terzo abbondante del volume. La storia è quella di un giovane studente californiano, Richard, che lascia la facoltà di medicina vicina a casa e, nonostante sia squattrinato, riesce a farsi ammettere in un college dell'est, passando a studiare lettere classiche. Ma al di là delle bugie dette per mascherare le proprie origini proletarie, Richard riesce fin troppo bene ad integrarsi nella nuova scuola, entrando anzi in un circolo assai prestigioso: quello del misterioso professor Julian Morrow. Questi è un insegnante di greco tanto carismatico quanto selettivo: non tiene infatti un corso tradizionale, aperto a tutti, ma insegna solo a chi lui sceglie e, di fatto, ad appena cinque ragazzi, tutti apparentemente ricchissimi, tutti intelligenti e tutti più o meno alteri. Richard, che aveva già studiato un po' di greco nell'università precedente, riesce con qualche sforzo a farsi ammettere nella stretta cerchia, rimanendo affascinato dai ragazzi e stringendo un po’ alla volta amicizia con loro, anche se i suoi coetanei sembrano sempre nascondergli qualcosa. Visto che il racconto è impostato come un lungo flashback, lo stesso Richard ha già fatto capire che accadrà qualcosa di molto brutto, ma per ora non voglio rivelarvi nulla per non fare spoiler. In generale il clima è a metà strada tra L'attimo fuggente (col college un po’ démodé e l’insegnante un po’ particolare, anche se in Dio di illusioni ci sono almeno anche delle ragazze) e Piccoli omicidi tra amici. Vedremo come si evolverà, ma per ora sembra avere tutti gli ingredienti giusti per coinvolgere e colpire soprattutto un pubblico di liceali, e forse non solo loro. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Come imparare qualsiasi lingua di Gabriel Wyner: questa settimana ho cominciato e devo dire anche quasi completato la lettura di un manuale per lo studio delle lingue straniere. In genere non mi dedico a letture di questo tipo: come sapete se seguite la newsletter da un po’ di tempo, i libri che costellano di settimana in settimana le nostre mail sono perlopiù romanzi, spesso con un taglio un po’ più filosofico della media, oppure saggi di diverso tipo, ma sempre in qualche modo inerenti alla storia, alla filosofia o più o meno all'educazione e ai grandi temi di attualità. Di lingue credo di non essermi ancora mai occupato. Eppure l'argomento mi interessa: da qualche anno sto più o meno provando – a tempo perso e a fasi molto alterne – a migliorare il mio inglese, che è sempre stato molto scolastico e meno fluido di quanto vorrei. Comprendo senza troppa difficoltà tutto quello che leggo in quella lingua, anche i testi più tecnici e complessi, ma non sono altrettanto bravo a produrre, né in forma scritta né soprattutto in forma orale. Mi piacerebbe avere la parlata sciolta e riuscire a dare forma ad ogni idea che mi viene in mente, come più o meno faccio in italiano, ma mi sento ancora estremamente bloccato. In passato ho provato anche ad iscrivermi e sfruttare quei siti che offrono contatti con madrelingua anche tramite webcam per esercitare la parlata con native speakers; e anche in quel caso mi sono sempre sentito abbastanza a mio agio quando ascoltavo, meno quando parlavo. Credo sia il difetto tipico di chi ha studiato nella vecchia scuola italiana, che non dava poi tutto questo peso alla cosiddetta fluency, ma un po’ anche di chi appunto ha coltivato questa lingua da solo, per lo più dal computer, leggendo da ogni parte ma non avendo nessuno o quasi nessuno con cui parlare o interagire in quella lingua. Il consiglio che si dà in questi casi è di solito quello di fare una full immersion, cioè di andare a stare per qualche mese in un paese anglofono per superare i propri blocchi e rafforzare le competenze, ma è ovvio che nel mio caso la cosa non sia fattibile, avendo ormai una certa età, un lavoro e una famiglia. Così mi è rimasta questa voglia e ogni tanto, quando qualcuno mi parla molto bene di un certo metodo di studio, ne rimango incuriosito e cerco di trovare qualche informazione al riguardo. Questo libro di Wyner mi è stato ampiamente consigliato da due o tre lettori nei mesi scorsi e ho deciso finalmente di dargli una possibilità, visto che è anche reperibile in italiano (almeno nel mercato dell’usato). Attenzione, però: meglio chiarire subito che non si tratta di nulla di trascendentale. Al di là dei vari claim di copertina, il metodo che viene spiegato non è poi così originale o rivoluzionario: leggendo il libro, anzi, mi sono reso conto che in buona parte in passato anch'io ho usato tecniche molto simili per studiare un po' di francese, cosa che ho dovuto fare qualche anno fa per questioni lavorative. Il pregio del volume, però, è che riesce a presentare in maniera forse più convincente quei metodi che avevo provato anch'io, aggiungendo anche qualche strategia di contorno per rendere più efficace lo studio. Quello che viene presentato è infatti, sostanzialmente, un metodo per studiare una lingua da soli a casa, sfruttando una serie di risorse online e soprattutto di app che si fondano sulla ripetizione spaziata. Non pensate tanto a Duolingo o sistemi del genere, che sfruttano sì strumenti simili ma sono più accattivanti e soprattutto a pagamento: esistono app gratuite come Anki o Quizlet che permettono di creare delle flashcards molto efficaci che possono essere utilizzate per studiare. Le flashcards, se non le conoscete, sono quei cartoncini che si vedono spesso nei film americani, in cui su un lato viene scritta la domanda e sull’altro viene presentata la risposta: gli studenti britannici e statunitensi le usano spesso per ripassare gli argomenti, ben sapendo che questa metodologia aiuta a fissare nella mente i concetti. Inoltre, tirare fuori a casaccio le carte e sottoporvisi aiuta a memorizzare meglio quello che si è studiato. La ricerca in questo campo ci dice, in effetti, che tale metodo tende ad essere molto efficace, soprattutto se sfruttato tramite appunto il meccanismo della ripetizione spaziata, che vi ripropone le stesse domande a intervalli più o meno regolari in base a quanto vi ricordate di un certo argomento. Tutto questo, d’altra parte, si collega bene anche con quello che ho letto negli ultimi mesi riguardo allo studio e alla memoria. Ma, al di là di questo, il libro ha l’indubbio merito di farti venire voglia di studiare e di rimetterti alla prova. Dopo qualche mese di pausa dallo studio dell’inglese, insomma, in questi giorni mi sono ributtato sulla questione. Non so se il metodo risulterà davvero efficace e se migliorerò nella fluency e nella velocità di ricordare i concetti e le parole, ma quantomeno l'obiettivo di farmi stare un po' sulla lingua è stato raggiunto. Il libro è oggi difficile da reperire in italiano, come già anticipavo, ma forse potete provare a leggerlo in inglese.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film e soprattutto alle serie TV. Sul versante cinematografico questa settimana vi propongo un classico d’altri tempi, mentre per quanto riguarda i serial abbiamo delle novità fresche fresche.
The Bear episodi 2.01-2.02 (2023), di Christopher Storer, con Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Ayo Edebiri: vi avevo parlato molto bene, ormai diverse settimane fa, della prima stagione di The Bear su Disney+. Si tratta di una serie ambientata in un ristorante di Chicago; ma non è certo la serie che vi aspettereste da questa premessa. Il protagonista è infatti un giovane chef che viene da una carriera di grande successo (ha ricevuto diverse stelle ad un'età molto precoce), ma che ha mollato tutto per prendere in mano il ristorantino di quartiere del fratello, morto suicida. L'impresa pare fin da subito disperata; sia perché il protagonista non riesce ad affrontare il lutto, sia perché il locale versa in condizioni pietose, anche per i grossi debiti contratti. Diretta e interpretata molto bene, la prima stagione mi aveva colpito molto soprattutto per l'intensità di ogni puntata, veramente "tirata" fino all'estremo. Così ero curioso di vedere come gli sceneggiatori e il team creativo avrebbero provato a portare avanti la storia nella seconda annata. Le puntate sono state tutte rese disponibili su Disney+ appena qualche giorno fa, e per ora sono riuscito a vedere le prime due, ritrovando lo stesso stile dell'anno scorso. Se il primo episodio è un po' interlocutorio, nel secondo sembra già di capire che in questa stagione non si affronterà più solo il problema del fratello morto, ma si esploreranno anche altri lati della vita privata dei protagonisti. Vedremo, ma per ora il giudizio resta ottimo. Come detto, la trovate su Disney+.
Only Murders in the Building episodio 3.03 (2023), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: di Only Murders in the Building vi ho già parlato la settimana scorsa, e probabilmente tornerò a parlarvene ancora in futuro: Disney, seguendo una tendenza che è ormai comune a varie piattaforme di streaming, ha deciso infatti di non rendere disponibili le puntate tutte insieme, secondo lo stile imposto qualche anno fa da Netflix, ma di proporre sostanzialmente un episodio a settimana dopo il lancio iniziale. Così, dopo i due episodi visti sul volo di ritorno da Praga, oggi posso parlarvi solo della terza puntata, in cui come al solito il mistero sulla morte della vittima di turno comincia ad infittirsi e in cui svetta, però, una performance che mancava nelle due annate precedenti: quella di Meryl Streep. È indubbio che sia lei (ben più di Paul Rudd) il valore aggiunto di questa nuova stagione, e gli sceneggiatori lo sanno bene, visto che stanno dando ampio spazio al suo personaggio, impegnando l'attrice in prove di recitazione che forse non si aspettava di dover fare, in un serial televisivo. Le fanno fare la timida, la fanno cantare, e sono sicuro che presto o tardi tenteranno di presentarne anche un lato maligno, quantomeno per farla entrare nel novero dei sospettati. Insomma, la Streep ruba tranquillamente la scena a Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez messi assieme, e forse non potrebbe essere altrimenti. Per quanto riguarda la trama, comunque, è troppo presto per trarre conclusioni: ne riparleremo. Come già anticipato, è disponibile su Disney+.
Sedotta e abbandonata (1964), di Pietro Germi, con Stefania Sandrelli, Aldo Puglisi, Saro Urzì: credo di avervi sicuramente già parlato, qualche tempo fa, di Divorzio all'italiana, uno dei miei film preferiti che di tanto in tanto faccio vedere pure a scuola ai miei studenti, quando il tempo lo consente e quando mi pare di riscontrare anche una certa attenzione a certe tematiche. Quel film di Pietro Germi è un vero e proprio capolavoro: divertente, sarcastico e però anche estremamente acuto nel dipingere i difetti della società italiana degli anni '60. Se non lo ricordate, si concentrava sui maldestri tentativi di un barone siciliano di sganciarsi dalla moglie per poter sposare una giovane e avvenente cugina. In un'epoca però in cui il divorzio ancora in Italia non era concesso, l'unico modo per raggiungere lo scopo era quello sostanzialmente di uccidere la moglie stessa, magari cogliendola in fallo durante un tradimento, in modo da scontare pochi anni di carcere grazie alle leggi sul delitto d'onore. Quel film l'ho visto e rivisto diverse volte, ma devo anche ammettere di aver trascurato le altre pellicole di Germi dello stesso periodo: quasi tutte le ho viste infatti parecchio tempo fa e mi sono accorto di non ricordarle più tanto bene. Così, complice il catalogo veramente interessante di RaiPlay, in questi giorni ho recuperato almeno Sedotta e abbandonata, il film immediatamente successivo rispetto a Divorzio all'italiana, che in buona misura ne riprende il discorso. Alcuni dei protagonisti sono addirittura gli stessi: manca Mastroianni, che ormai era evidentemente diventato un attore di grido dopo il grande successo de La dolce vita e dello stesso Divorzio all'italiana, ma ci sono ancora una giovanissima Stefania Sandrelli e, in ruoli più di contorno, Leopoldo Trieste e Lando Buzzanca, oltre ad una serie di altri bravi caratteristi. La storia – scritta dallo stesso Germi, con Age & Scarpelli e Luciano Vincenzoni – è ambientata ancora una volta in un piccolo paese della Sicilia e si sviluppa di nuovo giocando sui ritardi della legislazione italiana, ancora legata, a causa del Codice Rocco, a concetti come il delitto d'onore e il matrimonio riparatore. Questa è una cosa che i giovani oggi purtroppo non sanno ma che ogni anno tento di spiegare ai miei studenti: fino agli anni '60 in Italia un maschio poteva tranquillamente stuprare una ragazza e poi offrirle il matrimonio; questo, in un certo senso, estingueva il reato, perché il matrimonio, recitava il codice, riparava l'offesa subita dalla giovane. E non erano poche le ragazze che erano costrette ad accettare questo matrimonio “forzato”, perché una volta “disonorate”, cioè dopo aver perso la verginità (anche se di fatto costrette con la violenza a farlo), rischiavano soprattutto in Sicilia di essere completamente escluse dalla società e abbandonate. Questa, tra l'altro, è anche la nota vicenda di Franca Viola, la prima ragazza che nel 1965 (quindi un anno dopo l’uscita di Sedotta e abbandonata) rifiutò proprio un matrimonio riparatore di questo tipo, offertole dal suo ex ragazzo che, dopo essere stato lasciato da lei, la stuprò, quasi appunto per obbligarla poi a sposarlo. La signora Viola, con un gesto per l’epoca assai coraggioso, fu la prima a dire no: il suo stupratore finì in carcere e lei si rifece una vita altrove. Ecco, Sedotta e abbandonata anticipa in un certo senso proprio queste vicende in chiave grottesca e satirica, perché il film si apre con un giovane studente universitario che seduce una ragazza di appena 15 o 16 anni e fa sesso (consensuale) con lei. A rendere ancora peggiore la situazione è però il fatto che la ragazza rimane incinta, cosa che non permette di nascondere la vicenda al paesino e alla società siciliana e quindi costringe la famiglia ad intervenire. Le rocambolesche acrobazie portate avanti dal padre di lei, magistralmente interpretato da Saro Urzì, per cercare di risolvere la situazione e concludere il tutto appunto con un matrimonio riparatore costituiscono l’elemento più divertente e comico del film, una comicità che, come nelle migliori pellicole di questo genere, nasconde però in realtà la tragedia. Il film forse non è un capolavoro assoluto come Divorzio all'italiana, anche perché quello finiva per essere più originale essendo la prima pellicola sul tema, ma è comunque un’opera assai convincente, che da un lato ti fa ridere ma dall'altro ti colpisce anche come un pugno nello stomaco ancora oggi, a sessant’anni dalla sua realizzazione. Che siate giovani o meno giovani, non fatevi spaventare dal fatto che sia in bianco e nero: è un film importante, che vale la pena di vedere per capire anche come mai oggi, molti anni dopo, l'Italia sembri essere a volte così indietro sul versante non dico dei diritti civili, ma perfino anche della mentalità. Lo trovate, come detto, su RaiPlay.
Quello che ho pensato
Due notizie mi hanno colpito questa settimana, soprattutto per la loro vicinanza ideale e temporale; di una avete sicuramente sentito parlare ampiamente nei giorni scorsi, dell’altra forse no.
La prima è lo scandalo scoppiato attorno al generale Roberto Vannacci, ex (a quanto sembra) comandante dell’Istituto geografico militare. L’uomo – 54 anni e un passato nella Folgore e in missioni in Afghanistan e Iraq – ha reso disponibile infatti un libro su Amazon, tramite il meccanismo dell’autopubblicazione; un libro però pieno, a quanto si legge sui giornali, di messaggi farneticanti degno del peggior complottista e razzista con la terza media. Tra le frasi incriminate, che riporto per puro dovere di cronaca, anche queste: «Paola Egonu italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità», «Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!», «Se non è nella natura dell’uomo essere cannibale, perché dovrebbe esserlo per il diritto alla genitorialità? Le coppie arcobaleno non sono normali. La normalità è l’eterosessualità. Se a voi tutto sembra normale, invece, è colpa delle trame della lobby gay internazionale», «[La lobby gay ha vietato] termini che fino a pochi anni fa erano nei nostri dizionari: pederasta, invertito, frocio, ricchione, buliccio, femminiello, bardassa, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone che sono ormai termini da tribunale».
La seconda notizia – che potete leggere qui – è che in Ungheria si rischiano multe salate se si espongono in libreria libri che parlino (anche solo in termini vaghi) di omosessualità. Una delle multe già comminate, ad esempio, è arrivata per la vendita di Heartstopper, serie a fumetti su due ragazzi maschi che si innamorano, da cui è stato tratto anche un adattamento di Netflix: il bello è che il primo volume l’ho letto anch’io, pur avendolo trovato un po’ banale e scontato. In Ungheria rischierei grosso anche solo per averne parlato (ne scrissi nella newsletter un anno fa, se volete recuperarla).
Le due notizie sono diverse: una riguarda l’Italia, l’altra l’Ungheria; nel primo caso il generale in questione è stato rimosso dall’incarico e tutti i vertici dell’esercito si sono dissociati dalle sue affermazioni (anche se il ministro Matteo Salvini non ha perso occasione per solidarizzare con il generale), mentre in Ungheria è il governo stesso a sostenere queste politiche. Però non sono così tanto diverse.
Mi sono chiesto, infatti, quanti la pensino ancora nel nostro paese come Vannacci. Quanti siano al suo livello. Perché di livello dobbiamo parlare. Il problema, qui, infatti, non è la libertà di pensiero, ma il livello intellettuale di chi occupa posti di potere nello Stato.
Vannacci, nel suo libro, non sostiene solo che l’omosessualità non gli piaccia, il che non costituirebbe neppure un gran problema (si può essere tranquillamente eterosessuali e non frequentare alcun omosessuale per tutta la vita, e nessuno ne farebbe un caso). Sostiene una cosa diversa: che l’omosessualità sia contro natura, e che siano contro natura tutta una serie di altre cose (integrazione, lotta al razzismo e altro ancora… per inciso: il generale pare se la prenda pure con gli ebrei, per non farsi mancare nulla). Come non è naturale il cannibalismo, dice ad un certo punto, così non è naturale l’omosessualità.
Ora, Vannacci vanta nel suo curriculum addirittura tre lauree. A guardare bene, dal curriculum si evince che sono lauree molto tecniche: in Scienze strategiche a Torino, in Scienze internazionali e diplomatiche a Trieste e poi in Scienze militari a Bucarest (!). Per carità, gli esami saranno stati soprattutto di strategia militare e non di antropologia, però scrivere certe castronerie – soprattutto da parte di un alto dirigente italiano – fa accapponare la pelle. Non è naturale che gli uomini siano cannibali? E come si spiega l’antropofagia rituale della preistoria, perfino il forte sospetto che già nel Paleolitico si praticasse il cannibalismo? Nel Paleolitico non erano abbastanza naturali? C’erano già le lobby dei cannibali a cambiare la natura dell’homo sapiens?
Lo stesso si può ben dire dell’omosessualità, attestata fin dai tempi più antichi. Se avete fatto anche solo un minimo di filosofia, sapete bene che a Roma e in Grecia era pieno zeppo di omosessuali o bisessuali, anche nell’esercito, e lo sappiamo da sempre: anche loro erano vittime della lobby gay o della lobby ebraica?
Insomma, al di là poi del merito che è comunque orribile, anche dal punto di vista culturale le parole di Vannacci sono di un’idiozia assoluta. D’altra parte, non bisogna proprio essere delle aquile per pubblicare da soli un libro che ti porta alla destituzione. Varrebbe la pena di recuperare la definizione di Carlo M. Cipolla, che in tempi non sospetti, nella sua Terza (e aurea) legge della stupidità umana, scriveva: «Una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Lo stupido, cioè, è chi è dannoso per sé e per gli altri contemporaneamente: e in questo caso Vannacci ha realizzato in pieno la legge, arrecando un danno all’esercito e pure a se stesso, senza ottenerne nulla di buono.
Visto che, come ci insegna Cipolla, «la persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista», vien da chiedersi chi abbia fatto arrivare un tipo del genere fino al grado di Generale.
Ma torniamo alla domanda che ci stavamo ponendo poco fa: quanti, in Italia, la pensano come Vannacci? Siamo così distanti dall’Ungheria di Orbán che, in nome di assunti molto simili, vara una sorta di censura sui libri?
Purtroppo temo che a pensarla come Vannacci non siano in pochi, e le dichiarazioni di Salvini forse lo dimostrano. Ancora una volta è Cipolla ad assicurarcelo: «Sempre e inevitabilmente – scriveva – ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione». Ah, se volete sapere da dove provengono tutte queste citazioni, comprate questo libriccino qui, ne vale la pena.
Gli stupidi sono sempre tanti, più di quanti pensiamo. È che in genere sono stupidi, ma non hanno troppo modo di mettersi in mostra: giustamente, non vengono affidati loro ruoli di responsabilità, quindi a sentirli parlare o farneticare sono al massimo le loro mogli o mariti, o i loro figli e pochi altri. Sui social network si tende a trovarli facilmente, ma anche lì di solito non hanno titoli o autorevolezza da mettere in campo.
Però ci sono, sì, indubbiamente, e sono tanti. Sono la maggioranza? Chi lo sa, è difficile dirlo. Secondo alcuni sondaggi non troppo vecchi (ma secondo me i dati sono in aumento anno dopo anno), in Italia il 33% delle persone appartiene alla comunità LGBTQ+ oppure ha almeno un amico stretto o familiare che vi appartiene. Ma il dato più interessante è che solo una percentuale compresa tra il 6 e il 9% afferma di non volere un gay in famiglia.
A vederli così, sembrano dati ottimi. Certo, c’è uno zoccolo duro (Vannacci e soci, l’elettorato a cui forse Salvini prova a rivolgersi) che odia ancora i gay, ma sono in netta minoranza. Ma questi dati sono così attendibili?
La mia percezione è un po’ diversa: certo, tra le persone istruite e tra i più giovani l’apertura verso il mondo LGBTQ+ inizia ad essere piuttosto evidente e marcata, ma l’Italia non è fatta solo da persone istruite e da giovani. Anzi, queste categorie sono in minoranza.
Questi sondaggi – che sono giornalistici, e quindi un po’ alla buona, oppure legati a ricerche di mercato, e quindi interessati a certi specifici settori demografici – riescono cioè a fotografare davvero la realtà, o ne fotografano solo una parte?
Perché appena ti allontani dalle grandi città e dalle ZTL, a me pare che l’andamento cambi. Un po’ come in Sedotta e abbandonata, il film di cui ho parlato sopra. Una cosa è Milano, una cosa è Torino, una cosa è Bologna, magari tra studenti che vanno a studiare in Olanda, in Germania, in America, e tornano cosmopoliti e aperti ad ogni cultura; un’altra cosa è la provincia depressa, un’altra cosa sono i vecchi nei bar, un’altra cosa sono le casalinghe con la terza media.
Alla fine, di nuovo, è un fatto di cultura. Sì, non è questione di opinioni: perché, se si trattasse solo di opinioni – che ne so, «preferisco l’eterosessualità all’omosessualità», oppure «preferisco il cristianesimo all’ebraismo» – il problema neppure esisterebbe. Qui si tratta di una visione del mondo che non sa leggere la realtà delle cose.
Vannacci e soci pensano che gli omosessuali stiano imponendo una dittatura, quando al governo abbiamo Giorgia Meloni, la premier più di destra (e contro gli omosessuali) della storia repubblicana. Vannacci e soci pensano che gli ebrei guidino il mondo, quando Joe Biden è cattolico e Xi Jinping è ateo (senza parlare di Putin, che è ortodosso). Vannacci e soci pensano che le persone di colore non siano veramente italiane quando tutti i bianchi che oggi vivono in Italia sono figli di tribù e popoli che si sono mescolati tra loro un’infinità di volte, arrivando dall’Europa dell’est, dall’Asia, dall’Africa, e il concetto stesso di “italiano”, dal punto di vista genetico, è un’invenzione, non esiste (ed è per la verità fragilino anche dal punto di vista culturale).
Insomma, il problema dei razzisti in Italia è prima di tutto un problema davvero di neuroni e di conoscenza. A volte anche di rabbia – perché la rabbia e la frustrazione ti spingono a cercare dei capri espiatori –, ma senza questa ignoranza crassa e plateale non si arriverebbe a tanto.
E allora la risposta a tutto questo sapete, tanto per cambiare, qual è? La scuola. Che deve assumersi il compito di fare cultura, nel senso più nobile e alto del termine. Forse gli stupidi saranno anche tanti, tantissimi, ma se c’è una scuola che funziona, e che dà voce agli intelligenti, gli stupidi si troveranno più in imbarazzo a sostenere in pubblico la loro stupidità.
Quello che ho registrato e pubblicato
Durante la settimana di Ferragosto potreste esservi distratti, e ne avreste avuto tutti i diritti. Se però ora volete recuperare qualche video o podcast non visto (o non ascoltato), ecco tutto quello che è uscito negli scorsi giorni.
L'identità tra successo e fallimento: seconda puntata del percorso più personale, in cui riflettiamo sulle cadute e su come rialzarsi
Chiese cristiane: le più grandi oggi (parte 1): un video di educazione civica in cui cerchiamo di fare il punto sul cristianesimo oggi
La fine della dittatura militare argentina: chiudiamo anche la miniserie argentina, con la guerra delle Falkland e il ritorno alla democrazia
Platone: amore e bellezza [Filosofia per ragazzi 17]: parliamo del Simposio platonico in modo semplice ma, spero, efficace
Gli idola di Bacone (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
I sindacati, i partiti e la Seconda Internazionale (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
L’età degli imperi di Eric J. Hobsbawm: Hobsbawm è famoso soprattutto per il suo capolavoro, Il secolo breve, di cui abbiamo già parlato in questa newsletter (ormai parecchio tempo fa, nel marzo 2022). Ma lo storico inglese non si è dedicato, durante la sua carriera, solo al Novecento; anzi, per arrivare proprio a quel periodo è partito dal secolo precedente, l’Ottocento. Ecco perché recuperare L’età degli imperi, dedicato al periodo che va dal 1875 al 1914, può essere particolarmente importante. Il libro, tra l’altro, non costa neppure troppo: nonostante le quasi 500 pagine di trattazione, lo si trova a 15 euro. Assolutamente da recuperare. Potete provvedere qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
Allenare il pensiero pratico di Stefania Contesini: ne ho parlato qui;
Parole che separano di Marilisa D’Amico: ne ho parlato qui;
Io & IA di Riccardo Manzotti e Simone Rossi: ne ho parlato qui;
Nuovi mondi di F. Giacomo Carrozzo, Fabrizio Oliva e Andrea Raponi: ne ho parlato qui;
Radical Inclusion di David Moinina Sengeh: ne ho parlato qui;
Estetica urbana di Elisabetta Di Stefano: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con una veloce panoramica sui video e i podcast in lavorazione per la settimana prossima:
domani arriverà la settima puntata della serie sulla Storia dei consumi, incentrata sulla casa (arredamento, hobby, collezionismo a inizio '900);
mercoledì sarà la volta della nuova lettura di Sulla libertà di John Stuart Mill, con la conclusione del secondo capitolo;
poi in settimana dovrei finire il percorso sulle chiese cristiane cominciato in questi giorni;
inoltre dovrebbe arrivare la nuova puntata del corso di logica, con i vari incroci tra le condizioni logiche che abbiamo visto finora;
infine se tutto va bene vorrei riuscire a presentare anche il primo video di una nuova miniserie, dedicata alla filosofia e alla figura storica di Dante Alighieri;
sul versante podcast, invece, aspettatevi ancora Francesco Bacone e la Seconda Internazionale (ma con anche una punta di femminismo).
E questo è tutto anche per questa settimana. Ci vediamo il 28 agosto, a due soli giorni dal mio 44° compleanno: un numero di per sé molto bello, se non fosse che, purtroppo, mi avvicina ancora di più ai cinquanta. A lunedì!