L'importanza di leggere al di là delle proprie idee, ma parliamo anche di Sant'Agostino, Nicolás Maduro, Woody Allen, Il nome della rosa, Fahrenheit 451, i popoli del mare e Rob McElhenney
Per noi insegnanti (e credo anche per gli studenti), settembre è un po’ come gennaio: inizia qualcosa di nuovo, si fanno buoni propositi, si programma l’attività futura. E a dirla tutta è un mese importante anche per tante altre cose: ricominciano i campionati dei vari sport, in politica si inizia a fare sul serio (ragionando soprattutto di bilanci) e anche le serie tv danno avvio alla loro nuova “stagione”, come si usa dire; è inevitabile quindi che anche a livello di canale YouTube – e di tutto quello che ci gira attorno – si senta aria di rinnovamento.
Ci sono miei colleghi, sul web, che non a caso da qualche tempo hanno cominciato a parlare di “stagioni” anche quando realizzano video, come a replicare il lessico della programmazione televisiva. E in un certo senso anche nel piccolo della mia attività divulgativa si potrebbero individuare delle “stagioni”. L’ultima, quella iniziata l’anno scorso, ha portato molte novità sul versante soprattutto degli abbonamenti: risalgono proprio a un anno fa, infatti, i primi incontri del Club del Libro e del Simposio; ma in un certo senso la stagione da poco conclusa è stata anche quella dell’arrivo di Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, impegnativa e a suo modo anche ricca di soddisfazioni.
E allora, per dar corda a tutto questo, cosa arriverà nella nuova stagione che sta iniziando? In realtà i progetti in ballo sono molti, e qualcosa ho anche anticipato nell’ultima diretta riservata agli abbonati: si tratta di varie iniziative che si muovono anche al di fuori del web, o comunque al di fuori del classico canale YouTube. È ancora un po’ presto per rivelare tutto, ma ci saranno collaborazioni con importanti istituti culturali e nuove proposte editoriali sempre legate alla storia e alla filosofia. Ne saprete di più andando avanti con le settimane, ma i primi annunci arriveranno presto.
Quindi preparatevi, scaldate i motori e mettetevi nel giusto ordine di idee. Intanto, nell’attesa, è pronta qui di seguito la nostra solita newsletter, che non si è presa pause durante l’estate ed è sempre pronta a offrirvi il solito carico di libri, film e riflessioni. Newsletter che tra l’altro, notavo, è sempre più letta, e a dirla tutta non solo in Italia. Vi lascio qui di seguito lo screenshot delle statistiche più recenti: gli iscritti residenti nella penisola sono solo l’89% del totale, segno che ci sono moltissimi che ci leggono dall’Australia al Brasile, dalla Germania agli Stati Uniti (soprattutto dalla California, pare).
E, detto questo, cominciamo.
Quello che ho letto
Diamo avvio a tutto come sempre partendo dai libri. I tre volumi in elenco questa settimana sono dei classici assoluti; nessuno è quello che propriamente si definirebbe un saggio di storia o di filosofia, ma, come noterete, tutti e tre hanno comunque ampiamente a che fare col nostro mondo.
Il nome della rosa di Umberto Eco: se vi ricordate, qualche settimana fa avevo raccontato di aver cominciato a riascoltare (in formato audiolibro) Il nome della rosa, un classico assoluto che ho letto credo almeno un paio di volte in cartaceo, ma che non avevo mai ascoltato in forma audio. Complici i lunghi viaggi delle vacanze, ho deciso però di dedicarmici di nuovo, desideroso di riassaporare quella storia ma soprattutto di non lasciarmi sfuggire molti riferimenti storici e filosofici che Eco disseminò, a suo tempo, in quelle pagine. Infatti il romanzo l'ho letto una prima volta da ragazzo, addirittura in terza media, quando non capivo quasi nulla né di latino né di tutte le questioni storiche connesse alla narrazione; e una seconda volta all'università, quando qualcosa cominciava a farsi più chiaro, ma non avevo ancora chissà quale conoscenza del Medioevo. Poi mi è capitato più volte di riprenderne in mano alcuni capitoli o alcune pagine, ma una lettura integrale dall'inizio alla fine non l'avevo più fatta, e devo dire che la forma dell'audiolibro da questo punto di vista è particolarmente suggestiva. Nella versione che sto ascoltando io, disponibile su Audible e letta da Tommaso Ragno, l'esperienza è davvero straordinaria. Ragno è infatti bravissimo ad accelerare e a rallentare a seconda del momento, a dare maggior enfasi a certe frasi o a sussurrarne altre, e a dar voce anche ai molti personaggi che si susseguono sulle pagine. Così, ascoltare il libro diventa quasi come guardare un film, senza però quei fastidiosi adattamenti che spesso vengono realizzati da Hollywood e che finiscono per tradire il senso del libro. In pratica, è come avere davvero tutta la qualità di Umberto Eco mescolata alla qualità di una grande recitazione. L'unica cosa che mi dispiace è che diventa piuttosto difficile sottolineare e annotarsi qualcosa: Audible in parte lo permette, ma non è certo la cosa più comoda da fare, soprattutto se si ascolta il libro mentre si sta guidando. Poco male: prima o poi farò anche una quarta rilettura, su carta, con tutte le sottolineature del caso. Intanto devo dire che si tratta di una modalità di lettura veramente intrigante, e ve la consiglio caldamente. Sulla trama penso poi che non ci sia molto da dire, perché è arcinota: in un monastero del Nord Italia all'inizio del XIV secolo iniziano a verificarsi una serie di strane morti, su cui indagano un frate francescano, tale Guglielmo da Baskerville, e il suo giovane aiutante, il novizio Adso da Melk. Il giallo si mescola però anche a questioni politiche e teologiche, visto che nel monastero si discute molto tra francescani, domenicani e benedettini riguardo alla povertà di Cristo. L’audiolibro lo trovate, come detto, su Audible, mentre la versione cartacea può essere acquistata qui.
Confessioni di Sant’Agostino: già vi ho parlato, la settimana scorsa, delle Confessioni di Agostino, che sto leggendo in vista del prossimo appuntamento del Club del Libro. Se non lo avete mai letto, si tratta di un libro molto originale oltreché molto importante: in esso infatti Agostino adotta più registri, da un lato raccontando la propria vita fin dalla giovinezza, soffermandosi sulle proprie mancanze, sui propri travagli interiori e anche su più minute vicende biografiche; dall'altro si rivolge come in una sorta di preghiera direttamente a Dio, tanto che in diversi punti pare di leggere un libro di invocazioni o di salmi. Questo strano mix, però, funziona, e funziona talmente bene che non è un caso che Le Confessioni sia ancora oggi considerato un testo cardine sia della storia della filosofia che della storia della letteratura (che anche della storia della Chiesa). Ispirato, poetico, a tratti perfino mistico e in certi altri passaggi molto riflessivo, il libro ci ha influenzati parecchio, tant'è vero che è facile imbattersi in frasi che sembra di aver già sentito, perché sono state riprese da lì e poi citate in molte altre occasioni. Ormai sono quasi agli sgoccioli e ho quasi finito, visto che gli eventi principali della vita di Agostino si sono tutti più o meno già verificati, compresa la conversione; però comunque credo che lo finirò e ve ne racconterò in maniera definitiva solo nella prossima newsletter. Intanto, se vi interessa, potete acquistarlo qui.
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury: si discute sempre, in ogni estate, dei compiti per le vacanze, della loro utilità o del loro danno. E spesso se ne discute in maniera piuttosto superficiale, vedendo le cose sempre solo da una unica prospettiva. Da un lato infatti hanno ragione quei genitori che sostengono che l'estate debba essere dedicata anche al riposo, a ricaricare le batterie in vista del nuovo anno scolastico, ma d'altro canto hanno ragione anche i miei colleghi che affermano che se si stacca davvero la spina per tutta l'estate e si passano due o tre mesi semplicemente a stare sdraiati sul letto si ritorna a scuola ben più scemi di prima. La verità sta, come spesso accade, nel mezzo: serve cioè trovare un equilibrio tra il meritato riposo e un po' di sana attività, anche perché questo equilibrio può essere, a ben vedere, molto democratico. Se infatti non si dà nulla da fare per le vacanze, finisce che i figli delle famiglie che se lo possono permettere fanno grandi viaggi, visitano grandi musei e ricevono molti stimoli anche culturali, mentre i figli delle famiglie meno attente o con meno possibilità passano l'estate come delle amebe. Un buon metodo per ovviare almeno in parte a tutto questo, alle superiori ma anche alle medie, mi pare quello seguito da molti docenti di lettere: proporre delle letture da fare, dei libri che siano sia appassionanti che intelligenti, che quindi siano godibili ma stimolanti allo stesso tempo. Così ha fatto anche la prof di lettere del mio figlio più grande, e scorrendo l'elenco dei libri consigliati mi sono reso conto che in molti casi si trattava di volumi che un anno o l'altro ho consigliato anch'io. Tra questi c'era anche Fahrenheit 451, e quando il ragazzo si è messo a leggerlo ha fatto venire voglia anche a me di riprenderlo in mano, visto che sono passati diversi anni da quando l'ho letto. Così l'ho ricominciato, e devo dire che mi ricordavo piuttosto bene certe scene, e invece piuttosto male altre, tanto che mi sono chiesto se non mi si fosse ricreata nella mente e nel ricordo una trama alternativa, perché ero convinto che le azioni dei personaggi si svolgessero in certi casi in modo diverso da come le racconta Bradbury. Se volete sapere qualcosa della trama, posso dirvi che si tratta di un romanzo di fantascienza distopico: in un futuro prossimo venturo, i pompieri infatti non svolgeranno più il lavoro di spegnitori di incendi, ma si occuperanno invece di appiccarli, soprattutto per bruciare libri. In questo futuro immaginario, infatti, i volumi cartacei sono diventati fuorilegge, considerati pericolosi per la tenuta della società e la felicità delle persone. Questo almeno fino a quando il protagonista della storia, il pompiere Guy Montag, non fa uno strano incontro. Ma non vi dico altro. Lo sto rileggendo avidamente e si dimostra ancora un libro intrigante e intelligente, anche se forse un po’ datato in certi dettagli (la gioventù bruciata che corre sulle automobili sembra molto figlia degli anni '50). Ne riparleremo. Intanto, se la trama vi intriga (e il libro vale il tempo che richiede, che non è nemmeno molto), potete comprarlo qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film e alle serie tv. Noterete che c’è molto spazio dedicato a Rob McElhenney, nell’elenco di questa settimana. Se non sapete di chi si tratta, nessun problema: ve ne parlo subito.
C’è sempre il sole a Philadelphia / It’s Always Sunny in Philadelphia episodi da 1.01 a 1.06 (2005), di Rob McElhenney, con Rob McElhenney, Charlie Day, Glenn Howerton: non so se l’avete mai vista, o anche solo avete sentito parlare di questa serie. Io la conosco per la verità da parecchio tempo: la scoprii attorno al 2008, quando arrivò per la prima volta nel nostro paese, trasmessa a tarda sera su un canale secondario di Sky. E me ne innamorai perdutamente, con grande sconforto di mia moglie, che invece non la sopportava. E, a dirla tutta, sotto diversi punti di vista aveva ragione lei: la serie è sconclusionata e di una stupidità a tratti imbarazzante. Ma questo, oltre a essere il suo peggior difetto, è anche il suo miglior pregio. Corrosiva e politicamente scorretta, ha in un certo senso precorso i tempi, anticipando lo stile di alcuni show realizzati negli ultimi dieci anni – sia in live action che in forma di cartoni animati – che hanno avuto un successo ben maggiore, nella maggior parte dei casi, di It’s Always Sunny in Philadelphia. La serie, infatti, non ha mai veramente sfondato, ma si è guadagnata un suo gruppo di ammiratori devoti, tanto che va ancora in onda, essendo ormai arrivata alla sedicesima stagione. I protagonisti dello show sono tre amici particolarmente stupidi e amorali: Charlie, Dennis e Mac. Insieme gestiscono uno scalcinato pub a Philadelphia, ma soprattutto si imbarcano nelle situazioni più assurde. E queste loro disavventure toccano temi molto scabrosi: solo nella prima stagione, che ho rivisto quasi tutta d’un fiato, si parla di razzismo, aborto, ubriachezza giovanile, cancro, porto d’armi, abusi sessuali e così via. E se ne parla sempre in modo disturbante, ma proprio per questo anche acuto. Se vi piace la dark comedy, è la serie che fa per voi, e tra l’altro adesso la trovate facilmente su Disney+, dove è finalmente sbarcata.
Tutti dicono I Love You (1996), di Woody Allen, con Woody Allen, Natasha Lyonne, Julia Roberts: qualche sera fa mia moglie, all’improvviso, mi dice: «Ma sai che avrei voglia di un film di Woody Allen?» Non accade troppo spesso, e quando accade bisogna cogliere la palla al balzo e cercare subito o di tirare fuori i DVD della collezione (lì ci sono i grandi classici, da Io e Annie a Manhattan e così via), oppure cercare cosa c’è di disponibile sulle piattaforme di streaming. Quella sera abbiamo scoperto che nel catalogo di Amazon Prime Video c’era Tutti dicono I Love You e così ci siamo messi a vederlo, o forse rivederlo (sono passati tanti anni: quasi sicuramente l’avevo già visto, ma non mi ricordavo più come e dove). La trama è simile a quella di molti altri film di Woody Allen di fine anni '90: Woody interpreta Joe, scrittore divorziato che si invaghisce della bella Von, che cerca di conquistare grazie all’aiuto della figlia adolescente; nel frattempo la sua ex moglie, risposata con un suo amico, deve tenere in piedi la baracca, tra una figlia che ha dei ripensamenti sull’imminente matrimonio, un altro figlio che è di colpo diventato repubblicano e ulteriori due ragazzine in lotta tra loro per lo stesso ragazzo. Si tratta, come si intuisce, di una commedia corale, leggera e con qualche battuta ben assestata; ma l’elemento che più balza agli occhi è che di tanto in tanto il film strizza l’occhio al musical, e gli interpreti si mettono a cantare (perlopiù in maniera incerta, come si conviene con attori che non sono cantanti) e ballare. Come al solito, il parterre di interpreti è comunque di prim’ordine: ci sono Julia Roberts, Edward Norton, Drew Barrymore, Goldie Hawn, Tim Roth e una giovanissima Natalie Portman. Ma in generale il tutto funziona soprattutto per l’atmosfera, che sembra ricalcare quella leggera e scanzonata della Hollywood d’altri tempi. Insomma, il film, più che raccontare una storia, vuole essere un omaggio al cinema che tanto aveva affascinato Allen da ragazzo, e in parte riesce a realizzare il suo scopo. Nulla di straordinario, ma il film si lascia guardare. Lo trovate, come detto, su Amazon Prime Video.
Welcome to Wrexham episodi 1.05-1.06 (2022), di e con Rob McElhenney e Ryan Reynolds: vi ho già parlato della “docuserie” intitolata Welcome to Wrexham, disponibile anch'essa su Disney+. Si tratta di un lungo documentario a puntate, scandito in più stagioni, che segue le vicende della squadra di calcio di una piccola cittadina del Galles, la cui unica vera particolarità è quella di essere stata appena acquistata da due attori hollywoodiani, Ryan Reynolds (l’interprete di Deadpool) e Rob McElhenney (creatore di It’s Always Sunny in Philadelphia, di cui vi ho già parlato sopra). Detta così, potrebbe sembrare una mezza stupidaggine, o una di quelle operazioni puramente commerciali che servono ad alimentare l’ego delle star mentre fanno soldi facili con lo sport. In realtà Welcome to Wrexham è qualcosa di più di questo: è vero che Reynolds e McElhenney sembrano non capirne molto di calcio e non essere neppure troppo interessati a quello che avviene effettivamente sul campo da gioco, ma chi ha realizzato il documentario si è immerso veramente nell’atmosfera di questa cittadina gallese, riuscendo a coglierne lo spirito. Wrexham conta poco più di 60mila abitanti, ed è grande più o meno come la mia Rovigo; un piccolo centro di provincia, un po’ dimenticato da Dio, in cui però si accavallano e rincorrono diverse storie, a volte anche commoventi. Più che vedere come va la squadra, insomma, guardando il documentario vediamo in realtà come la città accoglie questa avventura, quali speranze di riscatto vi ripone e che c’è molta umanità anche nello sport. Intrigante e molto ben fatto. Come detto, lo trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
Di solito su questa newsletter, come in generale sul web, cerco sempre di mantenere un atteggiamento positivo. Negli ultimi anni mi sono infatti reso conto che c'è troppa gente che si lamenta ogni santo giorno su internet per le cose che non vanno, a volte magari anche a ragione; e questo eccesso di lamentele, che a volte sfocia addirittura nel piagnisteo, ha contribuito secondo me negli ultimi anni a plasmare una cultura negativa nel nostro modo di porci davanti alle notizie e alle novità. Non guardiamo, infatti, a quello che accade nel mondo come a uno stimolo per un possibile cambiamento, ma di solito come a qualcosa che possa farci sentire ancora più frustrati, per poterci così legittimamente sfogare da qualche parte.
Ogni tanto però anche l'atteggiamento positivo deve lasciare posto a una lamentela, e oggi siete davanti a una di queste: quello che segue infatti è un piccolo sfogo sullo stato dell'arte del dibattito pubblico in Italia. E quello che si dipinge davanti a noi è, a mio avviso, un quadro desolante.
Potremmo prendere ad esempio qualunque tema, dalle migrazioni alla scuola, dall'economia ai venti di guerra: ovunque attorno a noi il dibattito pare essere di una povertà intellettuale che raramente si è vista. Ma cosa intendo con “povertà”, termine che non ho scelto a caso?
Intendo dire che chiunque intervenga sui giornali, in televisione o perfino sui social network portando con sé l'etichetta di intellettuale, spesso ricade in una di queste due possibilità: o, e si verifica per fortuna in una minoranza dei casi, dice delle cose completamente assurde spacciate per novità controcorrente, oppure propone non solo delle banalità, ma anche delle opinioni che potrebbe dire chiunque. Ci sono delle eccezioni importanti, per carità, ma sono troppo poche per cambiare una tendenza che mi pare assai diffusa.
Vediamo nel dettaglio queste due tipologie di opinionisti. I primi sono quelli che si autodefiniscono alternativi, controcorrente; una risma variegata che va da filo-putiniani a omofobi, da complottisti a para-fascisti, da nostalgici di Stalin a nostalgici del puro fatto di poter essere bastian contrari. Sono persone che trovano in genere un certo spazio soprattutto in televisione, dove la sparata forte fa alzare gli ascolti, ma nei cui discorsi non c'è solo alcunché di verificabile, ma neppure alcun serio ragionamento. Le loro sono sempre solo petizioni di principio, il più delle volte prive anche di qualsiasi fondamento fattuale. Non vale neppure troppo la pena di perdere tempo su questi casi, se non fosse che, per quanto pochi, trovano come detto ampio spazio grazie a mass media accondiscendenti che non vedono l'ora di portare davanti allo schermo il fenomeno da baraccone che aizza le folle contro i poteri forti.
Più inquietante, da un certo punto di vista, è invece la sconcertante banalità di tutti gli altri, di quelli che non si lanciano in frasi deliranti, ma che a ben guardare non dicono mai nulla di più di quello che già sappiamo. Oh, sia chiaro: non essere banali è difficile, e spesso mi rendo conto anch'io che qui, su queste stesse colonne, rischio di cadere pure io in luoghi comuni, di dire cose scontate; ma in tv e sui giornali mi capita spessissimo di leggere cose che fanno sembrare originali le quattro righe che scrivo qui sulla mia newsletter personale.
Arriviamo ad esempio alla questione dei cellulari a scuola, e tra i giovani: un tema complesso, importante, su cui ho scritto anch'io qualcosa qui nei giorni scorsi, riportando il risultato di qualche ricerca, qualche dato e qualche riflessione personale. Quelle cose che ho scritto io non penso siano né particolarmente originali, né particolarmente significative, ma, quando leggo le dichiarazioni di intellettuali e a volte perfino di colleghi sul web riguardo a questo problema, mi rendo conto che ne sanno quanto mio nonno, cioè poco o nulla. E dico “mio nonno” perché era uno che di cellulari non ne capiva assolutamente niente e che, nonostante fosse una persona intelligente, probabilmente sulla questione avrebbe ripetuto a pappagallo quello che dicono un po' tutti, quello che si sente dire nei bar, quella che una volta si sarebbe definita “l'opinione della casalinga di Voghera”. Ebbene, oggi i giornali, le tv e i social network sono purtroppo pieni di casalinghe di Voghera, di persone che parlano e parlano, a volte anche perché sollecitati da apposite interviste o da rubriche quotidiane da riempire, senza dire in realtà quasi nulla, ripetendo cose già dette mille volte, senza alcun contributo in più. Si badi bene: non dicono cose assurde o stupide, ma semplicemente cose che già sappiamo. E ogni volta mi chiedo: perché devo perdere tempo a leggere un articolo di cui, ancora prima di iniziare a leggerlo, conosco già per filo e per segno il contenuto?
Per me, e spero anche per altri, leggere, documentarsi, conoscere l'opinione di persone intelligenti serve a scoprire cose nuove, a mettere alla prova le idee che ho già nella testa confrontandole con quelle diverse di qualcun altro, possibilmente di qualcun altro che ha studiato un po' più di me quell'argomento. È per questo che leggo i libri, in particolare la saggistica, perché lì un esperto mi chiarisce meglio le idee su qualcosa che non so o che so in maniera non abbastanza approfondita. E penso che questo sia il senso ultimo dei libri e degli articoli: smuovere le idee.
Allora perché è così raro imbattersi in dichiarazioni non dico innovative ma con almeno un po' di pepe al loro interno, che propongano una prospettiva un po' diversa, che analizzino la questione da un punto di vista inatteso? Perché il problema non è solo che la gente dice cose banali; è anche che i lettori vogliono evidentemente leggere cose banali. Se da un lato infatti la proposta del mondo intellettuale si è a mio avviso un po' impoverita negli ultimi anni, è però anche vero allo stesso tempo che pure la domanda dei lettori ha favorito questo impoverimento, facendo sì che avessero sempre più spazio i commentatori più banali e sempre meno quelli originali.
Anche in questo caso credo di avere una parziale risposta, o almeno un tentativo di risposta. Sospetto infatti che alla base di questo proliferare di banalità ci sia in fondo la richiesta dei lettori di vedere semplicemente confermate le loro opinioni. Diversi studi1 hanno mostrato come anche a livello politico negli ultimi decenni in tutto il mondo occidentale si sia assistito a un progressivo chiudersi dell'elettorato in se stesso: in altre parole, facciamo sempre più fatica a porci domande e a cambiare idea sulle questioni politiche, preferendo chiuderci in una sorta di bolla, parlando solo con persone che confermano la nostra visione e chiudendo ogni possibile ponte con i rappresentanti delle altre parti politiche. Paradossalmente, come ho detto anche altrove, questo è uno strano effetto anche dei social network, ma questo livellamento in parte di libri e soprattutto di giornali mi sembra stia favorendo questo meccanismo banalizzante.
Un altro modo per rendersi conto di questo effetto è quello di leggere le recensioni che i lettori lasciano sulle varie librerie online. Negli ultimi mesi ne ho lette tante, perché segnalando continuamente i nuovi saggi in uscita devo scartabellare parecchio, e tenere d’occhio in un certo senso tutto il mercato editoriale.
Ebbene, se leggete ad esempio le recensioni dei libri che si trovano su Amazon, vi accorgete che sono quasi sempre recensioni entusiastiche, indipendentemente da quanto bello sia poi in realtà il libro. Le uniche recensioni negative, di solito, riguardano problemi di stampa, come ad esempio quando il libro arriva malridotto a casa, oppure errori di acquisto, ovvero quando il lettore scrive che pensava che il libro trattasse di argomenti diversi. Ma quando uno sa che cosa compra, allora è sempre soddisfatto e lascia tranquillamente quattro o cinque stelle perché si è trovato davanti esattamente il libro che voleva leggere.
Che c'è di male in questo, mi chiederete: non è forse meglio un mondo in cui le persone sono contente di ciò che leggono? A prima vista sicuramente sì, però andando un po' più in profondità ci si accorge che questo ha un rovescio della medaglia: perché se la gente è sempre felice di quello che legge, significa anche che non legge quasi mai cose sgradevoli, cose con cui entra in conflitto, cose che non ama.
Forse chi non apprezza un libro non lo finisce neppure e non va a mettere il voto su Amazon? Può darsi, ma in realtà credo che chi finisce per odiare un libro ci tenga anche a farlo sapere. No, credo davvero che tutte le volte in cui qualcuno compra un libro, cerchi in quel libro qualcosa che sa che ci sarà, cioè sostanzialmente le proprie idee e le proprie opinioni. Detta in altri termini: mi sembra che sempre più spesso non ascoltiamo le idee altrui perché queste idee ci aiutino a cambiare o migliorare le nostre, ma ascoltiamo le idee altrui solo perché speriamo che siano esattamente come le nostre, perché così scatta quel particolare meccanismo psicologico secondo cui ci sentiamo un po' meno soli, un po' più sicuri e un po' più confermati nelle nostre idee. Insomma, cerchiamo conferme invece che smentite, e possibilmente facili conferme.
Questo, inevitabilmente, alimenta una brutta spirale: perché ci può far stare un po' meglio, ci può far sentire un po' meno soli, ma ci rende più difficile comunicare con chi la pensa in maniera diversa, con chi legge libri diversi. Vi faccio un semplice esempio: se andate a leggere le recensioni del libro di Vannacci o del libro di Salvini, trovate valutazioni altissime che forse neppure Dostoevskij riesce a raggiungere. Recensioni che dal punto di vista letterario non hanno letteralmente alcun senso, che non stanno né in cielo né in terra: ma chi legge i libri di Vannacci evidentemente non cerca buone idee, né una buona scrittura; cerca solo qualcuno che gli dica che ha ragione, qualcuno che gli dica che non è solo. Il fatto poi che il libro di Vannacci venda milioni di copie fa capire che questi personaggi sono tutt'altro che soli, ovviamente. Però, cosa succede in questo modo? Che chi legge i libri di Vannacci si sente ancora più sicuro di quei pregiudizi che il generale propone, ma chi rifugge da tutto quello rimane completamente estraneo a quel mondo, e così non c’è comunicazione, non c'è modo che quelli con un po' di sale in zucca riescano a far cambiare idea ai fan di Vannacci. Il mondo insomma si chiude in se stesso, e noi con esso.
Come se ne esce? Be’, di certo non ho soluzioni semplici: se le avessi sarei un pensatore molto originale e sarei di conseguenza anche molto più ignorato. Però mi viene da pensare che sia necessario portare tutta la nostra società a un cambio di atteggiamento: sia a sinistra che a destra, per decenni si è insistito tantissimo sulla demonizzazione dell'altro, del nemico, in modi e forme più o meno nette; questa tendenza è stata a sua volta alimentata anche da una stampa iper-faziosa, ben disposta a sacrificare la verità pur di portare acqua al mulino della propria parte politica. Penso invece che ci sia bisogno di una comunicazione diversa, di gente di sinistra che sappia anche in parte capire le ragioni di qualcuno di destra e di gente di destra che sappia almeno in parte capire le ragioni di qualcuno di sinistra. Che ci sia bisogno cioè di un maggior numero di spiriti liberi, di persone che non esitano a entrare in contraddizione con il proprio gruppo, la propria parte, la propria fazione e che non abbiano paura di essere ogni tanto veramente originali.
Questo ovviamente avrà un costo, perché la banalità viene spesso applaudita molto più dell'originalità, e vende anche di più, per i motivi che ci siamo detti; ma se non si parte dall'alto a imporre qualcosa del genere, non si va da nessuna parte.
Quello che ho registrato e pubblicato
E passiamo ora ai video e ai podcast che sono stati pubblicati questa settimana:
La riforma del premierato di Giorgia Meloni: in cosa consiste il progetto di riforma costituzionale portato avanti dalla maggioranza riguardo al premierato
Il Venezuela da Chávez a Maduro: la storia del Venezuela recente, fino ai contestatissimi esiti delle ultime elezioni
Il Reichstag a Berlino: una nuova puntata del Travel Club dedicata al Parlamento tedesco e un po’ anche alla storia della capitale della Germania
Leibniz e l'ordine contingente del mondo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le prime misure del New Deal di Roosevelt (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il progetto
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
1177 a.C. di Eric H. Cline: di recente abbiamo parlato anche noi, nei nostri video di storia antica, dei cosiddetti “popoli del mare”, che rappresentano ancora una mezza incognita dal punto di vista storico, perché portarono al tramonto di solide civiltà e all’emergere di nuove. Questo libro di Cline – il cui sottotitolo è, non a caso, Il collasso della civiltà – è considerato un classico non tanto (o non solo) nel parlare di questi popoli, quanto nell’affrontare quel cambiamento di paradigma così importante e così interessante. Lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E, per concludere, ecco come sempre qualche anticipazione su quello che arriverà nei prossimi giorni:
domani cominceremo con uno short, un video breve, dedicato a un altro presidente americano ucciso durante il mandato, ma meno famoso di quelli di cui abbiamo già parlato: James Garfield;
mercoledì pubblicherò un altro video del ciclo Travel Club, parlando di Torino;
giovedì e venerdì toccherà poi ai podcast, con una nuova puntata su Leibniz e una, quella di storia, dedicata alla società degli anni '30;
sabato mi piacerebbe iniziare la lettura spiegata di un nuovo libro, il Candido di Voltaire, di cui dovrei riuscire a leggervi i primi quattro, brevi capitoli;
domenica vorrei proporvi, poi, un video su Virginia Woolf e sulla filosofia che emerge dai suoi romanzi e dai suoi saggi;
lunedì prossimo, infine, parleremo di Tolstoj, in un video breve legato a Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva.
E questo è quanto. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti, quando saremo ormai solo a una manciata di ore dall’inizio delle scuole. Se siete studenti o insegnanti, godetevi questi ultimi giorni. A presto!
Ne parlo pure in Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, a pag.94 e seguenti, ma un buon testo di riferimento è Damiano Palano, Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione, Scholé, Brescia 2020.
Buon giorno , vorrei scrivere una riflessione molto infastidita ! Stamattina mi sono messo a risolvere dei problemi di scacchi , dopo pochi minuti sento uno squillo della Chat di What s Up .
Rispondo : puo´ essere importante , sono preso da mille impegni . Era un amica di mia madre che mi ha richiamato . Dentro di me sono infastidito dalle distrazioni , dopo averle parlato , riprendo gli esercizi . Poco dopo , ricevo una telefonata in risposta alla chiamata che ho fatto .
Queste interruzioni mandano a farsi benedire la concentrazione , la mancanza di concentrazione provoca stress , malessere . Sono danni seri alla nostra qualita´ della vita . Me ne accorgo perche´
sono una persona cosciente , consapevole . Mentre scrivevo una risposta al professor Saudino di Barbasophia , sulla vittoria di Sara Wagenkchnet in Germania , suona il telefono !
Queste continue interruzioni finiscono per provocare un cattivo risultato agli esercizi ai quali mi applicavo . Fermate il mondo : voglio scendere !
Questo sarebbe un buon argomento per una delle sue rubriche "Quello che ho pensato" , che ne dice?