La vecchia Italia con le sue punizioni "educative", ma anche le serie di Mercoledì Addams e Boris, la vita del Matthew Perry di Friends, il reportage di Zerocalcare, Sciascia, l'Iran, Heidegger
Nel momento in cui comincio la scrittura di questa newsletter (o, meglio, della parte introduttiva di questa newsletter, perché qualche segmento l’ho già più o meno scritto durante la settimana) è metà pomeriggio e sono appena tornato da scuola, dove ho coordinato di nuovo il lavoro di alcuni studenti all’interno del mio PCTO storico. Come forse vi ho già raccontato, stiamo cercando di recuperare e valorizzare la storia del nostro liceo in vista del centenario dell’istituto, e lo stiamo facendo esplorando gli archivi e intervistando ex studenti di una certa età.
Proprio su quest’ultimo versante stiamo avendo alcune piacevoli sorprese: in settimana ho provato a lanciare – addirittura su una pagina Facebook di storia locale – un annuncio per trovare testimoni dei tempi che furono, e le adesioni sono già parecchie, forse perfino troppe. Segno che c’è una gran voglia di raccontare, di rievocare gli anni del liceo (che sono anche gli anni della propria giovinezza). Questa in realtà è una tendenza piuttosto comune: quando si frequenta la scuola, spesso non la si sopporta; poi, una volta finita, la si dimentica e si fa di tutto per non rimettere più piede nel vecchio edificio che si è bazzicato per cinque anni; poi però arriva anche un’età – magari a distanza di 20, 30 o perfino 40 anni – in cui si guarda con nostalgia a quegli anni, si torna a provare affetto per la propria scuola, si cerca di ricontattare i compagni, si organizzano cene rievocative e rimpatriate tra i corridoi.
I percorsi della memoria, d’altronde, sono strani. Si intrecciano con quelli della storia, ma sempre in modo soggettivo, diseguale. Alla fine di questo percorso – magari a maggio – vi parlerò anche di cosa mi sembra emergere da queste interviste, e cosa possa avere forse anche una qualche rilevanza storico-sociale. Ma tempo al tempo: per il momento siamo solo agli inizi.
Di scuola comunque parleremo ancora, anche se in senso più contemporaneo, nei prossimi paragrafi della newsletter. Per ora però cominciamo, come sempre, dai libri.
Quello che ho letto
Dopo qualche settimana di stasi, finalmente negli ultimi sette giorni ho dato una “sfrondata” ai libri in lettura, terminandone addirittura due; ne ho però cominciato anche uno nuovo, tanto per cambiare.
Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek: ecco, finalmente ho finito questo bel romanzo di inizio Novecento, o almeno ho finito il volume che possiedo io. Il buon soldato Sc’vèik ha infatti una storia editoriale un po’ frastagliata: Hasek, l’autore, lo cominciò durante la Prima guerra mondiale e lo iniziò a pubblicare in volumi dopo la fine della guerra stessa; aveva previsto di farne sei tomi, ma riuscì a concluderne solo tre prima di trovare prematuramente la morte. Spesso le varie edizioni dell’opera tendono ad unire alcuni dei tomi originali, ma nella versione (un po’ datata) che mi sono procurato io ci sono solo le prime due parti. Ora, visto che la lettura di queste prime due sezioni è già stata piuttosto impegnativa, credo che non mi metterò subito a leggere la terza e mi fermerò per il momento qui, anche perché il tono e il senso generale dell’opera è ormai chiaro, anche se Il buon soldato Sc’vèik finora si è sviluppato esclusivamente nelle retrovie o ai margini della prima linea, senza mai vedere il protagonista entrare davvero sul campo di battaglia. Questo però ha anche permesso all’autore di mostrare il cosiddetto fronte interno, oltre che le magagne dell’esercito, e di soffermarsi di tanto in tanto anche sulle tensioni etniche presenti all’interno dell’Impero asburgico. La polemica che qua e là emerge, infatti, non è solo tra boemi – popolo di cui Hasek faceva parte – e austriaci, ma anche tra austriaci e ungheresi, tra austriaci e slavi e così via. Il nemico pare essere un nemico interno e soprattutto assurdo: la burocrazia, gli stupidi ufficiali austriaci, l’assurdità della guerra in generale. Il giudizio finale sull’opera è ampiamente positivo: il libro scorre via divertito e divertente, ma lascia anche un po’ d’amaro in bocca, com’è giusto che sia. Se lo volete comprare, lo trovate qui.
Friends, amanti e la Cosa Terribile di Matthew Perry: di solito non leggo biografie; e di solito non leggo assolutamente libri legati al gossip. Quando ci sono volumi che uniscono questi due generi, quindi, cerco di starne ampiamente alla larga. L’autobiografia di Matthew Perry, però, mi costringe inevitabilmente a fare un’eccezione. Come forse già sapete, Matthew Perry è l’attore che ha prestato per dieci anni il proprio volto a Chandler Bing, uno dei protagonisti della sitcom Friends; ed è anche, di quegli ex interpreti, quello dalla vita più tormentata e nascosta. Già durante la lavorazione dello show si era parlato di problemi per l’attore; poi, dopo la chiusura di Friends, le sue apparizioni al cinema e in TV sono state decisamente scostanti. Mentre gli altri protagonisti si imbarcavano in diversi progetti (a volte di buon successo, altre meno), lui non si sapeva mai dove fosse e cosa facesse. Certo, le voci di dipendenze si erano fatte nel corso degli anni sempre più insistenti, tanto che alla fine erano state anche più o meno confermate, togliendo ogni dubbio ai fan; ma questo strideva con l’immagine del personaggio interpretato per tanti anni da Perry: Chandler era un tipo strano, sì, ma simpatico, gioviale e poi capace di costruirsi una vita piuttosto solida. Insomma, pareva impossibile – per quella strana sovrapposizione che spontaneamente creiamo tra attori e personaggi – che proprio l’interprete di Chandler avesse gravi problemi di dipendenza. Friends, amanti e la Cosa Terribile fa il punto su tutto questo, grazie alla viva voce di Perry, che ha deciso di raccontare tutte le proprie difficoltà. Il libro l’ho iniziato da appena un paio di giorni, quindi è presto per dare dei giudizi; spero che l’autore non indugerà eccessivamente sul dolore, ma che sappia trovare un certo equilibrio tra problemi e fortune, slanci e cadute. Vedremo. Visto che da ragazzo ho amato molto Friends e il personaggio di Chandler in particolare (assieme a quello di Joey), non potevo però perdermelo. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
No Sleep Till Shengal di Zerocalcare: questa settimana ho finito anche il corposo volume (questa volta a fumetti) di Zerocalcare, la sua opera più recente, pubblicata appena poche settimane fa. Come vi anticipavo nella scorsa newsletter, il tema centrale è quello della lotta degli ezidi (piccola popolazione che vive al nord dell’attuale Iraq, al confine con la Turchia) per garantirsi uno spazio di autogoverno. Una lotta che è al momento relativamente pacifica, ma sembra sempre sull’orlo di sfociare in guerra, sia per la vicinanza di gruppi di fondamentalisti islamici che già hanno martoriato in passato queste terre, sia per la debolezza del governo centrale iracheno (che non si sa bene cosa voglia fare di queste popolazioni), sia per l’ostilità dichiarata del governo turco, che considera gli ezidi dei curdi e quindi li vuole spazzare via. Zerocalcare racconta tutto questo recandosi – come ha già fatto in passato – nei luoghi della tensione e ascoltando le testimonianze di chi ci vive dentro, in una sorta di reportage giornalistico che sfocia però anche nell’autoparodia. Rispetto ad altre opere dell’autore romano, No Sleep Till Shengal rimane un gran fumetto, ma forse a mio avviso un po’ troppo accondiscendente: nel finale mi è sembrato che le tavole dal grande impatto emotivo fossero un po’ troppe, cosa che rischia di rendere retorico l’esito dell’analisi. Dopo aver saggiamente portato avanti pagine di racconto e di dubbio, alla fine ha un po’ ceduto e si è fatto prendere dall’emotività. Ma è un po’ un voler cercare il pelo nell’uovo: di fatto Zerocalcare si conferma uno dei più abili narratori a fumetti non solo della scena italiana, ma sicuramente mondiale, col giusto mix di dramma e comicità, di ironia e tensione. Per dire: il personaggio più azzeccato (e sicuramente vero) è l’agente dei servizi segreti iracheni che si presenta come un placido sosia di Giancarlo Giannini, almeno fino a quando non tira fuori la pistola. Si può comprarlo qui.
Quello che ho visto
Per quanto riguarda i film, questa settimana manca in realtà il film nel senso classico del termine: in lista, come vedrete, ci sono due serie TV (anche interessanti, per carità) e un cartone animato per bambini, che è però a suo modo un classico. Devo dire che – con gli orari spezzettati di questa settimana e un po’ di figli a casa perché malati – era inevitabile che finisse così. Ma procediamo.
Boris episodi 4.03-4.04 (2022), di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, con Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi: prosegue, anche se un po’ a rilento, la visione della quarta e attesa stagione di Boris, la serie italiana più divertente e dissacrante degli ultimi anni. Devo dire che mi ha un po’ deluso, nei giorni scorsi, scoprire che i miei studenti non la conoscono: dieci anni fa era un cult, oggi è forse seppellita o nascosta (almeno per quanto riguarda i più giovani) sotto a decine di altre produzioni, che però non mi pare riescano ad essere altrettanto originali. Boris invece, nonostante tutti gli anni passati, mi pare ancora degna di considerazione: non è perfetta, ed anzi è diseguale e a tratti sconclusionata, ma è l’unica serie che riesce a dire qualcosa di vero sull’Italia, anche se con toni grotteschi. Al centro della trama – se siete anche voi giovani e non la conoscete – c’è una troupe che realizza fiction televisive; solo che dopo aver lavorato tanto per la Rai per produzioni di dubbio gusto (storie d’amore lacrimevoli e vite di santi) sta cercando di fare ora il grande balzo, proponendosi a una piattaforma di streaming americana (qualcosa tipo Netflix o Disney+). E lo fa raccontando nientemeno che la vita di Gesù, con però Stanis – il più cialtrone degli attori italiani – che interpreta il figlio di Dio, una banda di calabresi a prestare il volto ai palestinesi, una discutibile soubrette televisiva nei panni di Maria Maddalena, l’attrice soprannominata “la cagna” nei panni della Madonna e via discorrendo. Insomma, sembra una fiction ma è l’Italia: un paese in cui si vuole parlare di grandi temi ma lo si fa sempre affidandosi a personaggi impresentabili, in modo arruffato e approssimativo, cercando il sensazionalismo facile, senza alcun amore per la verità o la ricerca ma solo per un facile consenso o, peggio ancora, per accontentare il potente di turno, siano essi i capi della Rai, i politici o una qualche emittente americana che ci mette i soldi. Boris a un primo livello fa abbastanza ridere, a un secondo fa disperare; e questo è il miglior complimento che le si può fare. La quarta stagione, finora, è inoltre degna di quelle che l’hanno preceduta. La trovate su Disney+.
Mercoledì episodi 1.01-1.02 (2022), di Alfred Gough, Miles Millar e Tim Burton, con Jenna Ortega, Emma Myers, Gwendoline Christie: con mia figlia a casa malata, non abbiamo potuto fare a meno, questa settimana, di iniziare Mercoledì, la nuova serie di Netflix prodotta e diretta da Tim Burton e incentrata sulla figura di Mercoledì Addams, la figlia di Morticia e Gomez della storica serie TV degli anni '60. Tanto più – mi ha subito fatto notare la figlia dodicenne – che la protagonista della serie, Jenna Ortega, era anche negli anni scorsi la protagonista di Harley in mezzo, show per bambini che ogni tanto proprio la figlia guardava quand’era (più) piccola. Insomma, Mercoledì non potevamo perdercelo; e anzi io ho finora visto solo i primi due episodi, ma lei è già arrivata credo al quarto o al quinto, perché non ha avuto la pazienza di aspettarmi. Comunque, per quelli che non l’hanno ancora vista (e forse mai la vedranno), di cosa parla questa serie? Be’, segue le vicende appunto di Mercoledì, che viene portata dai suoi genitori alla Nevermore Academy, scuola per ragazzi un po’ particolari (sirene, licantropi, gente che ha visioni, cose del genere); e lì la lugubre ragazzina, con la sola compagnia di Mano, deve cercare di ambientarsi, tra compagni che tentano di bullizzarla e, soprattutto, alcuni misteriosi omicidi che avvengono appena al di fuori del recinto della scuola. C’è un po’ di horror in stile Addams, solo un po’ più truce di quello di un tempo; c’è un po’ di mistero e di giallo; c’è anche la trama teen, com’è inevitabile in una serie ambientata a scuola tra adolescenti. La figlia apprezza, per ora. Io forse mi aspettavo un tocco un po’ più forte da parte di Tim Burton, però il tutto rimane relativamente originale e potrebbe anche funzionare. Bisogna ovviamente vedere come si evolverà la storia. Unica nota stonata: mentre la madre di Mercoledì, Morticia, è interpretata da Catherine Zeta Jones, che fa sempre la sua figura, non si capisce perché il padre Gomez, che nella vecchia serie era bello e fascinoso, qui sia interpretato da Luis Guzmán, forse poco adatto al ruolo. La trovate, come detto, su Netflix.
Gli Aristogatti (1970), di Wolfgang Reitherman: forse non ve l’ho ancora detto, ma stiamo per far entrare in casa nostra un paio di gattini. Evidentemente quattro figli non ci bastavano, volevamo altri animali più o meno pelosi a cui badare. Comunque, in preparazione al grande evento questa settimana abbiamo fatto rivedere per l’ennesima volta ai figli più piccoli Gli Aristogatti, il classico disneyano sui felini parigini minacciati dal crudele maggiordomo Edgar. Il film ha ormai più di cinquant’anni sulle spalle, ma rimane abbastanza godibile. Forse non è del tutto equilibrato nelle sue parti e non tutti i personaggi sono ugualmente riusciti, ma le canzoni sono memorabili e perfino il povero Edgar riesce quasi a far tenerezza. Lo trovate, ovviamente, su Disney+.
Quello che ho pensato
Qualche giorno fa, guardando i Mondiali di calcio, ho cominciato a pensare all’Australia. È stata una cosa nata per puro caso: la nazionale dei Socceroos stava giocando una partita, mio figlio si è stupito che la rappresentativa di un paese così grande non avesse una nazionale poi così forte, e allora gli ho spiegato che là lo sport principale è il rugby e che il paese è sì enorme, ma non così popoloso.
Discutendo, non sapevamo però obiettivamente quanti fossero gli abitanti dell’Australia e così abbiamo aperto Wikipedia e siamo andati a vedere. 25 milioni, meno della metà dell’Italia. Ma la pagina aperta ci ha spinti anche a guardare l’andamento demografico, per notare che quello stato-continente sta crescendo molto e che è ancora un paese estremamente giovane, che – sono dati di 15 anni fa, ma non credo che le cose siano troppo cambiate – ha circa un terzo della popolazione sotto i 25 anni e solo un quarto della popolazione sopra ai 55 anni.
A quel punto, ormai completamente disinteressato alla partita di calcio, ho provato a fare un confronto con l’Italia. I dati forse sono un po’ approssimativi, ma se non ho sbagliato le somme viene fuori qualcosa del genere:
Percentuale della popolazione sotto ai 25 anni: Australia 33,4%; Italia 23,1%.
Percentuale della popolazione sopra ai 55 anni: Australia 24,3%; Italia 36,1%.
Certo, è la scoperta dell’acqua calda: l’Italia è vecchia e l’Australia è giovane. Ma per un momento, mentre guardavo quella partita, mi sono detto: che noia quest’Italia sempre così vecchia, in cui si parla solo di cose vecchie, in cui si discute sempre e solo di norme da vecchi. Io voglio andare a stare in Australia. Anzi, meglio: in Nuova Zelanda.
Per la verità, ho un debole per la Nuova Zelanda da molti anni, da quando, alle medie, mi ci fecero fare una ricerca per geografia (all’epoca non c’era ancora internet, usai una grande enciclopedia e non mi dimenticai più quelle pagine).
E così mi sono aperto anche la pagina Wikipedia del mio stato australe preferito. È stato un po’ più difficile trovare il dato preciso, visto che mi sono dovuto spostare sul sito del governo neozelandese (tipo qui), ma alla fine ho trovato un dato approssimativo di questo tipo:
Percentuale della popolazione sotto ai 25 anni in Nuova Zelanda: 33,8%.
Percentuale della popolazione sopra ai 55 anni in Nuova Zelanda: 27,2%.
Insomma, c’è qualche vecchio in più dell’Australia, ma i giovani sono sempre tantissimi. E poi hanno come primo ministro Jacinda Ardern (una donna di 42 anni), un clima simile all’Italia e mille altre cose positive.
Il problema non è tanto l’Australia o la Nuova Zelanda, ovviamente: paesi bellissimi, ma a cui l’Italia non avrebbe certo granché da invidiare. Il problema è la mia stanchezza per un paese che a volte pare vecchio dentro, incapace anche solo di mettersi nell’ottica dell’affrontare le sfide del futuro. Un problema che questo governo – soprattutto nelle voci che dovrebbero essere più “innovative” – sta rendendo ben evidente, ma che in realtà non riguarda solo una forza politica: è proprio tutto il paese che è vecchio e affezionato alla propria vecchiaia.
Avrete letto, ad esempio, le (numerose) dichiarazioni del Ministro Valditara, nuovo responsabile dell’Istruzione. Ne ha inanellate parecchie, spesso incappando anche in gaffe piuttosto clamorose: ad esempio, se ne è uscito con una frase sul valore educativo dell’umiliazione, che forse non voleva neppure dire (probabilmente intendeva “umiltà” più che “umiliazione”, ma tant’è). Non voglio però polemizzare su un’uscita unica, che può essere anche infelice, né sul ministro, che si è in fondo appena insediato, quanto piuttosto sulle idee generali che circolano in Italia sull’educazione e che forse stanno dietro anche a queste uscite. Quali idee? Be’, le solite: che una volta le cose andavano bene e ora vanno male; che si stava meglio quando si stava peggio; che le sane e vecchie punizioni formavano i giovani; che da quando i ragazzi hanno i cellulari è tutto una schifezza; e così via, all’infinito, con infinite variazioni sul tema.
Le avrete sentite dire mille volte, queste cose: basta entrare in un qualsiasi bar italiano e c’è sempre almeno una persona, al bancone, che dice qualcosa del genere. Io le chiamo “le frasi del «signora mia»”, perché ci si può sempre aggiungere quell’intercalare per farle suonare ancora meglio: «Ah, i giovani non sono più quelli di una volta, signora mia»; «Quando li si puniva i ragazzi venivano su meglio, signora mia»; «Da quando hanno cancellato la leva obbligatoria non è più lo stesso, signora mia».
Sono, ovviamente, luoghi comuni, banalità, che la gente si diverte a ripetere senza neppure chiedersi se abbiano un qualche fondamento. Prendiamo un’idea tra mille: quella secondo cui la punizione è il punto fondante della formazione, che senza punizioni non si possa essere formati. È davvero così? Si deve per forza punire un ragazzo per insegnargli qualcosa? A me, per esperienza, non pare. Anzi, se penso agli insegnanti che puniscono spesso gli studenti (con note sul registro, ovviamente: nulla di corporale), devo dire che non mi pare che riscuotano chissà quali successi: lo studente che inizia a prendere note sul registro raramente si ravvede; anzi, continua a prenderle, all’infinito. Al massimo, quando va bene, si fa più furbo e riesce semplicemente a non farsi beccare. Nelle prime scuole in cui insegnavo – scuole di periferia, un po’ difficili – gli studenti facevano addirittura a gara per vedere chi a fine anno prendeva più note. Ed era evidente a tutti che dare punizioni non serviva a niente, non faceva cambiare vita a nessuno. Se erano pene lievi, venivano bellamente ignorate dai colpevoli; se erano pesanti, generavano ancora più astio, rabbia e voglia di rivalsa.
Oh, poi non nego che in certi casi particolari una punizione non possa anche servire. Anch’io ho messo in punizione i miei figli, una o due volte in vita loro. Ma la punizione, in sé, era l’elemento di contorno; quello che contava davvero era il cercare di farli ragionare e farli pentire per l’errore commesso. L’obiettivo era che capissero; la punizione l’ho data solo per dare il peso dell’importanza della cosa, non perché pensavo avesse un valore formativo in sé.
Detta più concretamente, i ragazzi si formano e imparano a seguire le regole quando capiscono quelle regole e iniziano a condividerle. Se pensano che le regole siano sceme, non le seguiranno certo per via di una punizione; oppure per evitare un’altra punizione fingeranno di seguirle, ma essendo sempre pronti a trasgredire appena ne vedano un’occasione.
Faccio un ultimo esempio concreto, per farvi capire cosa intendo. Poniamo che io sorprenda un ragazzino a copiare durante il compito in classe. Potrei reagire in vari modi. Quello più consueto (e punitivo) sarebbe: annullargli il compito, dargli 3 e mettergli una nota sul registro. Sarebbe un comportamento più che legittimo. Ma che effetto avrebbe? Certo, probabilmente gli metterebbe una gran paura di essere beccato di nuovo, e quindi le volte successive non copierebbe più; ma questo farebbe di lui una persona migliore? Ne uscirebbe più maturo?
Io non credo. Pensiamoci bene: in pratica, in questo modo finiamo per formare persone che si comportano bene solo perché hanno paura della punizione; persone che quindi, in occasioni in cui sarà impossibile esser beccati, torneranno probabilmente a fare la cosa sbagliata (non pagare le tasse, ad esempio), perché non avranno capito nulla.
Come insegnante però davanti a un caso del genere potrei anche reagire in modo diverso: potrei ad esempio prendere il ragazzo in disparte e fargli un grande discorso su quanto io sia deluso dal suo comportamento; potrei insistere sul fatto che lo scopo del venire a scuola non è prendere un bel voto ma imparare, e che copiando non si impara nulla; che è meglio prendere un 6 con le proprie forze che un 8 copiando; che se non si impara ad affrontare la paura di far da soli non si potranno affrontare le sfide della vita; che io ci tengo invece che ce la faccia con le sue forze e che sono disponibile anche ad interrogarlo eventualmente per un recupero, a patto che il compito lo faccia lui. E così annullargli il compito, facendoglielo rifare due giorni dopo, da solo, controllato a vista.
Può darsi che davanti a tutti questi tentativi il ragazzo non capisca niente lo stesso e dica solo: «Wow, pericolo scampato». Ma può anche darsi, se io riesco ad essere abbastanza convincente (cose che non è facile), che un po’ si vergogni per quello che ha fatto, che si senta perfino umiliato (non da me, che mi dico dispiaciuto, ma da se stesso) e che due giorni dopo provi a fare il compito con le sue forze. Capendo davvero, questa volta, di aver fatto una scemenza.
Formare non vuol dire incutere paura e generare un’obbedienza finta e superficiale; vuol dire far capire, far comprendere, far maturare dei valori propri. A me pare che nel secondo caso – con tutte le debolezze e i rischi di questo sistema – si vada nella strada giusta; nel primo caso assolutamente no.
Però per ragionare sulle questioni e proporre approcci del genere, in Italia bisogna un minimo cambiare mentalità. Bisogna aver voglia di rimettersi in discussione, di modificare le proprie pratiche, anche solo di chiedersi se quello che si è sempre fatto sia davvero efficace oppure no. A me pare che questa voglia, in Italia, non ci sia, a nessun livello: la colpa è sempre degli altri (perlopiù dei giovani), il mio vecchio metodo (che poi è quello dei miei nonni) va ancora bene, siamo talmente belli che non vale la pena di cambiare. Che sono discorsi un po’ da vecchi, no? Vecchi nell’animo, intendo, non dal punto di vista anagrafico. Chissà se li fanno anche in Australia o in Nuova Zelanda…
Quello che ho registrato e pubblicato
Ecco anche il solito riassunto dei video e dei podcast usciti questa settimana, per verificare che non ve ne siate persi qualcuno:
La crisi del 2007 (spiegata semplicemente): tra gli argomenti di cui mi avete chiesto più spesso di parlare c’è la più grande e più recente crisi economica
Il secondo Heidegger: essere, tecnica, poesia: la seconda e attesa parte della presentazione di Heidegger, uno dei filosofi più influenti del Novecento
Come sottolineare e prendere appunti dai libri parte 2: seconda diretta consecutiva sul tema del metodo di studio, anche se in realtà questa volta ci soffermiamo soprattutto sugli appunti tratti dai libri
La rivoluzione iraniana del 1979: per capire cosa sta accadendo oggi in Iran bisogna partire probabilmente da qui, dal 1979
La gnoseologia di Ruggero Bacone (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’Europa e la Francia sotto Napoleone (per il podcast “Dentro alla storia”)
L’Europa ai piedi di Napoleone (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il Consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia: ogni anno faccio leggere ai miei studenti dei libri; spesso si tratta di romanzi che trattano di temi storici o filosofici, ma lo fanno appunto con un fare narrativo e quindi teoricamente accattivante. Poi io provo a farli lavorare su alcune idee partendo da quel libro e da altri spunti, in modo che riflettano, sentano diverse campane e poi elaborino un loro pensiero riguardo al tema. Tra i tanti libri, uno di quelli che ho dato più spesso (anche se ultimamente – forse perché i ragazzi fanno sempre fatica a capire Sciascia – non più con la stessa intensità di un tempo) è stato Il Consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia, un romanzo ambientato nella Sicilia di fine '700 e tratto da una storia vera. Dell’opera ho anche parlato tempo fa in un apposito video (qui), ma vi consiglio anche di comprarla e leggerla perché ne vale la pena. Il tema è quello del falso storico, ma anche più in generale della verità. Lo si può acquistare qui.
Lettering digitale dal tocco analogico: vi piace scrivere? Creare frasi dal gusto tipografico? Avete mai pensato di farci un quadro o una maglietta? Ebbene, questo corso di Domestika (11 lezioni, al momento in offerta a 9,90 euro in tutto) vi insegna a creare il perfetto lettering digitale per poi passare dalla progettazione alla stampa, con risultati molto efficaci. Vale la pena di provarlo. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Ogni settimana vi dico quali sono i video in arrivo e in genere – o almeno negli ultimi mesi è stato così – riesco a tenere più o meno fede alle promesse. Questa settimana però vi preavviso: ho un incredibile numero di riunioni pomeridiane a scuola (tra corsi d’aggiornamento, attività per l’orientamento in ingresso e ricevimenti generali dei genitori) e quindi il programma rischia seriamente di saltare. Comunque, se dovessi farcela, mi piacerebbe preparare video o podcast su questi argomenti:
arriverà finalmente un nuovo video di storia romana, dopo una certa pausa, dedicato ai rapporti tra Roma e i barbari;
è in programma anche un nuovo video della serie “Filosofia per ragazzi”, questa volta su Eraclito;
proseguirà poi il percorso di approfondimento su Napoleone III e il suo impero;
infine in lista c’è il terzo capitolo della serie di video sulla storia dell’Iran contemporaneo, per capire anche quello che sta accadendo in queste settimane;
per quanto riguarda i podcast, in conclusione, ne uscirà uno su Duns Scoto per quanto riguarda filosofia, mentre in ambito storico ci avvieremo verso la fine dell’impero napoleonico.
E questo è tutto, almeno per oggi. Siete sempre in tantissimi a seguire questa newsletter e, tra l’altro, in costante aumento: ma, come sempre, se pensate che quello che ho scritto possa interessare a un vostro conoscente o parente, non esitate ad inoltrare la mail anche a loro. Alla prossima!
Il discorso sulle punizioni mi ha fatto venire in mente Platone e le sue Leggi educative in cui, se non erro, diceva che le leggi dovevano appunto essere spiegate e giustificate, in modo che tutti potessero capirne l’importanza per poi rispettarle. Poi sì prevedeva anche punizioni ma il comprendere era la base.